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view post Posted: 26/4/2017, 22:13 Aurelio Oppizzi - Aforismi
AURELIO OPPIZZI



(A)




ABBANDONO

…………………la miseria di un ragazzo interessa la madre; la miseria di un giovane interessa una giovane; la miseria di un vecchio non interessa nessuno. Di tutte le miserie questa è la più fredda.
(V. Hugo)


AMICI

………...gli animali sono amici molto discreti: non fanno domande e non riferiscono pettegolezzi.
(G. Eliot)


AMICIZIA

……………..la maggior vittoria di un uomo consiste nel saper ricavare un amico da un nemico. E non ci riescono di solito che i Santi.
(Papini)


AMORE

…………..solo il giorno in cui gli infedeli potranno dire dei cattolici di ogni paese la celebre frase degli antichi cristiani di Roma “Vedete come si amano”, quel giorno la Chiesa avrà vinto Satana. Perché Satana è l’odio e Cristo l’Amore.
(Maritain)

………….. i benefici debbono scriversi nel bronzo, le ingiurie nell’aria.
(Galilei)

…………..il suo inizio deve essere quanto più raffinato e possibile e deve avere l’affascinante incertezza di un gioco in cui tutte le possibilità sono aperte.
(Kierkegaard)

………..….un dolce librarsi tra il cielo e la terra…
(A.Oppizzi)

……….…..l’amore, quando è fedele, spezza tutti gli ostacoli.
(Sellmair)


………..….l’amore è rovina se la comunione si spezza, se l’ io riprende la sua corsa verso nuovi incontri, l’amore è come la febbre. Esso risorge e si spegne, senza che la volontà abbia potere su di esso, se non gli diamo un significato specchiandolo in Dio.
(x- y)

………..….l’amore è figlio dell’illusione e padre della delusione.
(Miguel de Unamuno)

……….…..la tragedia dell’amore non è nel semplice errore degli amanti, ma nel metafisico oblio e smarrimento di sé.
(Sellmair)

…………....forte come la morte è l’amore, inesorabile come l’Averno, la gelosia.
(Libri della sapienza)

…………...l’amore della libertà è l’amore degli altri. L’amore del potere è l’amore di se stessi.
(Hazlitt)

…………..finché padre e madre sono vivi, siamo certi di avere chi ci ama; quando non sono più, la certezza è sparita e non rimane che la possibilità.
Per questo la perdita dei genitori segna una delle fasi più gravi della vita.
(D’Azeglio)

…….…..amare i propri nemici! E’ arduo, eccezionale! Come tutto ciò che è davvero buono. Però quale gioia nel compierlo! In tale amore c’è una meravigliosa dolcezza, come pure nello sforzo di raggiungerlo.
Amare i propri nemici è una delizia dello spirito.
(Tolstoi)






ANIMA


……..…..il solo aiuto – la religione – vien meno all’anima ammalata. Perché essa trascina la sua vita grama al di là della Fede. Essa ama la penombra. Manca ad essa un desiderio ben risoluto di guarire. Molte volte s’immerge con voluttà nelle tenebre.
Rampollano così le tetre canzoni di Byron, Leopardi, de Vigny, Lenau e d’infiniti altri, come ampie copiose fiumane nell’ombra eterna delle foreste alpine, e melanconiche stelle ne riscintillano, le stelle della plaga sconfinata del dolore.
(Sellmair)


ARTE


……..…ricreazione e consolazione dell’uomo.
(Sellmair)


ATEO


……..….tanta è l’inquietudine della coscienza all’uomo di coscienza rea, che a sedarla altro non trova lo scellerato che farsi forza di cozzar contro le verità conosciute, di rinnegare la Fede, di riprovare l’immortalità dell’anima umana, di non concedere l’inferno, di non ammettere il paradiso, di tenere sempre ricordato ai loro cuori, con un segreto ateismo, che Dio non v’è. – Non est Deus –
(Padre Segneri)


AVARIZIA


………….il povero manca di molte cose, ma l’avaro manca di tutto. L’avaro è simile al cavallo che porta il vino e beve l’acqua.
L’avaro è come il porco: fa ridere soltanto il giorno della sua morte.
(S.Bernardo)










