Fra Noi

I frutti dello Spirito, 7-8

« Older   Newer »
  Share  
fra roberto
view post Posted on 12/4/2016, 17:33 by: fra roberto

Fra Noi

Group:
Administrator
Posts:
1,096
Location:
Convento francescano di Mogliano

Status:


I frutti dello Spirito Santo /7

BONTÀ E BENEVOLENZA SONO FRUTTI DELLO SPIRITO

INTRODUZIONE

Bontà: frutto di un cuore nuovo

In una società dove arrivismo e concorrenza sembrano dettar legge, lo Spirito Santo vuole creare una nuova condizione e nuove situazioni immettendo un suo prezioso frutto: bontà e benevolenza. Il cuore dell'uomo e malato, per cui i suoi frutti non possono essere automaticamente buoni. Un cuore affidato all'azione della Salvezza recupera il gusto e la sapienza che permettono di incarnare rapporti umani in novità.
Lo Spirito Santo manifesta al cuore dell'uomo, in primo luogo, la bontà di Dio: ogni cosa che esce dalle mani del Creatore è buona e quindi contiene in sé un annuncio di amore. Sappiamo che cosa è avvenuto con il peccato originale: ogni rapporto è stato falsato, ogni cosa è stata bacata.
Lo Spirito Santo restaura il cuore! La prima opera di novità è la nuova sensibilità che permette di riconoscere il positivo dietro ogni cosa e dietro ogni persona; solo con questo paio di occhi nuovi, frutto e dono dello Spirito, si torna a gustare le cose belle che il Creatore ci ha donato, si torna a guardare la gente come un dono e non come un ostacolo per la nostra crescita, personale e comunitaria. Una esperienza viva e concreta di Dio-bontà-misericordia fa dell'uomo un essere attento e disponibile alle grandi esigenze d 'amore che ci sono attorno a lui. Un uomo modellato dallo Spirito, rinnovato nell'intimo, diventa un punto di riferimento decisivo per una altrettanto decisiva svolta nel nostro cammino sociale. Solo un uomo positivo, perché agganciato alla bontà di Dio, riesce ad incarnare opere positive e diventa veramente sale e luce per il mondo.




LA RIFLESSIONE

Dio ama
chi dona con gioia

S. Paolo, parlando di bontà e benevolenza quali frutti dello Spirito, intende parlare di una fondamentale ed esplicita manifestazione della carità. Infatti la bontà evangelica di cui ci parla è tutt'altro che un vano miscuglio di buoni sentimenti: non si tratta di «stare buoni» o di «essere buoni», ma di vivere una bontà forte, che incida nella società e che sia in grado di affrontare tutte le forme del male, non per rendere male per male, ma per vincere, sorretti dall'amore divino, il male con il bene (cf. Romani 12, 17-21).
La benevolenza cristiana sgorga dal cuore, il suo dono è libero e lieto: «Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, poiché Dio ama chi dona con gioia. Del resto Dio ha il potere di fare abbondare in voi ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene» (2 Corinti 9, 7- 8). La benevolenza, dunque, non richiede ricchezze materiali per esercitarsi, perché essa è prima di tutto espressione di uno spirito di bontà e di umanità.
L'esempio più commovente ci viene indicato dal Signore stesso quando loda il contributo della povera vedova: «In verità vi dico, questa vedova, povera, ha messo più di tutti» (Luca 21, 3). Questa donna è stata generosa nella penuria; il suo atto, meritevole dell'aperta lode di Gesù, insegna che anche la povertà evangelica va caratterizzata dalla generosità, e tanto più quando ci si rende poveri per il Regno di Dio. Un povero per Cristo sarà sempre un uomo generoso.

La benevolenza cristiana è una partecipazione della bontà evangelica che può essere riassunta nella parola: «Dà a chi ti chiede» (Luca 6,30). Una bontà aliena da ogni astuzia o calcolo umano, nonché dalla continua preoccupazione del proprio interesse particolare. Si tratta di una apertura dell'anima che sa uscire dai confini di se stessa per collocarsi al centro della comunità del creato in cui tutto è al servizio dei fratelli più bisognosi, perché figli dello stesso Padre. È una benevolenza esigente, perché ha la sua essenza non nel dono delle cose, ma nel donare se stessi attraverso ed al di là delle cose.
La benevolenza cristiana non si basa sulla speranza del ricambio: «Io dò affinché tu dia...», ma si nutre della bontà divina ed è la manifestazione di un'anima resa "buona" dallo Spirito. Un uomo benevolo fa del bene proprio perché sente di farlo ed è in ciò liberale ed umile ad un tempo. Perciò non soffoca l'altro sotto il peso del suo beneficio, non lo lega a sé, né lo rende a sé dipendente con doni, ma lo lascia e lo rende libero. S. Ambrogio esprime questo carattere gratuito e gioioso della bontà evangelica come il fondamento e l'essenza delle perfezione evangelica: «Questo è essere perfetto e recare il massimo vantaggio a quelli che ci sono vicini e non imporre loro nulla di gravoso».
La bontà e la benevolenza, dunque, si concretizzano nei vicini, cioè in quel prossimo di cui parla Cristo nella parabola del buon samaritano. Un prossimo che si incontra per le nostre strade percorse quotidianamente, che si riesce a vedere ed a riconoscere nel momento in cui si alzano gli occhi dagli angusti confini di noi stessi, abbattendo le barriere che ognuno di noi porta dentro di sé o costruisce attorno a sé. Un prossimo di fronte a cui S. Giacomo invita a non sentirsi fratelli teoricamente o con sole buone intenzioni (cf. Giacomo 2, 14-26), ma, secondo l'insegnamento della parabola, fare come il buon samaritano: interessarsi all'altro fermandosi e chinandosi su di lui, sporcarsi le mani senza aver paura di perdere qualcosa di sé e, soprattutto, dando all'altro del proprio. Solo così si realizza la vera comunione fraterna di cui si parla negli Atti degli Apostoli (Atti 4, 32-35) e che diventa segno e testimonianza concreta dell'Amore di Dio per l'uomo; è la testimonianza, cioè, del volto buono e benevolo con cui Gesù va incontro all'uomo di ogni tempo, cercando non la morte del peccatore ma che questi si converta e viva.

Jhonny Libbi

LA SCHEDA BIBLICA

Il volto di Dio-Amore

Romani 12, 9: «La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene. Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno. Gareggiate nello stimarvi a vicenda...».

Romani 13, 10: «L 'amore non fa male a nessuno: pieno compimento della legge è l'amore».

2 Cor 9, 7-8: «Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia. Del resto Dio ha il potere di fare abbondare in voi ogni grazia, perché avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene».

Romani 12, 17-21: «Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti... se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere... Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male».

