PASSA IL FAVORE! Dal film Prof. Simonet: C’è un mondo là fuori e anche se decidete di non volerlo incontrare, comunque vi colpirà dritto in faccia, credetemi. Dunque è meglio comincia a pensare al mondo ora, a cosa vuol dire per voi: che significa il mondo per ognuno di voi? Coraggio! Vorrei una classe che partecipa qui! È solo da quest’aula che volete tirarvi fuori? Da casa vostra? Dalla vostra strada? Nessuno di voi vuole spingersi oltre? Ogni quanto pensate alle cose che accadano fuori da questa città? Guardate il telegiornale? Sì, no? Bene, non siamo ancora pensatori globali, ma perché non lo siamo? Trevor: Perché… abbiamo undici anni Prof. Simonet: Giusto rilievo: forse Trevor ha assolutamente ragione: perché dovremmo pensare al mondo, insomma, dopotutto cos’è che il mondo si aspetta da noi, da te: cos’è che il mondo si aspetta da te. Trevor: Niente. Prof. Simonet: Niente… Mio dio, ragazzi e ragazze ha assolutamente ragione: niente. Sì, eccovi qui: non potete guidare, votare, non potete nemmeno andare in bagno senza un permesso da parte mia, siete incastrati, proprio qui nella seconda media. Ma non per sempre, perché un giorno sarete liberi. Ma che succede se il giorno in cui sarete liberi non siete preparati, non siete pronti, eppure vi guardate intorno e a voi non piace il mondo com’è… e se il mondo è un’enorme delusione ? Paco: Siamo fregati! Prof. Simonet: A meno che non prendete le cose che non vi piacciono di questo mondo e le sbattete via facendole finire a terra sulle chiappe. E potete cominciare a farlo oggi: questo è il vostro compito, avrete un voto e vale per tutto l’anno. No, no, un momento: cos’è che non va? Qual è il problema? Ragazzi: E’ tipo così… Strano… Pazzesco… Faticoso… Barboso Prof. Simonet: Barboso, faticoso… che ne dite di: possibile. È possibile, il regno della possibilità esiste dove? In ognuno di voi… Qui, perciò potete farlo, potete sorprenderci, spetta a voi, o potete starvene impalati e lasciarlo atrofizzare. […] Domande? Trevor: Sì… insomma, lei ci boccerà se non cambiamo il mondo? Prof. Simonet: O no, non lo farei mai, ma al massimo strappereste un sei. Il discorso di presentazione del prof. Simonet ci mette di fronte ad una cruda realtà: ci piace il mondo? Cosa facciamo noi per renderlo migliore? Sì, perché il compito che assegna ai ragazzi non è “pensa a un metodo per cambiare il mondo”, ma “pensa a un metodo per cambiare il mondo e mettilo in pratica”. Non importa se sei un ragazzino di soli undici anni: qui, ora, tu sei parte del mondo e puoi (devi) impegnarti per fare quanto ti è possibile per migliorarlo, anche se è faticoso, strano e pensare di riuscirci è pazzesco. Certo, non siamo obbligati a farlo, né tantomeno a riuscirci: il prof. Simonet in una successiva conversazione con uno scoraggiato Trevor gli confesserà che lui valuta l’impegno profuso nel tentativo di fare qualcosa e non la riuscita o meno del tentativo: è consapevole delle difficoltà, specie per dei ragazzi di undici anni, ma questo non significa che, nel loro piccolo non possano fare qualcosa. Pensiamo, ad esempio, allo stesso Trevor: lui cerca di aiutare dapprima Jerry, il tossicodipendente: ci riesce, ma fino a un certo punto, perché la soluzione del problema va al di là delle sue possibilità (anche se poi, a lungo andare, il seme che ha lasciato nel cuore del suo amico porterà frutto). Poi si dedica al prof. Simonet: in questo caso il compito è leggermente più semplice, anche se ha bisogno dell’aiuto di qualcun altro. Infine è il turno del suo amico Adam: in questo caso lui può davvero fare qualcosa, è un”favore” alla portata della sua età ed è proprio questo fallimento a pesargli di più, poiché non ha scuse: non è riuscito ad aiutare Adam non perché non ne aveva la possibilità o le capacità, ma perché non ha avuto il coraggio necessario. Ci vuole impegno e costanza, nonostante le difficoltà. Perché, secondo te, il metodo di Trevor ha funzionato e quello dei suoi amici no? Ricordiamo che un bambino ha chiamato il presidente per parlare dell’inquinamento, una ragazza ha messo due volantini sul riciclaggio in un supermercato… Parte della soluzione l’ha data il professore quando ricorda ai ragazzi che l’idea di Trevor è diversa perché comporta l’avere fiducia nelle persone e perché è necessario interagire con il mondo… Il metodo-Trevor prevede che non si possa restituire il favore, ma che questo vada passato: un metodo per coinvolgere più persone, certo, ma tutto sommato raddoppiare il numero di chi è coinvolto di volta in volta (se ho tre favori, ne restituisco uno e ne passo due il numero raddoppia e non triplica) sarebbe stato , comunque, un ottimo risultato. C’è, allora, qualcosa di diverso in questa scelta: la gratuità. Io faccio un “favore” per bontà e non per sdebitarmi: il voler sdebitarsi con Trevor è la prima risposta che la mamma si dà per l’aiuto che Jimmy le dà (quando ripara il furgone), lo stesso giornalista chiede all’avvocato se dovrà dargli qualcosa in cambio (uccidere la moglie, ricordate?) o se dovrà fargli sapere quando, come e a chi avrà passato il “favore”. Fare qualcosa per gli altri e non per se stessi: è questa la logica di Trevor, perché se si avesse la possibilità di avere qualcosa in cambio si sceglierebbero le persone da aiutare anche e soprattutto in base alle proprie esigenze e nessuno aiuterebbe chi davvero ne ha bisogno. La gratuità, inoltre, non consiste solo nel farlo senza “nulla a pretendere”, ma anche nello stile: io non lo faccio per sentirmi superiore agli altri, per vedermi riconosciuto uno status di bontà dagli altri o per prendermi i meriti (il ragazzo nero che in prigione dice al giornalista di essere l’ideatore del metodo). Quando aiuto gli altri lo faccio davvero gratuitamente? Mi aspetto qualcosa in cambio? Ma la totale gratuità comporta, per assurdo, un curioso effetto collaterale: “sorridi ed il mondo ti sorriderà” oggi si può tradurre in “aiuta qualcuno e penseranno che gatta ci cova”. La sfiducia nel prossimo, infatti, è tale che non siamo in grado di riconoscere la bontà e il disinteresse di alcuni gesti: il giornalista che non si fida del regalo dell’avvocato e pensa possa esplodere, il professore quando Trevor gli chiede come sia rimasto ustionato (dimostrando interesse verso di lui) pensa subito che l’abbiano mandato i suoi amici per “gusto-per-la-chiacchiera”. Come siamo arrivati a questo punto? Ci è mai capitato di diffidare di chi ci voleva aiutare? Restiamo sconvolti anche noi dall’amore e dalla bontà come il giornalista? Perché un tale messaggio di fiducia e speranza, di amore e di possibilità è così spiazzante? Forse perché se ci riesce un ragazzino di undici anni noi non abbiamo scuse? Perché ci sbatte in faccia la realtà del nostro io e della nostra natura? Perché ci fa capire che basta poco e che noi quel poco non lo facciamo? È difficile fidarsi degli altri anche per un altro motivo: a volte vedono più in là del nostro naso e ci dicono che stiamo sbagliando. Riusciamo a fidarci di chi ci vuole bene? O esiste solo il nostro giudizio perché sappiamo tutto noi, la vita è nostra e gli altri che vogliono?? Eugene Simonet è forse, la persona più aiutata da Trevor. Frasi del tipo “Le parole sono tutto quello che ho”, il non riuscire ad amare perché ci si sente inferiori, per la paura di essere respinti e disgustare gli altri, il nascondersi dietro un muro fatto di paroloni