(B)

BACIO

…………..dolce preludio d’amore.
(A.Oppizzi)

BALLO

……..….ordinariamente nessuno che non abbia bevuto si mette a ballare, a meno che non sia folle, e ciò, né da solo, né in un convivio moderato ed onesto.
(Cicerone)

………..il ballo è uno spettacolo sciocco, odioso agli occhi degli onesti, indegno dell’uomo, causa di molte infamie.
(Petrarca)

….……non si può senza molte e gravi offese a Dio prender parte a danze, a balli, a veglie. Sono molti e gravi i pericoli delle danze poiché ad esse vanno per lo più congiunti turpi pensieri, licenziose parole, disonoranti azioni, corruzione di costumi e perniciose licenziosità.
(S.Carlo Borromeo)

….……dove si balla è tristezza per gli angeli e festa per i demoni. Il ballo è un circolo di cui è centro il demonio.
(S. Agostino)

BELLEZZA

…………….per la sua sola presenza è evocatrice di tragico dolore…. Come il sole puro e grande essa attrae gli innamorati, li solleva beati nel chiaro cielo dell’intimo universale gioire, avvinti all’incanto dell’altra persona, non lascia loro vedere la dura faccia ostile del tempo, l’austera realtà della terra.
(Sellmair)

………..….nella bellezza l’anima contempla il ricordo di ciò che essa vide un tempo quando si aggirava prossima alla divinità.
(Platone)

BOLSCEVISMO

………………....l’antico tentatore non ha mai desistito con fallaci promesse di ingannare l’umanità. Perciò nel corso dei secoli uno sconvolgimento è succeduto all’altro fino alla rivoluzione dei nostri giorni, la quale, o già seriamente imperversa, o minaccia, si può dire, dappertutto e supera in ampiezza e violenza quanto si ebbe ad esperimentare nelle precedenti persecuzioni contro la Chiesa. Popoli interi si trovano nel pericolo di ricadere in una barbarie di quella in cui ancora giaceva la maggior parte del mondo all’apparire della Redenzione.
(Pio XI)


(C)


CARATTERE



......…………..un buon umore, dolce e accomodante è la migliore controversia.
Un uomo di umore amabile è apostolo ed evangelista: apostolo perchè attrae gli uomini, evangelista perchè offre loro il ritratto del Salvatore.
(P.Plus)


……….........l’amenità di carattere è simile al mercato: senza stare a chiamare attira la folla.
(x y)



CARITA’


..................la nostra carità non serra porte.
(Dante - Paradiso 3,43)


................non v’é cuore nel quale la Chiesa non riesca a far breccia mediante la carità....Si resiste alla ragione ed anche alla grazia: di fronte alla carità si finisce sempre col cedere.
(Lacordaire)


...............verità senza carità gonfia, carità senza verità erra.Verità e carità edificano.
(S.Bernardo)



CASO


.............durante i 70 anni di una esperienza, la vita fa passare 25 miliardi di litri di sangue per il corpo: e cioè - secondo lo sforzo compiuto - da 4 a 20 litri al minuto.
Potrebbe fare un simile lavoro una pompa artificiale senza aver bisogno di riparazioni, di pezzi di ricambio o qualche periodo di riposo - una pompa che fosse più grande di un pugno?
Mai più! Il cuore è veramente il motore più resistente di fronte al quale tutti i motori di acciaio appaiono fragilissimi.
E voi questo lo chiamereste frutto del caso?
(x y)