Come frutto dello Spirito Santo la benevolenza e la bontà sono fondamentali ed esplicite manifestazioni della carità. La benevolenza in modo particolare indica una "buona" disposizione di animo verso gli altri ed indirizzata a procurare il loro bene con una particolare inclinazione affettiva.
L'uomo che è mosso dalla carità e quindi dallo Spirito Santo non solo è attaccato, quasi affezionato al bene, ma ha anche un'intima adesione del cuore al bene del prossimo. Benevolenza significa "ben volere", quindi volere il bene degli altri attraverso atti specifici di bontà. Poiché «nessuno è buono se non Dio solo» (Lc 18,19), la vera benevolenza e la conseguente bontà non possono che essere operazioni di Dio in noi e quindi frutti della nostra comunione con lo Spirito Santo. E' ciò che vuol dirci S. Paolo in Romani 12,9. Quando infatti la carità non è 'finta', ma è sincera ed autentica, ci porta a fuggire il male e ad essere attaccati al bene amando gli altri con affetto fraterno. Desiderare il bene degli altri ci porta a superare l'invidia e la gelosia e volere che gli stessi abbiano tutti i beni possibili. Allora la benevolenza diventa generosità: si gode, si gioisce nel procurare il bene dell'altro come Dio gioisce nel volere il nostro stesso bene. A riguardo Paolo, parlando agli anziani della chiesa di Efeso a Mileto richiama una celebre frase di Gesù: «vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (cf. Atti 20,35). Perciò Dio ama chi dona con gioia. La vera bontà, come l'amore non cerca il proprio interesse: si è veramente buoni quando si compie il bene in forma del tutto disinteressata, quasi come una forma di gratuità che nasce dall'amore. Qui tocchiamo quasi con mano che la bontà e la benevolenza sono un frutto dello Spirito e che la forza di vivere la nostra fede è dentro di noi. Infatti solo l'amore che procede dallo Spirito Santo può farci superare certe forme di egoismo, di invidia, di gelosia e ci proietta con generosità e gioia verso il bene, ma anche il sapersi sacrificare lasciandosi trasformare dallo Spirito.
La bontà e la benevolenza è sempre gioiosa e presuppone la generosità del cuore. Il non fare male a qualcuno, il non rendere a nessuno male per male suppone la rinunzia ad ogni forma di rivendicazione, di violenza, di vendetta. Positivamente implica l'evitare che in qualunque modo qualcuno soffra ingiustamente a causa nostra, il non dargli pene inutili, il non fargli torto: perciò l'amore non fa male a nessuno: «pieno compimento della legge è l'amore» (Romani 13,10).
La bontà evangelica, frutto dello Spirito Santo, è interamente buona nelle intenzioni, nei pensieri, nelle opere e nelle parole: è semplicemente e totalmente buona. E' aperta a tutti, non va rifiutata a nessuno e perciò non può circoscriversi nell'ambito della cerchia degli uomini che ci siamo scelti noi stessi come compagni o amici.
Il Vangelo, soprattutto attraverso alcune parabole ci ricorda tutto questo. Ricordiamo in modo particolare la parabola del buon Samaritano (Lc 10,29 e segg.). Ricordiamo alcune parole di Gesù: «a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello...» (Matteo 5,40). «A voi che ascoltate io dico, amate i vostri nemici...» (Luca 6,27 e segg.). «Dà a chiunque ti chiede... » (Luca 6,30). E' in questa maniera che non ci si lascia vincere dal male ma si vince il male con il bene dell'amore. Parole certamente sublimi, cariche di esigenza. Dio solo può darci' la capacità di metterle in pratica!

* Gesù ti dice: "amerai il prossimo tuo come te stesso. Chiediti con coraggio e rispondi con franchezza: qual è il tuo coraggio di amare e di volere il bene degli altri fino in fondo?
* Quando "doni" lo fai con riserva, pretendi il ricambio, lo fai con astuto calcolo per tuo tornaconto personale? Oppure ti sforzi di collocarti nella linea del Vangelo e della parola del Signore?

p. Augusto Drago



IN CAMMINO CON MARIA

In Maria la pienezza della bontà di Dio

«L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore...» (Luca 1, 46-47). Con queste parole Maria innalza il suo canto di lode e di ringraziamento al Signore che nella sua infinita bontà si è chinato su di lei e l'ha colmata dei suoi doni.
Più di ogni altra creatura, infatti, Maria ha fatto esperienza della benevolenza di Dio. Ella ha trovato grazia presso Dio (Luca 1,30) e in questo termine è espresso tutto il fervore, l'affetto, la benevolenza che Dio ha per lei.
Non si parla qui di un singolo dono, ma di un atteggiamento globale di bontà e di affetto.
L'angelo la chiama "piena di grazia" (Luca 1,28) e non con il suo nome proprio, perché la benevole condiscendenza di Dio e ciò che propriamente la caratterizza. Questa pienezza di doni e di grazia è data in vista di un compito, di una missione particolare che Dio stesso, con l'azione del Suo Spirito e con la Sua potente presenza, rende capace di portare a termine. Maria, da parte sua, ha corrisposto con tutto il suo io "umano e femminile" a questa elezione e missione.
Tutta la sua vita è corsa lungo i binari della bontà e della benevolenza. Infatti se la bontà è cortesia, è gentilezza, è mitezza, è affabilità, generosità, carità, è disponibilità e attenzione ai bisogni degli altri e la benevolenza è quella disposizione d'animo che inclina ad amare gli altri e a far loro del bene, come non ritrovare tutte queste realtà in Maria?

A Nazareth, con generosità e disponibilità accoglie il progetto di Dio e con il suo "si" si pone a servizio dell'opera redentrice del Figlio, di cui diverrà la prima e perfetta discepola.
A Betlemme mostra ai pastori la benevolenza di Dio che si fa visibile, che si fa uomo, carne.
A Cana, attenta ai' bisogni degli altri, sa intercedere presso il Figlio.
Sul Calvario, ancora una volta generosa nell'offerta, Maria abbraccia con un unico sguardo d'amore il Figlio e quanti - nella persona di Giovanni - sono stati affidati al suo cuore di madre.
Maria seppe fare della propria vita un culto a Dio e del suo culto un impegno di vita. Maria è l'esemplare perfetto di ciò che la creatura è chiamata ad essere di fronte al Creatore. E' espressione della perfetta unione dell'uomo con Dio.

Maria è la primizia della creazione, ma, come Lei ogni uomo è guardato da Dio con un amore di benevolenza. Egli infatti «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo» (Efesini 1,3-5). E in Gesù riceviamo la redenzione «secondo quanto nella sua benevolenza ave va prestabilito» (Efesini 1,9).
In Gesù Cristo Dio si dona all'uomo, perché l'uomo ritorni a Lui. E' un dono gratuito e disinteressato, frutto della sua misericordiosa benevolenza. Dio vuole che tutti gli uomini per mezzo di Cristo, nello Spirito, siano partecipi della natura divina e poiché è «lo Spirito stesso che attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio» (Romani 8,15-16), è chiaro che la vita cristiana deve essere una vita secondo lo Spirito.
Maria di Nazareth ci insegna proprio questa docilità all'azione dello Spirito, il quale agendo nel cuore dell'uomo, gli permette di uniformarsi sempre più a Cristo e di produrre frutti di bene. L'amore di benevolenza è infatti questo "amore di amicizia" tra Dio che elargisce la Sua grazia santificante e l'uomo che si impegna a corrispondervi con atti concreti di carità, di amore, di bontà.

P. Kolbe, cresciuto alla scuola di Maria, conosceva bene questa verità. «L'intensità dell'amore d'amicizia (Amor benevolentiae) è lo zelo - scrive - Colui che ama Dio per se stesso cerca di fare in modo che tutti lo amino, ed escogita le modalità per realizzare il suo intento, con la riflessione, con la serenità, con la bontà» (SK 987 R).
P. Kolbe seppe fare della sua vita un'espressione della bontà di Dio, quella bontà che sa arrivare al cuore dei fratelli e vi scorge le capacità di bene, anche se molte volte nascoste o sopite.
Una bontà, quella di S. Massimiliano, vissuta nel dono di sé, momento per momento, pagando di persona e dando sempre qualcosa di se stesso, cominciando dai fratelli più vicini per arrivare poi a quelli più lontani. Tutto il suo apostolato, tutta la sua vita furono spesi per un unico obbiettivo: combattere e vincere il male con il bene.
«Combattere il male nello spirito della M.I., dell'Immacolata, con amore verso tutti. Mettere in rilievo e lodare maggiormente il bene, affinché l'esempio attragga. .. » (SK 1281) non si stancava di ripetere P. Kolbe, per «strappare il maggior numero possibile di anime dai legami del peccato, premunire contro il male, confermarle nel bene» (SK 216).

P. Kolbe lancia la sua sfida anche a noi e ci ricorda che il mondo ha bisogno di cristiani, adulti e maturi nella fede, capaci di essere : espressione dell'amore gratuito e benevole di Dio.

Angela Savastano

CON FRANCESCO, «UOMO NUOVO»

«Chi ci ha creati
è infinitamente buono...»

«Nelle cose belle riconosce la bellezza somma e da tutto ciò che per lui è buono sale un grido: chi ci ha creati è infinitamente buono...» (Fonti Francescane, 750).
Dio è bontà, anzi, più propriamente, usando le parole del Poverello, «Dio è il Bene, il sommo Bene, il solo ed unico Bene...». La bontà-benevolenza è la caratteristica che più di ogni altra colpisce l'animo sensibile di Francesco, tanto che non si stanca di contemplare, di gioire e di ringraziare Dio per il suo amore.
Quello di Dio è un amore che tende esclusivamente a donarsi e a donare perfettamente. Dio, nella definizione di San Giovanni, è Amore, bontà, benevolenza. Dio si dona nell'Incarnazione e nell'opera della salvezza, come nelle meraviglie della creazione e nella misteriosa iniziativa di intrecciare un dialogo con l'uomo; un dialogo di chiamata e di risposta.

