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IL RAPPORTO SCIENZA-FEDE, discutendo alcune riflessioni di Margherita Hack

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view post Posted on 24/5/2012, 17:28

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Nel suo ultimo libro, Il mio infinito (pubblicato dall’editore Dalai), Margherita Hack dedica il capitolo conclusivo a “L’ipotesi Dio” (pp. 200-206.). Trattandosi di un libro in cui si parla (come recita il sottotitolo) di “Dio, la vita e l’universo nelle riflessioni di una scienziata atea”, può essere interessante vedere e discutere come questa astrofisica affronta il rapporto tra scienza e fede. Secondo la Hack, “la scienza sviscera le cause piccole e grandi di quello che c’è, non il perché c’è. Non spiega, né potrà mai spiegare perché c’è l’universo, perché c’è la vita. Ed è qui che subentra la fede per alcuni. Quei perché, per i credenti, trovano una risposta nell’ipotesi che esista un creatore”; invece chi non accetta la fede non ritiene necessaria alcuna spiegazione.
Fin qui la differenza, “ma -aggiunge la Hack- tanto il credente che il non credente non possono dimostrare scientificamente l’esistenza o la non esistenza di Dio. Si tratta in ambedue i casi di fede, di risposta
a bisogni personali diversi. In questo senso scienza e fede possono benissimo convivere”, perché lo scienziato non credente “crede nella materia e nelle sue forze intrinseche, senza altri fini” e lo scienziato
credente “crede che quelle forze intrinseche della materia obbediscano a una volontà e a un Bene superiore. Le due ipotesi sono perfettamente equivalenti, anche se diametralmente opposte”, e “la distanza
dei due approcci emerge in tutta la sua forza quando ci si confronta sui temi della nascita della vita e dell’universo”. Al riguardo la Hack si chiede: “è più sorprendente immaginare un Dio babbo amorevole (…) o un padre severo (…) o un Dio che è allo stesso tempo padre e madre (…), oppure immaginare che una materia eterna abbia la naturale proprietà di originare dalle particelle elementari tutto ciò che esiste? Di
certo (aggiunge la Hack) è più gratificante e rassicurante per la nostra coscienza il ‘racconto’ di una creazione che acquista senso perché inserita in un disegno superiore, piuttosto che un immenso ‘organismo’ nato forse da imprevedibili fluttuazioni quantistiche nel vuoto”. Da parte sua, la Hack propende per questa seconda impostazione, che così riassume: “dall’energia alla vita, alla mente che si interroga sulla vita”. Ma, detto ciò, la Hack ribadisce che le due “ipotesi” (quella del credente e quella del non credente) “sono equidistanti ed equivalenti e rivelano l’impossibilità di rispondere
in maniera esauriente e condivisa al perché c’è la vita, l’universo e non il nulla”. Più precisamente, la Hack divide “le domande a cui non sappiamo dare una risposta in due grandi categorie: quelle che resteranno sempre senza risposta, (…) e quelle che sembrano oggi domande a cui è impossibile rispondere perché ci sono ostacoli fisici che sembrano insormontabili ma che non si può escludere un giorno possano essere superati. Alla prima categoria appunto appartiene il perché c’è l’universo e non il nulla”, mentre “alla seconda categoria appartengono invece domande come: cos’è la materia oscura e l’energia
oscura?”. Quanto abbiamo finora riportato può essere condiviso, e può costituire la base di un dialogo. In proposito la Hack puntualizza che “ateo e credente possono anche dialogare, a patto che ambedue
siano “laici”, nel senso che rispettano le credenze o le fedi dell’altro senza volere imporre le proprie”. Ebbene, proprio in nome della laicità intendiamo fare alcune osservazioni.
Anzitutto che l’essere laici vorrebbe che il non credente non desse dell’infantile al credente (e viceversa, ovviamente). Invece, scrive la Hack, “chi non accetta la fede ritiene che il credere in Dio sia un modo