CATTOLICESIMO

.......................il Cattolicesimo che è pieno di divina verità, di carità, di giovinezza, di forza soprannaturale si leverà al mondo e si metterà alla testa del secolo nascente per condurlo alla onestà, alla fede, alla civiltà, alla felicità, alla salvezza.Una grande epoca sta per venire: un monumento grandioso vedo innalzarsi non fondato sulla sabbia: una colonna luminosa di carità si eleva fondata sulla carità rivelata, sulla Chiesa, sulla pietra unica, eterna, inconcussa.
(Don Orione)
………..................il Cristianesimo e il Cattolicesimo specialmente, essendo un sistema di repressione delle tendenze malvagie dell’uomo, è il maggior fattore dell’ordine sociale.
(Balzac)
………..................sono stato uno studioso diligente della vostra storia ecclesiastica ed un ammiratore del papato come di una istituzione che soddisfa il profondo desiderio di autorità che si trova al fondo di ogni cuore umano.Voi cattolici rappresentate in qualche modo una diga eretta contro il flotto invadente del comunismo e di tutte le altre influenze distruttive della vita sociale, perchè la vostra organizzazione dà un mirabile esempio della buona volontà animata dalla carità che dovrebbe unire tutte le comunità e tutte le razze.Perchè la fede, la speranza, la carità penetrino la pratica ci vuole una organizzazione che unisca gli individui e dia loro la forza che deriva dall’unità.Se i cattolici ci insegnano qualche cosa, se il Cattolicesimo vuol dire qualche cosa, essi ci rivelano una tale organizzazione: una stretta intesa e l’unità.
(Chetpat P.Ramasswamy Iver - Primo Ministro del Maragià)

CHIESA

.............la Chiesa rinnegherebbe sè stessa cessando di essere madre se si rendesse sorda al grido angoscioso e filiale che tutte le classi dell’umanità fanno arrivare al suo orecchio. Essa non intende di prendere partito per l’una o per l’altra delle forme particolari o concrete con le quali singoli popoli e Stati tendono a risolvere i problemi giganteschi dell’aspetto interno e della collaborazione internazionale, quando esse rispettino la legge divina.
(Pio XII)
….. .........è un incudine che ha resistito a tutti i martelli.
(Verspeyen)

…… ........per quanto formidabili possano essere i nemici della Chiesa, il Papa li può guardare con dolore, ma non con tremore.Egli sa che quando Dio vuole umiliare le effimere onnipotenze della terra permette che vadano a cozzare precisamente contro la Chiesa.
Per svergognare gli spavaldi maneggiatori della forza armata, permette che scrivano la storia della loro vigliaccheria sulle vittime più inermi. Permette che inorgogliti di qualche trionfo contro altre forze umane, questi Capanei dell’orgoglio credano di poter stravincere anche sulla forza di Dio.
(D.Mondrone)

..............quando sulle rovine fumanti della Roma Imperiale si abbatterono, come ondate di tempesta, i barbari invasori, nè questi, nè quella seppero rialzare la civiltà infranta e diroccata.Solo la Chiesa fra le macerie ardenti di tutto un mondo rovinato restava in piedi, e coll’opera dei suoi Papi, con la Croce dei suoi Missionari, con gli aratri dei suoi Monaci, coll’insegnamento delle sue scuole, gettava il fondamento di una civiltà del tutto nuova.
(Mons. Di Costantini)

CITTADINANZA

………................dove non sta il cittadino Cristo, non sta nemmeno il cittadino Parini.
(Parini)

COLPA

...............la nostra anima è divenuta inferma, e per la quale, senza colpa, incorriamo nella colpa verso l’uomo che amiamo, verso noi medesimi, che pure amiamo.
(Sellmair)

............il lasciare dietro a sé delle colpe, è seminare amarezza per l’avvenire.
(Mantegazza)



COSCIENZA


………............oggi più che mai scocca l’ora di riparare, di scuotere la coscienza del mondo dal grave torpore in cui tossici di false idee largamente diffuse l’hanno fatto cadere: tanto più che in questa ora di sfacelo materiale e morale lo coscienza della fragilità e della inconsistenza di ogni ordinamento puramente umano è sul disingannare anche coloro che in giorni apparentemente felici non sentivano in sé e nella società la mancanza di contatto con l’eterno e non la consideravano come un difetto essenziale della loro costruzione.
(Pio XII)


……..............tu puoi sfuggire qualche volta al giudice del tribunale che ha molto da fare, non mai a quello della tua coscienza.
(Mantegazza)


CORRUZIONE


……….............ci sono poche cose che corrompono tanto un popolo, quanto l’abitudine dell’odio.
(Manzoni)


CREDENZA


…….............quella realtà divina che sta nella nostra vita, e intorno ad essa si agglomerano i problemi.
Le forze si urtano le une con le altre. I conflitti si aggrovigliano. Ma credere significa perseverare e tollerare.
(Romano Guardini)