Francesco ha fatto questa esperienza di Dio, ha sentito su di sé questo amore, lo ha respirato, si è sentito "accolto" benevolmente in questo abbraccio di Dio. Lo ha sentito «benigno e pio», lo ha sperimentato «ineffabile, soave, amabile e dilettevole, desiderabile». Questa esperienza di bene, di accoglienza, di bontà si è poi tradotta in un atteggiamento simile con l'uomo, con il fratello.
E' benevolo, Francesco, verso chi sbaglia; non condanna... ma «tutto copre, tutto sopporta». Il Poverello non condanna il prete peccatore, ne bacia le mani; non predica nelle parrocchie dove abitano «sacerdoti poverelli» senza il loro permesso. Una espressione che troviamo spesso nei suoi scritti e nei suoi dialoghi è questa: «benigne recipiant», siano accolti benevolmente. Così si accolgono i novizi, così si accolgono e si servono i ladri di Montecasale...
Questa è l'esperienza che fa di Francesco e dei suoi «degli eterni contemplatori e innamorati cantori della insondabile bellezza e bontà di Dio»: Dio è amore, di amore vive nell'eterna comunione trinitaria, per amore, liberamente, crea nel tempo, per amore si incarna e redime ed ora ci assiste con il suo divino Spirito... Da questa coscienza, dall'entusiasmo sempre nuovo davanti alla imprevedibile bontà di Dio, scaturisce il bisogno struggente di rendergli ogni grazia, di restituirgli, moltiplicati, i suoi doni, insomma l'attitudine alla riconoscenza, la risposta d'amore, che è il cammino di ascesa a Dio, o di ritorno a Dio, nel quale Francesco vorrebbe trascinare tutto se stesso, l'umanità e tutte le creature.

La benignità di Francesco è più che una semplice questione di temperamento e di tratto nel vivere sociale. Essa è questo, ma non solo questo: suggerisce perciò non soltanto gentile accoglienza, cortese socievolezza, amabile compiacenza, tutto ciò che insomma può rendere piacevole al prossimo la nostra convivenza, ma è anche padronanza di sé, dominio di sé e, soprattutto, sacrificio.
La benignità di frate Francesco sgorga dalla docilità allo Spirito Santo. La sua è l'affabilità di un'anima affinata e dilatata dallo Spirito: questa benignità la si legge nel sorriso limpido, nel gesto deferente, nel tratto gentile e rasserenante; essa è segnata di delicatezza, di buon umore.

L'affabilità di Francesco non mira a guadagnare l'altro né tanto meno a lusingare l'altro, ma a favorire l'unione e la riconciliazione tra le persone. Ciò include rinuncia a se stessi e una continua attenzione agli altri: vuole essere testimonianza di benevolenza con la parola e con il gesto gratuito, come la visita o un segno di interesse. Tutto ciò è proprio di un figlio di Dio, di colui che è nato da Dio ed elevato dallo Spirito, desiderando appianare per gli uomini i sentieri del suo amabile Signore, Gesù Cristo.
La benevolenza cristiana sgorga dal cuore, il suo dono è libero e lieto. La bontà evangelica non è un miscuglio di buoni sentimenti. Non si tratta di rimanere in un atteggiamento innocuo, ma coinvolgersi, come Francesco, in una dinamica di autenticità sul piano sociale, e l'autenticità del cristiano è fatta di bontà interiore, di accoglienza, di testimonianza che denuncia una vita squalificata, ogni forma di compromesso con il male. Il cristiano è certo che, sull'esempio di Francesco, sia possibile ottenere verità e libertà, pace e gioia solo attraverso una testimonianza gioiosa e coinvolgente dell'incontro avuto con il Dio di amore, di bontà e di benevolenza.

p. Giancarlo Corsini

ALLA RICERCA DI CONCRETEZZA

La sfida dell'amore

Lo Spirito Santo ci... provoca con il dono della «bontà» e della «benevolenza»; si tratta di una autentica provocazione, perché noi non incarniamo spontaneamente nella nostra vita questa dimensione dell'amore che ci rende tanto simili al nostro Padre e Creatore. Sarà proprio lo Spirito, allora, a cambiare il nostro cuore perché sperimentiamo, in primo luogo, la gratuità dell'amore di Dio ed impariamo, poi, a renderlo plastico nelle nostre scelte di vita, nei nostri rapporti fraterni, nel nostro guardare noi stessi e giudicarci.
Bontà e benevolenza non sono la stessa cosa; la bontà riguarda la concezione stessa che abbiamo della vita, mentre la benevolenza e l'espressione della dimensione bontà nel nostro comportamento e del nostro rapportarci con il mondo, le persone, noi stessi e Dio. Proviamo a riflettere brevemente su quanto di concreto comporta accogliere in pienezza questa dimensione dello Spirito e questi suoi doni nella nostra vita.

Colpisce sempre, rileggendo la prima pagina della Bibbia, una affermazione che manifesta tutto... l'ottimismo di Dio: dopo ogni atto creativo, Dio contempla la sua opera, se ne compiace e dice che è «cosa buona». Dopo la creazione dell'uomo abbiamo una affermazione ancora più decisa: «E Dio vide che era cosa molto buona» (Genesi 1,31). Questo ci immette in una straordinaria dinamica di positività: tutto ciò che Dio fa è«buono» perché è frutto della stessa Bontà. La bontà è, quindi, un aderire al disegno di Dio, un guardare il mondo con i suoi occhi, un contemplare e riconoscere (e riconoscersi) il tutto come parte di un progetto di amore, di gioia, di libertà autentica. Il peccato originale ha inquinato il cuore dell'uomo al punto che questi non riesce più a percepire con «bontà» quanto lo circonda e nemmeno se stesso.
La «benevolenza» nasce da questo originale progetto «buono» che Dio fa creando e proponendo all'uomo un cammino in pace con Lui, e quindi riconciliato in se stesso. Se non è più possibile, per colpa del peccato, originale e attuale, entrare in sintonia con la bontà del Creatore, si guasta tutto! In primo luogo salta il rapporto uomo-uomo, perché la mancanza di un comune punto di riferimento sul piano creazionale non fa più riconoscere l'altro come «fratello», e se l'altro non è mio fratello o è un mio rivale o, bene che vada, un essere che mi resta alquanto indifferente.

La salvezza che Gesù ha operato ha rimesso in cammino l'uomo sulla giusta strada; ora, chi vuole, può davvero ritrovare il senso di «bontà» e «benevolenza». Il compito affidato da Gesù allo Spirito Santo è quello di aiutare l'uomo a «far memoria» dell'Amore del Padre, incominciando, proprio per questo, a guardare le cose e le persone con un occhio nuovo, salvato, libero da quelle incrostazioni che non gli permettevano più di vedere la «bontà» e di incarnare rapporti di «benevolenza». L'ottimismo del cristiano è contagioso e cambia la storia, rendendola positiva, ben orientata, cosciente dei valori autentici che edificano e conducono alla meta. Lo Spirito Santo, donando al cuore dell'uomo «bontà» e «benevolenza», rimette in cammino l'umanità secondo il progetto originale di Dio.

A. Giovanissimi
Quelli che vengono definiti «bravi ragazzi» secondo la logica del mondo non sempre corrispondono al disegno di Dio: si dice bravo nel mondo a chi non crea problemi, a chi non si pone troppi problemi, a chi rinuncia ad una strada sua per fare quella che fanno tutti... Il Signore vuole mettere nel tuo cuore l'autentica bontà, che è una qualità del Suo cuore, e ti vuole testimone del Suo amore con gesti di autentica benevolenza.
* Ami davvero ogni cosa che Dio ha fatto con amore e che Dio ti ha donato con tanta bontà? Sai rispettare le cose che sono attorno a te? Sai vivere un rapporto autentico con il tempo che ti è donato?
* La benevolenza che Dio ha nei tuoi confronti e che si manifesta in mille doni che Egli mette tra le tue mani ogni giorno sai manifestarla nei confronti con i fratelli che hai sulla tua strada?