allo scopo di rendersi inaccessibili per gli altrici fanno capire quanto sia difficile accettarsi per quello che si è, come anche le persone che ci sembrano “perfette” siano uomini con le loro difficoltà e che hanno bisogno, in alcuni momenti, di essere presi per mano. E come il primo modo di aiutare gli altri sia migliorare se stessi. Eugene Simonet è un professore: quando dice a Trevor che ci tiene a lui anche se non si vede più con la madre, si sente rispondere che e perché è pagato per farlo. Vediamo la scuola come un ponte da passare per raggiungere la libertà, come un indottrinatoio (di cose che non ci serviranno) o la viviamo come momento per crescere e formarci come persone? Vorremmo che la scuola oltre che darci nozioni ci aiutasse a capire il mondo e a crescere come persone, prima che come studenti? Trevor alla fine del film muore per aiutare Adam. Riteniamo che sia una cosa ingiusta? Alla fine lui voleva solo fare del bene… Come dice lo stesso Trevor più volte nel film, il “favore” per essere tale, deve costarci fatica. Quando chiede al prof di passare la buona azione, lui gli risponde che lo farà quando troverà l’azione giusta, e quando dice che il favore non è dare un’altra possibilità alla madre (passando così il favore) gli dice che “Perciò è quello giusto, perché deve essere qualcosa di difficile”. Essere buoni costa è innegabile: nel servizio verso gli altri è insita una certa vocazione al martirio che non significa masochismo: per voler bene davvero agli altri, per fare davvero del bene, devo rinunciare a qualcosa, devo “perderci”e più ci perdo, più valore ha l’azione che ho compiuto. Ricordiamo che il vero Trevor è morto sulla Croce nel 33 d.C. e che lo stesso San Paolo (nella lettera ai Romani 5,6) scrisse “Mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito, ora a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto”. Riusciamo a vedere il Sacrificio di Dio come un atto di bontà fatto per noi? Riusciamo a vedere Gesù come persona in carne ed ossa che ha sofferto per noi, o lo vediamo come un qualcuno che “non poteva dire di no, che non ha sofferto perché era Dio e che sapeva che tanto Dio lo resuscitava”? Non “noi” come genere umano, ma “noi” inteso come per te che stai leggendo ora questo foglio. E tu? Hai mai pensato realmente di poter fare qualcosa per il mondo? E perché non lo hai fatto? Lo ritenevi inutile, pensavi non ti riguardasse, aspettavi che lo facessero gli altri, ti ritenevi inadeguato? O non lo hai fatto perché era difficile e ti sei accontentato della sufficienza? Ma accontentarsi del “sei” quando si hanno le capacità per fare di più, accontentarsi di esser mediocri perché fare ciò che siamo chiamati a fare, ciò che possiamo fare, ci costa fatica e impegno, sacrifici, non è un fallimento? “Ma chi ce lo fa fare”? Già: chi? Quali sono le tue grandi piccole concrete azioni che possono migliorare il mondo? Trevor: Perciò passa-il-favore è andato in tutti quei posti: grazie a mia mamma che è stata tanto coraggiosa. Per me certe persone hanno troppa paura per pensare che le cose possono essere diverse e, insomma, il mondo, il mondo non è tutto quanto… merda… ma credo che sia difficile per certa gente che è abituata alle cose così come sono, anche se sono brutte, cambiare e le persone si arrendono e quando lo fanno poi tutti, tutti ci perdono. […] è difficile, non lo puoi programmare: devi, devi guardare di più le persone, ecco… tipo, tipo tenerle d’occhio, per proteggerle, perché non sempre vedono quello che gli serve. È come la tua grande occasione di riparare qualcosa che non è la tua bicicletta, ma puoi riparare una persona.
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