CREDERE


………........non credo a Cristo, ma sono persuaso che l’unica salvezza della Francia sia l’idea evangelica.
Se tutti avessero nelle vene una goccia di S. Francesco d’Assisi, crederei alla resurrezione della Patria.
(Clemenceau)


…………......c’è un pericolo che è grave: non credere più in Dio. Ma ce n’è un altro che non è meno grave: non credere più nell’uomo.
(Mauriac)


CRISTIANESIMO


……………….........dovunque il Cristianesimo è vivo e sentito, i costumi si purificano; dovunque esso languisce i costumi si depravano.
Esso è dunque l’albero su cui fioriscono le virtù umane senza le quali le nazioni sono condannate a perire.
Io Vi prego, se mi permettete di parlare, di proclamare esplicitamente: si demoralizza la Francia togliendole la Fede; scristianizzandola la si assassina: non vi è salvezza sociale fuori della verità del Decalogo.
(Paolo Bourget)


……………….......il Cristianesimo, se non sbaglio, è come il vino di 14 gradi. Bevuto, cè chi lo regge e chi no.
(x y)


………………......la conciliazione cristiana è una trasfigurazione dell’anima la quale, immersa nella fonte dell’eterna salute, si solleva al disopra delle cose e delle azioni proprie.
(Hegel)


…………...........non c’è che il Cristianesimo per trattenerci sul nostro precipizio fatale, per fermare lo scivolo insensibile con il quale la nostra razza regredisce verso i suoi bassifondi, incessantemente e con tutto il suo peso originale.
(Revue des deux Mondes 1891)


…………….......vedere il labirinto delle passioni come lo vede Shakespeare è possibile solo colla scienza cristiana dell’anima. Quando egli non vuole rappresentare dei malvagi e birbanti, ma uomini nobili e grandi, desiderosi del bene, in una parola i suoi personaggi tragici, allora egli presuppone esistenteil mondo dei valori obbiettivi ordinati secondo la morale cristiana e insieme la nobiltà della natura umana.
(Sellmair)

………….........non c’è intelletto, nè cuore sensibile ai problemi vivi del giorno, che non avverta l’avvicinarsi di un “parousia” sociale.
Gli spiriti più fervidi e con un più profondo senso sociale amano col pensiero e con lo studio precorrere i tempi e sentono che il Cristianesimo deve essere il lievito nuovo.
Stolti furono coloro che lo vollero relegare alla sfera della vita privata o, come si diceva ironicamente “in sagrestia”.
Il Cristianesimo è dottrina sociale, giacchè Gesù Cristo non è venuto solo per risanare gli individui, ma la stessa società e la civiltà che ancora si onora di portare l’etichetta di cristiana è la stessa compagine pagana e idolatra che il Cristianesimo ha redento con le sue alte virtù morali: purezza, umiltà, giustizia, carità.
(Mor)

……….............ecco una istituzione che mi obbliga a inginocchiarmi ai piedi di un uomo che non è superiore a me; che mi obbliga non solamente a inginocchiarmi ai piedi di un uomo, ma a rivelargli tutti i miei peccati, tutte le mie nefandità, quello che non oso confessare a me stesso e di cui arrossisco.
E quando questa istituzione si è presentata, l’umanità l’ha accettata senza protestare.
Ammesso pure che sia si piegato più facilmente a questo gioco odioso il gregge delle donne e dei fanciulli, degli esseri volgari, non vi sono anime fiere e sdegnose che avrebbero dovuto ribellarsi? Quei re così dispotici, così voluttuosi, quei signori, quei feudatari così orgogliosi, quando si è loro chiesto che s’inginocchiassero ai piedi di quei poveri preti che essi si trascinavano nel loro seguito, di quei poveri monaci cui taglieggiavano e angariavano a piacere, non hanno dovuto prorompere in furore e imbestialire?
E’ ben strano che non vi sia stato uno di quei gridi, così fiero di attraversare la storia e commuovere l’umanità.
E ciò che mi sorprende più della sottomissione dei re, dei principotti, dei signori, dei geni, è la sottomissione dei medesimi preti. Essi avrebbero dovuto resistere più degli altri!
Ma no, tutti i preti si confessano.
La confessione è più rigorosa per essi che per gli altri.
Si sono uditi dei preti accusare la Chiesa di essere troppo indulgente con i peccatori, ma nessun prete, prima di Lutero, le ha negato il diritto di perdonare e di assolvere.
(E.Bougaud)