B. Giovani
Bontà e benevolenza rendono piena e gioiosa la vita di un giovane. Chi si innamora della vita è affascinante perché in ogni suo gesto manifesta il positivo e sa trovare, anche dietro la situazione più ingarbugliata, un messaggio di speranza e di edificazione. In un mondo troppo spesso dipinto in nero, il giovane cristiano è chiamato a testimoniare, nei gesti concreti del quotidiano, la bellezza della vita e la meraviglia che si può toccare con mano, attimo per attimo, accettando la vita come dono.
* Chi mi è accanto può dire di incontrare una persona diversa, diversa perché positiva?
* La gioia caratterizza la mia vita, oppure mi lascio prendere da momenti di abbattimento che denotano una mia lontananza dalla Sorgente positiva della vita?
* La bontà del Signore mi si manifesta come misericordia: so manifestare l'amore di Dio perdonando quanti mi fanno del male?

C. Giovani coppie
Bontà e benevolenza sono l'espressione concreta dell'amore: una giovane coppia si educa all'accoglienza reciproca, una accoglienza fatta di misericordia e di costante promozione dell'altro. Troppo spesso il maligno lega il cuore, bloccandolo su situazioni di limite e questo paralizza la dinamica dell'amore. Ci è chiesto di invocare dallo Spirito i doni della bontà e della benevolenza per guardare ogni situazione in positivo e per saper leggere al di là delle situazioni contingenti.
* Il nostro rapporto di coppia è positivo, oppure ci capita ancora di bloccarci e chiuderci perché non riusciamo ad uscire dal nostro punto di vista?
* Se il Signore è la sorgente ed il lievito del nostro rapporto d'amore, come cambia il nostro giudizio sulle cose e sulle persone? Finiamo per giudicare, come fanno in tanti, oppure ci affidiamo alla bontà del Signore e da Lui imploriamo la capacità di accogliere tutti?
* Chi ci in con tra può sperimentare la bontà del nostro cuore come frutto dell'amore che ci unisce?

D. Catechisti
Un atteggiamento di benevolenza facilita il rapporto educativo e formativo che si deve necessariamente instaurare tra il catechista ed i suoi ragazzi. Compito del catechista è far conoscere il volto buono e misericordia di Dio, così che i ragazzi si innamorino dell'Amore.
* Nel tuo rapporto con i ragazzi emerge la "bontà" come frutto della tua esperienza di Dio e come dono dello Spirito Santo?
* Quali iniziative pratiche si possono prendere perché i ragazzi incontrino la bontà del Signore e la riconoscano come un fatto concreto, sperimentabile nella loro vita quotidiana?
* Sento che il Signore mi chiama ad amare tantissimo i ragazzi che mi sono stati affidati, amarli in nome Suo, così che si sentano importanti davanti a Lui e crescano in piena libertà e serenamente e fiduciosamente abbandonati tra le braccia della Divina Provvidenza?

p. Silvano Castelli



PER LA PREGHIERA

«Nessuno è buono se non Dio solo...»

Le opere dello Spirito costruiscono la fraternità perché sono situazioni personali che rivelano la carica positiva in presenza di altri; sono date non per tesaurizzare in privato, ma per espropriarsene con amore oblativo perché i doni dello Spirito sono affidati in vista della costruzione della comunità.
Il possesso della benevolenza avvicina la propria azione comunitaria (Colossesi 3, 12-14) all'azione salvifica di Dio medesimo (Romani 2,4; Tito 3,4) mentre l'assenza di essa denuncia l'appartenenza al numero dei disgregatori (2 Timoteo 3, 1-5). Solo Dio è buono (Matteo 19,17; Marco 10,18; Luca 18,19), ma la bontà dimora nel cuore dell'uomo potenziata da Dio stesso (2 Tessalonicesi 1,11).
La benevolenza indica una buona disposizione d'animo verso gli altri, indirizzata a procurare il loro bene e che si esercita nel «fare il bene», ma non si riduce solo a questo; anzi, è piuttosto da considerare come un sinonimo del termine greco "filantropia", cioè amore per gli uomini.
La benevolenza, quindi, è una fondamentale ed esplicita manifestazione della carità.

Canto d'inizio

Spirito Santo, anima di tutta la Chiesa, che per te vive, e Spirito vivificante, davanti alla tua divina maestà io sto, come un vaso vuoto. Sento, pungente, la mia povertà: arricchiscimi con i tuoi doni; le tenebre mi avvolgono: dammi la tua luce; freddezza mi paralizza: riscaldami con la tua carità. Confesso la mia debolezza a te che sei fortezza; la mia lentezza a te, che sei vigore; tutto io aspetto dal tuo amore misericordioso. Come povero spero ed attendo.
Amen

Silenzio di adorazione

In ascolto della Parola - Colossesi 3, 12-17
È una fervida esortazione alla carità comunitaria. Che cosa vi è di più urgente oggi se non di creare degli spazi di bontà e di misericordia? Il discepolo deve diventare il segno della misericordia e della comunione, una vittoria continua sull'egoismo e l'ingiustizia.

Breve pausa di silenzio
Canto o canone

In ascolto della Parola - Marco 10, 17-30
La bontà è un attributo di Dio e, in senso assoluto, non può riferirsi che a Dio solo. La bontà che ci è chiesto di incarnare, perché a nostra volta diventiamo "segni positivi", non esige solo l'osservanza dei comandamenti nella loro materialità, ma donazione totale. Donazione, liberazione, spoliazione, rinuncia a tutto ciò che è tuo e non ti permette di essere disponibile alle esigenze dell'altro.

Breve pausa di silenzio
Canto o canone meditativo

Dalle Fonti Francescane, n. 676
Lo svuotamento totale di sé dà la possibilità a Dio di renderci così come Lui è: buoni e misericordiosi. Così trasformati non possiamo non essere "segni" di bontà attorno a noi


Preghiera conclusiva
Con i doni del tuo Spirito, o Padre, accompagni sempre l'esistenza e le azioni dei tuoi figli; rendici attenti e docili a questa voce interiore perché la forza che a Pentecoste ha rinvigorito gli apostoli ci trasformi e ci renda forti e generosi, ci assimili a Cristo e ci consacri al tuo servizio con la parola e la testimonianza.
Per Cristo, nostro Signore. Amen!

Canto finale
p. Albino Tanucci

I frutti dello Spirito Santo /8



LA FEDELTÀ
È FRUTTO DELLO SPIRITO





INTRODUZIONE

Fedeli al Dio fedele

La fedeltà che rende bella la vita è un dono di Dio; I 'uomo non l'ha nel proprio cuore, perché il cuore dell'uomo è instabile e cerca sempre soluzioni istintive odi comodo (è uno dei guai provocati dal peccato originale). La Salvezza che Gesù è venuto a portarci restaura il cuore dei figli di Dio e promuove la novità negli atteggiamenti e nei giudizi di chi a Dio si affida. La prima qualità «nuova» che un cuore redente sperimenta è proprio la fedeltà.
La fedeltà del cuore rende di nuovo l'uomo «a immagine e somiglianza di Dio», perché il nostro Dio è un «Dio fedele». Tutta la Rivelazione ci mette davanti al volto di un Padre che ama i suoi figli e li... insegue con il suo amore, un amore senza confini, senza sosta, senza condizionamenti.
La fedeltà di Dio viene innestata nel cuore dell'uomo che la implora con passione ed insistenza. Gesù dice ai suoi apostoli: «Quando verrà lo Spirito Santo egli vi guiderà alla verità tutta intera... Egli vi ricorderà ogni cosa»: è lo Spirito Santo che ci ricorda la fedeltà di Dio e ci dona la forza per incarnare nella nostra vita questa fedeltà.
Fedeli a Dio diventiamo, automaticamente, fedeli alla vita. Una via senza fedeltà è una vita umiliata, squallida. La fedeltà è apertura al mistero, ad una dimensione più grande di noi, è accoglienza di un disegno per la nostra vita, un disegno che supera I 'umano e si rivela, giorno dopo giorno, nei gesti concreti della vita.
Innamorati del volto di Dio, della sua fedeltà, finiamo per innamorarci sempre più della vita e sperimentiamo quanto bello diventi il tempo che viviamo nel sogno e nella speranza dell'eternità.