infantile di spiegare tutto ciò cui la scienza non è in grado di dare riposte, e nasca dal bisogno di avere un sostegno, una guida, qualcuno che ci spieghi qual è il senso dell’esistenza.
A riprova dell’infantilismo del credente si ricorda che il ‘divino’ nella vita degli uomini si è andato via via attenuando con l’aumentare della conoscenza, col progredire della scienza e della comprensione dei fenomeni”. Riteniamo che sia poco laico un tale atteggiamento nei confronti dei credenti, i quali, d’altra parte, potrebbero rovesciare il giudizio, per cui (ricalcando lo schema precedente) si potrebbe dire che per chi accetta la fede il non credere in Dio è un modo infantile di evitare di porsi problemi, cui la scienza non è in grado di dare risposte, e nasce dal bisogno di sicurezza, che porta a restringere il campo di interrogazione; e, a riprova dell’infantilismo del non credente, si ricorda che il “divino” nella vita degli uomini è una costante, che non scompare con l’aumentare della conoscenza, mentre il progredire della scienza può aiutare a liberarsi di quanto è pseudo religioso, non di quanto è autenticamente religioso.
Pertanto l’accusa di infantilismo può essere rivolta sia a chi accetta la fede, sia a chi non l’accetta; il fatto è che l’infantilismo non sta nel credere o nel non credere, bensì nel modo in cui si crede o non si crede. A parte ciò, è infantile dare dell’infantile a chi la pensa diversamente.
Mettiamo, dunque, da parte questo tipo di valutazione. Altrettanto si deve fare con la convinzione secondo la quale lo scenario cosmologico cui aderisce il non credente, essendo per la Hack “molto
meno rassicurante, richiede più ‘coraggio’ della ragione”. Possiamo concordare sulla prima parte dell’affermazione, ma non sulla seconda, perché ancora una volta viene espresso un tipo di valutazione poco
laica, definendo i non credenti più coraggiosi dei credenti.
D’altronde, anche in questo caso, l’accusa potrebbe essere rovesciata, sostenendo che occorre più coraggio al credente per tenere la ragione aperta sul mistero che al non credente per tenerla chiusa dentro i soli problemi. Infine, una ulteriore osservazione riguarda la tipologia delle domande, che ben possono essere distinte in quelle che prima o poi avranno una risposta e quelle che invece resteranno
sempre senza risposta, ma ciò non legittima l’affermazione della Hack, secondo la quale in questo secondo caso “non ha senso chiedersi il perché ma solo accettare come un dato di fatto la realtà in cui viviamo, prendendo atto che è così”. Riteniamo che il fatto che queste domande non abbiano senso scientificamente non significa che non abbiano alcun senso.
Ancora una volta appare poco laico non ammettere la pluralità di approcci di fronte all’universo. Si tratta allora di evitare questo tipo di valutazioni della Hack, ed esercitare invece quel rispetto che la stessa Hack considera condizione di dialogo.
Per procedere in tale direzione, ci sembra indispensabile che, comunque sia concepito, lo scenario cosmologico venga avvertito come “affascinante”.
Questa parola, che usa la Hack, può ben qualificare l’atteggiamento tanto dei credenti quanto dei non credenti. Tuttavia. bisogna aggiungere che lo scenario non è più o meno affascinante
a seconda che si creda o non si creda: è affascinante per Margherita Hack come lo è per Antonino Zichichi: le loro diverse posizioni passano in secondo piano di fronte al fatto
condiviso di avvertire come affascinante il mondo, cioè di essere capaci di nutrire stupore e meraviglia nei suoi confronti, e quindi di non sottrarsi dal fare domande. Che, poi, l’interrogazione
concluda solo nella ricerca di spiegazioni ovvero che, oltre le spiegazioni, apra all’invocazione, è questione da lasciare alle possibili opzioni di ciascuno, e sono laicamente da rispettare

Prof. Giancarlo Galeazzi - Presenza - Diocesi di Ancona-Osimo
 
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