CRISTIANI


………............siate cristiani, a muovervi più gravi, non siate come penna ad ogni vento, e non crediate ch’ogni acqua lavi.
Avete il vecchio e il nuovo Testamento. E il Pastor della Chiesa che vi guida: Questo vi basti a vostro salvamento.
Se mala cupidigia altro vi grida, Uomini siate e non pecore matte.
(Dante-Paradiso 5,73,80)


…………........fra la gloria e l’gnominia; fra la calunnia e la lode; come seduttori eppur veritieri; come ignoti eppur ben conosciuti, come moribondi, ma ecco siam vivi, come castigati eppur non siam messi a morte, come addolorati eppur sempre lieti, come miserabili ma facciam ricchi molti, come gente che non ha nulla eppur possediamo ogni cosa.
(S.Paolo ai Corinzi, 11,6,4,10)

CRISTIANITA’


………….............dove sono le folle che nelle ore di carestie e di guerre, di lutti e di pestilenze vengono a placare la giustizia di Dio affinché ritorni sul popolo cristiano l’arcobaleno della serenità e della pace?
Gesù sulla via del Golgota contemporaneo potrebbe ripetere come all’incontro delle pie donne piangenti: “Non piangete su di me, sulle mie chiese in rovina, ma su voi e sulle vostre anime”.
(Masco)



CRUDELTA’


.........………….si parla talvolta della crudeltà bestiale dell’uomo, ma questo è un terribile oltraggio che si fa alla bestia non è mai così crudele come l’uomo, crudele con tanta arte e ingegnosità. La tigre sbrana la sua vittima, la fa a pezzi; mai, se fosse in grado di farlo, le verrebbe l’idea d’inchiodare un uomo al muro per le orecchie.
(Dostoyevski)



CUORE


…...........ho appena 27 anni, ma sapeste come è vecchio il mio cuore!
(Coppée(


…….......non gettare il tuo cuore al mondo: il mondo è un cane male abituato che non riporta mai nulla:
(Goethe)


……........il cuore dell’uomo non si regge tanto con la potenza, quanto si guadagna con la dolcezza.
(Bossuet)


















(D)


DESTINO DEGLI UOMINI

………………………………….....e dissi al fiume: - lasciami passere!
risponde il fiume: - e per andare dove?
Anche di là uomini e donne........Il bove mugghia ugualmente e pungon le zanzare.
Che speri?.....L’istesse acque, dolci, amare, lungo l’altro mio margine! E un dì piove,
un di fa bello. E la stessa aria muove la favolosa selva che ti pare.
Sempre sull’altra sponda il ben che agogni, uomo, il bene perduto o invano atteso.
Io, freddo, in mezzo, tra il sognante e i sogni...
Sempre, sopra la testa alta sospeso il tuo fato, se vai, se stai. Per ogni strada, da trascinar, sempre, il tuo peso.
(Francesco Chiesa)

DESTINO

…………….molto male tu distribuisci le sorti della battaglia fra i guerrieri: spesso a chi non dovevi tu desti, al codardo la vittoria.
(Lokasenna)


DIO

.............tutta questa diversità delle cose create secondo i luoghi e i tempi, diversità che realizza l’ordine e la vita del cosmo non ha potuto essere prodotta che dal pensiero e dalla volontà di Essere che sia l’Essere necessario e sussistente.
Via via che giungiamo a leggi sempre più semplici e più generali, sentiamo di avvicinarci sempre più a Dio e di sempre più intravedere l’adorabile bellezza.
(Newton)

............sono io che in un attimo sollevo la mente umile perché possa intendere gli argomenti della verità eterna, più che se li avesse studiati per dieci anni nelle scuole.
sono io che ammaestro senza stripito di parole, senza confusioni di opinioni, senza fasto di onore, senza contrasto di dispute Sono io che insegno a disprezzare le cose terrene e avere a nausea le presenti, a cercare le eterne e gustare le celesti: a fuggire gli onori, a soffrire gli scandali, a collocare ogni speranza in me, a nulla desiderare fuori di me ed amarmi ardentemente sopra ogni cosa.
(Kempis)