LA RIFLESSIONE

La fedeltà
è frutto dello Spirito Santo


La fedeltà di cui parla S. Paolo nelle sue lettere è la fedeltà stessa di Dio, quella, cioè, che Egli dona a coloro che sono suoi. Essa è la caratteristica più saliente di Dio che emerge dalla Sua progressiva autorivelazione e sottende tutta la storia della Salvezza. In questo senso è interessante notare il forte contrasto tra la fedeltà di Dio e l'infedeltà dell'uomo, del Popolo eletto. Da Adamo in poi, l'uomo fa continuamente esperienza da una parte della sua fragilità e dall'altra dell'Amore incredibile di Dio, fedele a se stesso ed alla sua promessa, al punto che non si arrende mai, ma prende l'iniziativa per andare incontro all'uomo che si è allontanato.
La fedeltà non è mai cosa semplice e gratuita; essa va pagata personalmente. Così anche Dio, come Abramo, è disposto a sacrificare il Suo Figlio unigenito per rimanere fedele. La sua è la fedeltà alla promessa di salvezza che aveva più volte fatto e rinnovato all'uomo tramite i suoi profeti. La fedeltà di Dio è il segno più tangibile della Sua Onnipotenza e grandezza, perché «solo il Signore è fedele per sempre» (Salmo 146).
L'uomo non è capace di tanto. Dalla creazione, infatti, egli si mostra infedele e rompe il patto che aveva con il suo creatore. E' il peccato di Adamo, che ha lasciato una profonda traccia in ciascuno di noi. L'infedeltà di Adamo si traduce in una infedeltà ad una relazione fondata sull'Amore. Dunque una infedeltà che nasce all'origine, dopo la creazione, e che si protrae nella storia di ogni uomo. Ogni uomo nasce con questa tentazione fondamentale dentro di sé: fare di se stesso il centro del mondo, essere colui che può decidere il bene e il male. Chiuso in sé, automaticamente l'uomo si chiude a qualsiasi possibilità di vera e profonda relazione. E' questa la più grande solitudine del peccato. E' il peccato originale che limita e condiziona la nostra più profonda realtà di figli di Dio, chiamati a vivere l'immagine e la somiglianza di Dio secondo cui siamo stati creati. Quasi che fosse una seconda pelle che costringe l'uomo a vivere secondo i suoi criteri. A questo punto l'uomo non può far altro che costatare la sua umana impotenza. Ecco, dunque, perché la fedeltà non può che essere frutto dello Spirito Santo, non può che avere in Dio la sua fonte ed essere il riflesso della Sua fedeltà.
La fedeltà cristiana, infatti, non è un atteggiamento stoico, basato sulla coscienza o sul desiderio di essere un uomo perfetto; essa è ispirata dall'amore di Dio e di Gesù Cristo. E' il Loro Amore fedele che si cerca di imitare ed al quale si vuole rispondere: fedeli alla volontà di Dio per amore.
Se manca questa forza interiore, l'esattezza esteriore diventa fariseismo. Frutto dello Spirito Santo, la fedeltà ha bisogno di trovare nell'uomo un terreno adatto e disponibile perché essa possa fruttificare, senza perdersi in una pia intenzione sterile e vuota.
Essere fedeli significa essere persone mature, coscienti di sé e delle proprie responsabilità, ma soprattutto capaci di portarle avanti queste responsabilità. Infatti nella vita non è difficile fare delle scelte, ma è il portarle avanti fino in fondo che costa sofferenza e sacrifici personali.
Per questo la fedeltà deve essere vissuta dinamicamente, cioè va accettata ed amata ogni giorno, riscoprendone la novità tra le pieghe della "normalità". Va fondata sul mistero dell'Amore fedele di dio che si dona totalmente all'uomo ed all'uomo dona il suo Spirito perché egli possa amare con lo stesso amore totale e fedele.
Il nostro mondo ha bisogno di persone affidabili che sappiano testimoniare, prima di tutto con la loro vita, la fedeltà di Dio. Come S. Paolo, tutta la Chiesa ha sempre tenuto a sottolineare che le singole vocazioni specifiche (matrimonio, vita religiosa, sacerdozio...) hanno la funzione di essere, in modo diverso ma complementare, segni e testimonianza efficace della fedeltà di Cristo alla sua Chiesa. Per questo ogni cristiano, in forza dello Spirito Santo ricevuto nel Battesimo e confermato nella Cresima, ha nuovamente e definitivamente la possibilità di vivere l'esperienza dell'intimità con Dio, ed è per vocazione chiamato ad essere un segno contagioso per le strade del mondo.

Jhonny Libbi



LA SCHEDA BIBLICA

Nell'Amore del Dio Fedele

1 Corinti 1,9: «Fedele è Dio dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro».

1 Tessalonicesi: «Colui che vi chiama è fedele e farà tatto questo...».

2 Tessalonicesi 3,3: «Il Signore è fedele: Egli vi confermerà e vi custodirà dal maligno».

Matteo 5,34-37: «Ma io vi dico: non giurate affatto... sia invece il vostro parlare sì sì, no no: il di più viene dal maligno».

2 Corinti: «Dio mi è testimone verso di voi che la mia parola verso di voi non è sì e no. Il Figlio di Dio Gesù Cristo, che abbiamo predicato tra voi non fu sì e no, ma in lui c'è stato il si».

Apocalisse 2,1 O: «Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita».


La fedeltà, come frutto dello Spirito Santo indica il comportamento caratteristico di chi è abitualmente fermo nei suoi principi, costante nel mantenere le promesse o gli impegni e conseguentemente indica la dote di chi sa essere leale, sincero con la conseguenza di essere "degno di fede", credibile e di ispirare fiducia negli altri Tale fedeltà si applica prima di tutto nel rapporto con Dio quando in modo particolare ci sforziamo di fare la sua volontà e di ascoltare la Sua Parola. Ma implica anche un aspetto interpersonale e comunitario. Fedele è il cristiano che non solo si sforza di compiere la volontà del Signore, ma anche si comporta con lealtà e verità nei confronti degli altri.
La fedeltà, come frutto dello Spirito Santo, è a sua volta il riflesso della fedeltà stessa di Dio. Il cristiano "fedele" è colui che ha accolto la fedeltà di Dio e, per mezzo dello stesso Spirito, la trasforma in fedeltà personale come atteggiamento verso Dio stesso e verso gli altri. Dio è fedele! Questo è il messaggio di tutta la Bibbia e che rifulge in modo chiarissimo in Cristo Gesù: Egli è la fedeltà del Padre al quale ha sempre saputo dire sì, amen! Dio è fedele perché la sua parola non viene mai meno, le sue promesse si realizzano. Dio è fedele perché è verità e noi possiamo aderire con sicurezza alle sue parole degne di totale fiducia perché le sue parole sono «certe e veraci» (cf. Apoc 22,6). Pertanto noi non solo crediamo in Dio, ma siamo anche sicuri di Lui, ci fidiamo di Lui, ci affidiamo a Lui: quello che Dio dice è certamente vero, quello che promette ce lo aspettiamo con assoluta sicurezza. E su questa linea che dobbiamo capire la fedeltà del cristiano, quindi la nostra. Dio ci chiede di essergli fedeli fino alla morte: di rispondere al sì che Lui ha detto a noi con un sì forte e deciso, con lealtà e sincerità.
Ma c'è una dimensione interpersonale e comunitaria nella fedeltà, frutto dello Spirito Santo. Anzitutto essa si manifesta nella coerenza della nostra condotta per cui diveniamo "degni di fede" e gli altri possono fidarsi di noi. Se consideriamo pertanto la fedeltà da questo punto di vista possiamo definirla come una virtù deiforme in quanto è propria di chi ha ricevuto dall'alto, dallo Spirito di Dio, l'effusione del suo Amore.
Chi è fedele manifesta un amore tutto particolare per la verità, fuggendo con orrore ogni menzogna ed ipocrisia. Ma agisce mai per apparire, per farsi notare, per acquistare fama o popolarità, per farsi notare ad ogni costo, per fare bella figura davanti agli occhi altrui. Fugge la malizia, la frode, ama la sincerità e la trasparenza ad ogni costo. Pertanto il Signore lo rende capace di meritare la fiducia: in altre parole chi è fedele è sempre uno di cui ci si può fidare. Per ciò stesso è uno che sa dare fiducia, poiché la «carità tutto crede» (cf. 1 Cor 13,7). Dare fiducia è quell'atteggiamento di carità verso il prossimo che può essere descritto come «fiducia creatrice», in quanto fa appello alla bontà altrui, moltiplica le sue risorse, sveglia le sue forze di iniziativa nel bene, incoraggia nel cammino verso Dio e a vantaggio degli altri. Chi è fedele esclude dunque dalla sua via sospetti e differenze ma sa avere in ogni cosa discrezione e prudenza.

* Dio è fedele: la sua parola è certa. Come rispondi alla fedeltà che Dio ha per te? Ti prendi gioco di Lui? Sei sincero con Lui? Hai cominciato sul serio a dirgli di sì?
* Qual'è il grado della tua fedeltà nei confronti degli altri? Ami la sincerità? O c'è ancora menzogna ed ipocrisia nella tua vita?
* Con il tuo modo di comportarti ispiri fiducia? Sei degno di fiducia? Sai anche dare fiducia agli altri?

p. Augusto Drago



IN CAMMINO CON MARIA

Maria, la donna fedele all'Amore


Nella "hit-parade" dei valori che la società, con i suoi modelli culturali, propongono oggi ai giovani, la fedeltà non è certo al primo posto. Si inneggia alla libertà, all'amore, all'indipendenza... la fedeltà, invece, è considerata "cosa" d'altri tempi, una sorta di "palla al piede" che impedisce di vivere e di esprimersi in pienezza. In realtà la fedeltà ha un valore quanto mai attuale, una sfida, al compromesso facile e comodo, che non tutti accolgono perché richiede il coraggio e l'audacia di essere coerenti a dei principi e a delle scelte, anche quando queste sono controcorrente rispetto alla mentalità comune.
Fedeltà, quindi, come lealtà, come costanza nell'amicizia e negli affetti, ma soprattutto come espressione piena dell'amore ,perché solo l'amore vissuto nel sincero dono di sé si traduce in fedeltà.
Per il cristiano che cammina alla sequela di Cristo «Via Verità e Vita», la fedeltà non è un "optional" ma una responsabilità alla quale non può sottrarsi; è un impegno che lo coinvolge, totalmente e che trae la sua forza e il suo alimento da un unica sorgente: la fedeltà stessa di Gesù, obbediente al Padre fino alla morte, perché si realizzasse il suo disegno di salvezza.
Dio che dall'eternità ha predestinato l'uomo ad essere suo figlio adottivo (cfr. Ef 1,4-5) «conforme all'immagine del figlio suo» (Rom. 8,29), in Gesù Cristo si rivela come il «Dio fedele a se stesso, fedele al suo amore verso l'uomo e verso il mondo» (Redemptor hominis, 9).
Egli si dona all'uomo e lo invita alla comunione con se nel figlio, mediante l'azione dello Spirito, perché è Cristo - Verbo Incarnato - che «rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela - anche -pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (GS 22).
Per ritrovare se stesso l'uomo ha bisogno, quindi, di percorrere la via di assimilazione a Cristo. In questo cammino lo Spirito Santo si rende presente nel suo cuore, in tutto il suo essere e lo guida verso la «verità tutta intera». La fedeltà, infatti, non è un traguardo che si raggiunge una volta per sempre e con le sole forze umane, ma è il frutto di una profonda "amicizia" con lo Spirito, il quale «viene in aiuto della nostra debolezza» (Rom 8,26) e ci aiuta a corrispondere, giorno per giorno, all'iniziativa libera e gratuita del Dio-Amore, con altrettanta libertà e generosità.
Maria di Nazareth si presenta a noi come il modello della creatura pienamente realizzata in Dio. In lei si manifesta il miracolo di una reciprocità assoluta fra il dono e l'accoglienza, fra la grazia e la fede; reciprocità che è essa stessa un dono di grazia, il dono particolare dello Spirito che ha operato in lei in maniera eminente ed esemplare.
La presenza dello Spirito si realizza in Maria in un contesto di libertà e di amore, di chiamate e di risposta vissuta nella fedeltà. Totalmente abbandonata in Dio e docile all'azione dello Spirito, Maria ha saputo ripetere ogni giorno, nella fedeltà e nella coerenza della fede, nei momenti di gioia come in quelli di prova e di dolore il «sì» libero e incondizionato pronunciato a Nazareth.
«Sì» al Tempio, quando Simeone le predice che «una spada trafiggerà la sua anima» (Lc 2,35). «Sì» nella vita nascosta a Nazareth dove «conservava e meditava ogni cosa nel suo cuore» (Le 2,19.51). «Sì» al Figlio «che le sembrava dire 'Seguimi' ancor prima di rivolgere questa chiamata agli apostoli o a chiunque altro» (Redemptoris Mater, 20).
«Sì» sotto la croce dove si associa pienamente al sacrificio del figlio per la salvezza di tutti gli uomini. «Sì» alla missione speciale che il Figlio le affida nella Chiesa come «Madre di tutti i redenti».
«Maria, la prima e perfetta discepola di Cristo, che all'annunciazione si è definita "la serva del Signore" è rimasta per tutta la sua vita terrena fedele a ciò che questo nome esprime» (Redemptoris Mater, 41).
Ella è la vergine fedele che ha «avanzato nella peregrinazione della fede» (Lumen gentium, 58) e nella conoscenza del mistero del Figlio, alla cui persona e opera aveva consacrato tutta se stessa. Maria è fedele nel cercare Dio con umiltà e amore, è fedele nell'accogliere con totale disponibilità la sua volontà, è fedele nel vivere l'autenticità della propria identità di donna, di madre, di discepola.
La fedeltà di Maria è un'ubbidienza di fede al Dio che le si rivela. Sulla Sua parola lei rischia tutta la propria vita.
Da quest'umile e pur grande fanciulla di Nazareth apprendiamo una grande lezione di coraggio e di fede. Maria ci insegna che la fedeltà si vive nella libertà, nella scelta quotidianamente ripetuta di aderire alla volontà del Signore, e ci dice che l'unica strada per realizzare pienamente se stessi è quella dell'abbandono fiducioso in Dio che - come aveva cantato nel Magnificat - non viene mai meno alle sue promesse e al suo amore per l'uomo.

È questa la strada che ha percorso anche S. Massimiliano Kolbe, fedele fino alle estreme conseguenze, alla sua vocazione cristiana e religiosa e a quel programma di vita che, ancora molto giovane, durante gli esercizi spirituali del 1920, tracciò per sé. «Devo essere Santo, quanto più grande possibile. Devo salvare me stesso e tutte le anime, presenti e future. Voglio fuggire con tutte le forze il peccato. Mi impegno ovunque a portare la pace e la bontà» (Scritti, 970). Un programma arduo, di un giovane generoso ben cosciente che la santità è una conquista personale, un impegno costane e faticoso da vivere soprattutto nella fedeltà: Un programma che Massimiliano raccomanda anche ai suoi frati: «Esigo che siate tutti santi... la santità non è un lusso è un do vere ", e scrive loro la formula della santità, quando la nostra volontà sarà conforme alla volontà di Dio, v = V, allora noi saremo santi».
E' questo il segreto che S. Massimiliano ha appreso alla scuola di Maria. Segreto che seppe incarnare nella sua vita, interamente vissuta nella fedeltà a Dio, alla Chiesa, all'uomo, dimentico di sè e tutto proteso al bene delle anime, missione «per la quale - egli dice - torna conto di vivere, lavorare, soffrire e anche morire» (Scritti, 31).
E padre Kolbe vive, lavora, soffre fino a dare la vita per il fratello perché sa che la fedeltà a Cristo ha esigenze radicali, esigenze di dedizione piena.
La testimonianza di vita di S. Massimiliano Kolbe possiede una particolare e penetrante eloquenza. Essa ci scuote dal torpore in cui spesso cadiamo e ci invita ad accettare, nel nostro mondo e nella nostra società, l'impegno della fedeltà di ogni giorno e a recuperare, così, la gioia di appartenere a Cristo.
Non è un impegno facile, certo, e non lo fu neanche per Padre Kolbe ma... è l'unico modo per collaborare con lo Spirito Santo, realizzando così un progetto di vita veramente riuscita e felice.