..........no, o signori, il mondo non si perde, perché una forza misteriosa e divina lo porta.
Lasciatemi credere in questo grandioso cammino del mondo: lasciatemi credere in questo grande viandante, che gronda di sudore e di sangue per trovare la verità e il riposo.
Gli squilibri dell’ordine morale si placano anch’essi come quelli dell’ordine fisico.
Voi vedete il cielo assalito di nubi diventar buio come un sepolcro; ma chi non lo sa che sotto quelle nubi c’è il sole? Così nell’ordine morale: orribil cosa è lo spergiuro (e ogni altra colpa) ma dove c’è un uomo, un magistrato, una legge, una pubblica coscienza, un giuramento, un castigo, ivi è Dio.
Voi potete raccogliere quanti argomenti Vi piace in contrario, io persisto a ripetere ivi è Dio.
Anch’io sono credente e mi è gloria dichiararlo da questo seggio. Così i vecchi pastori delle mie Alpi diranno:” Egli è quel medesimo che abbiamo conosciuto fanciullo, ha confessato Dio nelle nostre capanne, or lo confessa nel Senato d’Italia:
(Giovanni Prati)

.......…..attraversando le gole di Ollioules, dove una volta non vi erano sentieri che per i muli, i miei compagni andavano magnificando Napoleone che vi fece fare quella magnifica strada.
Io pensavo invece a chi aveva fatto quelle montagne.
(V.Hugo)

….…........io sono gobbo: dunque Dio non c’è. Ecco definito il Leopardi.
(Ugo Brilli)

…...........definire Dio è quanto negarlo, poiché ogni tentativo per definirlo è certamente un tentativo di limitarlo o di vedere finito l’infinito.
(Spinoza)

…….........al mio popolo tedesco: non avevamo abbandonato Dio ed è perciò che Dio ci ha abbandonato; non volevamo mettere la grazia umana al posto della grazia divina ed abbiamo violato i comandamenti fondamentali della sua creazione. Abbiamo commesso gravi errori. E’ penoso confessare gli sbagli, ma l’intera esistenza del popolo tedesco è in questione.
Dobbiamo dire apertamente ai giovani che fummo nell’errore.
(Roberto Ley - Tedesco)

…..….......nessuno nell’universo è così solo come un negatore di Dio.
(Jean Paul)

…...…...i bambini sono grati alla befana che mette nelle loro calze doni di giocattoli e di dolci.
Posso io non essere grato alla befana che mi ha messo nelle calze il dono di due miracolose gambe?
Si ringraziano gli amici che ci regalano una scatola di sigari o un paio di pantofole per il nostro compleanno.
Posso io ringraziare qualcuno che per il mio primo compleanno ni ha regalato la vita?
(Chesterton)

…........ah come è grande il Signore! O cieli, o stelle inneggiate alla gloria. Armonie celesti cantate la sua magnificenza. E tu, anima mia, non stancarti un istante di celebrarla sapienza dell’Eterno.
(Keplero)

….......si devono temere e non esaminare i miei giudizi, essendo incomprensibili all’umana intelligenza.
(Kempis)

…..........se non si crede in Dio non resta che sopprimersi.
Se Dio non esiste, io sono Dio.
Mi avete già detto questo, ma non ho mai potuto comprendere: perché esiste Dio?
Se Dio esiste, tutto dipende da Lui, ed io non posso nulla, fuori della Sua volontà, ma se non esiste, tutto dipende da me, ed io sono tenuto ad affermare la mia indipendenza.
La vostra indipendenza? E perché siete tenuto ad affermarla?
Perché son diventato interamente libero. E’ possibile che in tutta l’estensione del nostro pianeta, nessuno dopo aver soppresso Dio ed acquistato la certezza della propria indipendenza, si mostrasse indipendente nel senso più completo della parola? A costo d’esser solo io lo farò.
Ebbene fatelo.
Io sono tenuto a brucarmi le cervella, perché uccidendomi affermerò la mia indipendenza nel modo più completo.
Ma non sarete il primo ad ucciderVi: molti si sono soppresso; Avevano le loro ragioni. Ma uomini che si sono uccisi senza motivo, unicamente per attestare la loro indipendenza non ve ne furono ancora: io sarò il primo.
(Dialogo fra Kiriloff e Pietro Stefanovic in “I Demoni”)
Dostojewski
DIVINITA’ ANTICHE