Augela Savastano



CON FRANCESCO, «UOMO NUOVO»

Francesco,
il «servo buono e fedele»


«Saluto voi tutte sante virtù che per grazia e lume dello Spirito Santo siete infuse nei cuori dei fedeli, affinché le rendiate da infedeli fedeli a Dio» (Fonti Francescane, 260).
Spesso San Francesco ripeteva ai frati: «Nessuno deve lusingarsi con ingiusto vanto per quelle azioni che anche il peccatore potrebbe compiere. Il peccatore - spiegava - può digiunare, pregare, piangere, macerare il proprio corpo. Ma una sola cosa non gli è possibile: rimanere fedele al suo Signore. Proprio di questo dobbiamo gloriarci, se diamo a Dio la gloria che gli spetta, se da servitori fedeli attribuiamo a lui tutto il bene che ci dona» (FF. 718).
Da questi due brani emerge chiara nella coscienza di Francesco la consapevolezza che la fedeltà è prima di tutto un dono da invocare da Dio e solo in seguito un impegno consegnato alle forze dell'uomo. Egli sa per esperienza che senza l'aiuto di Dio potrebbe ritornare alla vita scialba e insignificante di prima. La mancanza di Dio e il non avere una pienezza di significato per l'esistenza gli aveva trapassato il cuore negli anni giovanili precedenti la conversione.
Ma anche dopo la conversione il suo cuore è continuamente esposto al rischio di lasciare tutto. Fedeltà e dubbio, fedeltà e debolezza si mescolarono nel suo animo. E non poteva essere diversamente perché il dono di Dio non toglie all'uomo la sua condizione di creatura, anzi, ve lo immerge pienamente.
La vicenda umana di Francesco porta il segno di una vita che si è fatta quotidianamente confidando unicamente e totalmente sulla fedeltà di Dio. Francesco sa che di nostro abbiamo solo i vizi ed i peccati. La fedeltà è di Dio, ma egli ha una voglia matta di darcela, di comunicarcela.
Francesco sentì nel cuore la debolezza della creatura, la sua fragilità. Più volte il tentatore, soprattutto nei momenti cruciali della sua vita e di quella del suo Ordine, insinuò nella sua mente il dubbio, lo scoraggiamento e quasi la inutilità della sua vita penitente. Il roseto della Porziuncola sta lì a testimoniare la fatica della fedeltà e, al tempo stesso, la sua volontà fermissima di essere fedele a Cristo.

Nel rigore di un inverno, non capito dai suoi, sentì pungente nella sua vita la solitudine, la voglia di un affetto che temperasse quella solitudine... Fabbricò pupazzi di neve per ricordare a se stesso che era ancora capace di avere moglie e figli, piantando tutto e smettendo la sua vita di penitente innamorato del Vangelo. La sua fedeltà, la sua tenacia ci sgomenta... Noi siamo così lontani; la nostra fedeltà assomiglia molto alla rugiada che il primo raggio di sole fa sparire...
La fedeltà di Francesco poggia forse su di un carattere forte e tenace; è dono di natura o è conquista? Se fosse solo carattere dovremmo rassegnarci, invidiando la sua forza, mentre a noi non resterebbe che compiangerci per la nostra poca forza.
Eppure non è così. La sua fedeltà non è solo tenacia né volontarismo che non conosce tentennamenti. La fedeltà di Francesco, la sua virtù, non è solo conquista, anzi, è più dono che impegno; o, semmai, è docilità al dono che si traduce in tenacia e coraggiosa adesione.
Francesco è l'uomo dello Spirito Santo; dallo Spirito Santo si è fatto plasmare. Ha accolto e assecondato il suo operare ed egli ci appare solido e tenace.
Fu fedele al Vangelo di cui fu un assiduo ascoltatore; fedele alla Chiesa che amò teneramente come madre e servì con umile sottomissione; fedele alla vita promessa fino ad essere una copia fedelissima di Gesù povero e crocifisso...
Come è bella la fedeltà di Francesco... Giace nudo sulla terra, andando incontro alla morte, come quando nudo fu accolto paternamente sotto il mantello del Vescovo di Assisi all'inizio della sua conversione... Tutta la sua vita è intrisa di fedeltà, di appassionata fedeltà.
Lo Spirito che forgia i figli di Dio e li fa forti e fedeli ha mirabilmente operato nel Poverello. Egli è la manifestazione della potenza dello Spirito del Signore.
Guardando Francesco, incontrando la sua fedeltà, sentiamo crescere in noi la voglia di essere anche fedeli a Dio come lui. Dio, che ha reso fedele Francesco, trasformi in fedeltà la nostra povertà e incostanza.

p. Giancarlo Corsini




ALLA RICERCA DI CONCRETEZZA

Fedeltà,
per vivere nella pienezza

La fedeltà è condizione essenziale alla vita: non si vive nella occasionalità, non si vive se ci si lascia trascinare da facili entusiasmi cui seguono inesorabili delusioni... La vita è continuità e si fa, attimo dopo attimo, nel mio «sì» libero e generoso davanti alle proposte ed alle sfide che essa mi pone. Non posso sottrarmi ad alcun attimo; non posso nascondermi davanti alle situazioni che mi sembrano più forti e più grandi delle mie possibilità. La sfida è sempre proporzionata alla grazia che ti è data per scegliere e decidere in libertà: non sei solo, ma puoi contare sull'appoggio di chi nella vita ti ha proiettato ed in essa ha creato per te tutte le condizioni giuste perché tu sia felice. Ma occorre esser fedeli alla vita, fedeli in ogni circostanza.
La fedeltà non è una qualità connaturata al nostro cuore. Il peccato originale ha seminato illusione dentro di me e mi ha distratto dall'essenziale: l'appartenenza ad un discorso più grande, ad un progetto che mi supera e mi entusiasma. Chiuso nelle mie illusioni, braccato dai miei problemi, facilmente sfuggo alla responsabilità e mi sottraggo alla fedeltà che il momento storico che sono chiamato ad incarnare richiede. Ecco perché dobbiamo implorare il dono della fedeltà, che è un frutto dello Spirito Santo.
Una revisione di vita su questo affascinante tema della fedeltà può partire solo da una dimensione diversa della vita, da una logica più grande del mio punto di vista e dalla mentalità dominante. Dio è entrato nella storia per dimostrare la Sua fedeltà ad un progetto: Egli da sempre ha pensato e voluto l'uomo in cammino verso una pienezza; il tempo è solo la palestra in cui l'uomo è chiamato ad esercitare la libertà in scelte che edifichino, attimo dopo attimo, questo disegno eterno. Solo quando si accetta Dio come protagonista e come regista di questa nostra storia è possibile trovare un aggancio al discorso della fedeltà. Se non è così, tutto è davvero occasionale, tutto è transitorio, tutto è piccolo, talmente piccolo che diventa poco degno di esser vissuto... L'importanza di questo cambio di mentalità è relativa soprattutto ai rapporti umani: nessuno può legarmi ad una persona, in un rapporto costruttivo e duraturo, se non c'è dietro un progetto più grande di me più lungimirante del mio semplice "poter vedere o capire".

A. Giovanissimi

Un ragazzo cresce nella misura in cui è capace di "stare" al gioco della vita, anche quando questa vita dovesse diventare faticosa ed impegnativa... La fedeltà al proprio dovere quotidiano, nei rapporti con le persone, allo stare in casa, anche quando fuori tutto è calamitante e distraente... è il segno che si stanno assumendo delle responsabilità e che si stanno facendo dei passi avanti nella maturità che un domani farà felici.
* Sono capace di "pagare" per il m io dovere? Mi capita di sfuggire le cose che non sono di mio gusto?
* La mia fedeltà al Signore è più forte del fascino della mentalità della strada che, con tutti i suoi discorsi, vorrebbe allontanarmi dal Lui?
* Sono io a trascinare i miei amici verso l'impegno la serietà, la fedeltà, oppure mi faccio trasportare facilmente da loro verso il disimpegno ed il qualunquismo?