……………………..........gli dei omerici sono al di la del bene e del male: essi si trastullano spensieratamente cogli uomini e i poeti si trastullano spensieratamente cogli uomini e cogli dei ad un tempo.
(x y)

DOLENTI


….. . ............o afflitti che Vi credete preda di un ineluttabile, orrendo e sempre crescente dolore, pazientate alquanto e vi disingannerete.
(A.Manzoni)


DOLORE


……....…..le lagrime che Dio fa scorrere non sono che il preludio del torrente di delizie che le sommergeranno.
(Lacordaire)

………......e’ ancora il dolore che ispira gli artisti: Beethoven sordo, Rubens atrofizzato nelle mani, Schumann che si vede impazzire, Leopardi gobbo, Byoron zoppo, Milton cieco, Verlaine colpito da delirium tremens, Maupassant da anemia cerebrale, Catalani dalla etisia, Nietzsche dalla follia, Heine da paralisi, Michelangelo
assetato di giustizia e di verità, ma testimonio di un mondo di vizi e di delitti, hanno trovato nel dolore l’ala per sfiorare i cieli.
(Salvaneschi)

DONNA

…….........la forza della donna è l’amore e ogni donna può essere grande se adempie i doveri del suo amore, e con essi la sua missione di donna.
(Sellmair)

……........la donna madre è fonte di vita e dea della morte insieme: terra che partorisce e partoriente in lutto.
(Bachofen-Baumber-Schroetter)

…….......le donne hanno in zucca una bilancia sulla quale sta, da una parte la testardaggine e dall’altra la curiosità: or dà su l’una, or l’altra.
Quando poi le donne hanno esaurito tutte le ragioni che hanno, o non hanno da rispondere, si mettono a piangere.
(A.Manzoni)

….........no, la donna non è un oggetto di divertimento o di svago....Provatevi a dir male della donna: io vi mostrerò la sacra immagine di vostra madre: e le male parole ammutoliranno sul vostro labbro.
Nella mia lunga carriere chirurgica molte volte mi sono trovato di fronte ad avvenimenti nei quali la virtù e lo spirito di abnegazione femminile mi hanno sorpreso e meravigliato: gesta grandiose avvolte nell’ombra di una famiglia con semplicità e modestia, imprese degne di ammirazione.
La maternità sublima da donna e la rende capace delle imprese più ardue: nella maternità la donna raggiunge spesso altezze sublimi, compie gesta eroiche.
Nessuna dottrina mai quanto la religione cattolica elevò il livello della donna.
(Andrea Majocchi)

……….......torna sempre a risonare quel lamento e quell’accusa: dalla donna proviene tutta la tragedia umana: Il suo sesso è il principio del male per l’uomo; si ritrova questo concetto in molti padri della Chiesa scrittori di ascesi non meno che in Nietzsche, e generalmente nella considerazione cosmica della donna, che vede in lei la motrice della vita, della storia del mondo, il possente sue demone.
eppure, per chi sa comprendere, in tutti questi lamenti ed accuse non manca la nota della venerazione profonda per il segreto della sua maternità, per cui l’umanità vive.
(Strindberg-Sellmair)


…….......la donna è un animale senza dubbio stolto ed inetto, ma dolce e divertente, e nella convivenza domestica può con la sua stoltezza temperare e mitigare l’umor triste dell’uomo.
(Erasmo da Rotterdam-Elogio della stoltezza)

……........principio erotico immediato......
(Cantoni- Coscienza inquieta)