B. Giovani

Un giovane può misurare la propria capacità di fedeltà dal confronto con le cose che richiedono libertà interiore, superamento dell'istinto, atteggiamenti di novità. La mentalità dominante tende a sottolineare il "tutto scontato", la gratuità delle cose e la pretesa nei confronti della vita; un giovane che voglia farsi educare dal Signore cammina su strade diverse e sa molto bene che solo un solido fondamento permette alla casa di rimanere in piedi e di sfidare le tempeste. La fedeltà alle piccole cose di oggi è garanzia per la fedeltà nel grande gioco della vita che un domani si presenta davanti con tutte le sue sfide...
* Mi pongo ogni giorno il problema della mia fedeltà alla vita nella sua concretezza? Sento come grave peccato il lasciar scorrere il tempo senza che lo viva come dono?
* È entrata nella mia esperienza la mentalità "mondana" secondo la quale tutto mi è dovuto senza che io sia chiamato a pagare nulla? Come mi difendo da questo "scontato" che rappresenta la morte dell'entusiasmo e del senso della conquista?
* Sognare amore vuoI dire sognare Dio, perché «Dio è Amore»: ho mai pensato che non c'è amore senza fedeltà ? Se non so essere fedele agli appuntamenti che il Signore mi dà, in base a cosa sarò domani fedele alla persona che Dio mi porrà accanto?

C. Giovani coppie

L'esperienza dell'amore tra l'uomo e la donna è esperienza di una dimensione di vita che incontra il mistero. Dio ha deciso di farsi presente, sacramentalmente, nel rapporto uomo-donna e attraverso esso manifestarsi al mondo. La coppia incarna
l'amore come dono e come segno. Se non si fa esperienza profonda della fedeltà di Dio nei propri confronti, sarà impossibile incarnare l'esperienza di fedeltà nella coppia. Si richiede alla giovane coppia un costante ritorno alla sorgente della propria storia, una storia che non può essere mai "ridotta" ad una dimensione umana, ma invoca sempre l'infinito, il Dio-Fedele che Israele conosce nella propria storia concreta di popolo e la Chiesa vive nella propria esperienza di Salvezza.
* Ci interroghiamo sul significato della nostra storia? Riusciamo ad incontrare il Signore in essa nelle manifestazioni tipiche della Rivelazione (Dio eterno unico e fedele)?
*A volte la fedeltà chiede eroismo perché prende tutta la persona e chiede il tutto anche nei momenti di buio... Non è però in questi momenti che si manifesta che la storia che stiamo vivendo non è nostra ma è del Signore ed è il Signore che opera in essa?
* Cosa vuol dire per noi "santità nell'amore" alla luce di un cammino di fedeltà nel Signore e con il Signore nel piccolo quotidiano?

D. Catechisti

Il catechista è chiamato dal Signore a sperimentare in prima persona l'azione liberante dello Spirito. Solo chi ha incontrato il Signore così nella propria vita potrà annunciarlo in modo affascinante.
* Solo l'amore educa all'amore, è solo la fedeltà offre garanzie ad una vita nell'amore. Educo i miei ragazzi alla fedeltà ai gesti della fede, anche quando non nascono da spontaneità e da entusiasmo?
* Attraverso la storia della Salvezza, riesco a presentare ai miei ragazzi l'immagine del "Dio fedele " che non abbandona mai ed è sempre pronto a tendere la mano ai suoi figli?

La fedeltà qualifica la vita, la rende interessante perché la collega ad una esperienza più grande della semplice dimensione umana, riportandola in seno al Dio-Fedele che edifica una storia attraverso il «sì» libero e fedele dei suoi figli. Solo in questa dimensione ci sentiamo vivi in pienezza e riusciamo a fare della nostra vita un annuncio di pace e di speranza.

p. Silvano Castelli


PER LA PREGHIERA

L'amore dei Dio fedele


La fedeltà, in quanto frutto dello Spirito, merita una attenzione particolare. Essa può avere un senso attivo, indicando colui che dà fede a Dio, si affida a Lui; e un senso passivo, riferendosi a Dio, fedele e leale, che è degno di fede e ispira fiducia, al quale ci si può abbandonare completamente e senza paura di essere ingannato.
La fedeltà a Dio fa sì che i cristiani possono aderire con sicurezza alle sue parole, degne di totale fiducia. Tale fedeltà si pratica prima di tutto nel rapporto con Dio, cioè nell'adempimento della sua volontà. Ma fedeltà come frutto dello Spirito ha anche una connotazione comunitaria. Il cristiano «fedele» sarà propenso a dare fiducia agli altri, a credere in loro ed è disposto alla confidenza fraterna. La fedeltà come frutto dello Spirito è una caratteristica del credente, fedele e fidato, che è radicato nella carità; essa è una forma stessa della carità.

Canto di inizio

Signore, ti riconosco Dio magnanimo. Insuperabile nell'effusione dei tuoi doni al mondo e della tua grazia all'uomo, accogli il mio adorante stupore. La tua bontà lo suscita.
Il mondo l'impronta del tuo essere porta e la maestà rivela di tua grandezza.
Rimanda il creato il riverbero di tua magnificenza.
A chi ti cerca, con cuore sincero, tu doni te stesso: senza misura.
Non i tuoi doni soltanto: te stesso elargisci.
Tu, Signore, il tuo essere a me partecipi lume d'intelligenza. fervore di carità, vigore di volontà.
Tu sei grande. Mandami il tuo Spirito, che è per essere dono; mi educhi alla generosa dedizione di me stesso, al tuo e all'amore dei fratelli.
Il mistero della vita trinitaria. Signore, è amoroso scambio che si celebra ininterrottamente fra te, o Padre, e il Figlio tuo dilettissimo sollecita il mio spirito al dono di me stesso. E non già poi quando mi conviene, mi piace, mi giova, né quando mi aggrada, io cerchi e promuova. Educami Signore, al dono di me stesso agli altri. Mi introduca lo Spirito Santo nello spazio della massima liberalità.
Fino al sangue, Signore! Amen!

Breve pausa di silenzio
In ascolto della Parola di Dio - 1 Corinti 1, 1-16.
La fedeltà di Dio: Dio è fedele. Egli è fedele nelle sue promesse e alle sue promesse, cioè egli non solo promette, ma si dimostra costante in quello che ha promesso.

Breve pausa di silenzio

In ascolto della Parola di Dio -2 Giovanni 1-9.
Dio è fedele e chiede fedeltà a noi. E fedele è colui che stima e pratica la verità, regola abituale di ogni azione, e via sulla quale camminare.

Breve pausa di silenzio

Preghiera di abbandono
Padre mio, io mi abbandono a Te, di me fa' ciò che ti piace, qualunque cosa tu faccia di me, ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto, purché la tua volontà si compia in me e in tutte le tue creature;
non desidero nient'altro, mio Dio. Depongo la mia anima nelle tue mani te la dono, mio Dio, con tutto l'amore dei mio cuore, perché ti amo.
Ed è per me un 'esigenza d 'amore il donarmi, il rimettermi nelle tue mani senza misura. con confidenza infinita, poiché tu sei il Padre mio. (Charles De Foucauld)

Breve pausa di silenzio

Dalle Fonti Francescane, n. 2155
Fedeltà vuoI dire anche perseverare nella verità, fiduciosi che Dio mantiene le promesse fatte. Fedeltà vuoI dire non voltarsi indietro, non dimenticare tutto ciò che Dio ha compiuto per te, in te.

Silenzio di adorazione
Canto, o canone meditativo
Preghiere spontanee Canto del Padre nostro
Breve pausa di silenzio

Preghiera conclusiva
Rapisca ti prego, Signore l'ardente e dolce forza del tuo amore, la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell'amor tuo, come tu ti sei degnato di morire per amore dell'amor mio.
(S. Francesco)

Canto finale
p. Albino Tanucci
 
Web  Top
0 replies since 12/4/2016, 17:33   37 views
  Share