DUBBIO

…….........nella tragedia d’Amleto e della donna travolta con lui si vede il debole di tutta la sua età. Egli cade vittima di essa. Egli stesso non può decidersi fra il credere e il non credere.
Della fede degli altri, dei più felici, parlano quei bellissimi versi, pieni di ineffabile malinconia:
“dicono che quando si avvicina la stagione
“in cui si celebra la nascita del Salvatore,
“questo uccello marittimo canta tutta la notte:
“e allora, dicono, nessuno spirito osa andare in giro,
“le notti sono salubri; nessuna stella offende,
“nessun folletto inganna, nè le streghe possono affascinare,
“talmente è sacro e pieno di grazia quel tempo”
(Amleto, I,I)


……….......che cosa è? che cosa non è? che cosa è permesso e nobile?
che cosa no? che cosa è la vita? che cosa è la morte? un sonno? o forse un sogno?
Questa è già l’anima moderna corrosa dalla scepsi e lacerata dal dubbio metafisico.
Il dubbio arresta ogni deliberazione sul fare e sul non fare, esso ha inimicato Amleto con se stesso e lo ha reso in sè disunito.
I fondamenti su cui si reggono questi uomini sono incrinati. Sgomenta la catastrofe morale del re, che nella sua sventura vorrebbe di nuovo pregare e non può più, tanto il lungo malfare lo ha indurito:
.......”E come un uomo che ha due cose da fare, rimane in dubbio quale deve fare prima, e non fa nè l’una nè l’altra”.
“O deplorevole stato! o petto oscuro come la morte! o anima, che mentre lotta per liberarsi, s’impiglia sempre di più.Angeli, aiuto, Tentate! Piegatevi, dure ginocchia!”
(Amleto, III,4)



(E)

EDUCAZIONE


………………..e tieni a mente, o Sancio Panza, che la cortesia è moneta che ha corso in tutto il mondo.
(Cervantes)


……………….ricorda che il denaro fa l’uomo ricco, ma l’educazione lo fa signore.
(x y)


EMPIETA’


……………..come quando lingua di fuoco s’apprende alla paglia che in una vampata di fiamme s’incenerisce, così la vostra radice sarà ridotta in faville e il vostro germe andrà in aria perché spregiate la legge del Signore e bestemmiate la parola del Santo d’Israele.
(Isaia profeta)


EROISMO


……………l’eroe estetico è grande perché vince; l’eroe religioso è grande perché soffre; l’eroe tragico vince esternamente e soffre internamente.
(Kierkegaad).


…………..se anche l’eroe della fede non può condurre alla vittoria la sua causa, egli vede nella propria morte una conferma di quella. Gli orrori della morte divengono per lui delizia. Mentre soccombe tragicamente, rivolge i suoi sguardi all’al di là, alla pace, alla beatitudine che ivi lo aspetta.
(Volkelt)

………..un vero coraggio, e nella sua semplicità un eroismo degno di ammirato rispetto è spesso necessario per sopportare le durezze della vita, il peso quotidiano delle miserie e le crescenti indigenze e le ristrettezze in una misura mai prima sperimentata.
(Pio XII)


ESISTENZA

……………..io vedo che noi tutti quanti siamo in vita, non siamo altro che immagini illusorie e lievi ombre.
(Sofocle)

ESPERIENZA


………………..l’esperienza rintuzza le audacie temerarie e insegna la moderazione, il rispetto costante dell’universo e del nostro proprio io.
(Sellmair)


ESPERIENZA DI MORTE


………………………………..l’uomo riconosce come compassionevole la vita che vive, come è impigliata nelle esteriorità, come egli sciupa il suo tempo nei problemi apparenti per schivare quelli reali; come egli s’illude fingendosi un mondo a se stesso tutto grazioso e innocuo e come tutto accomoda alle sue vedute.
Improvvisamente risuona un richiamo morale, doloroso, come è lo spavento, quando si vede morire qualche uomo grande e buono, a noi vicino.
…ancora il mondo è pieno di parti che noi recitiamo mentre noi ci preoccupiamo di piacere al pubblico anche la morte recita la sua parte, anche se non piace.
Ma al tuo apparire, lampeggiò in questa scena, un tratto di realtà per quel fesso per il quale tu eri entrata:
verde, vero verde, vera luce di sole e di foresta.
Noi continuiamo a recitare, come imparate con fatica e pena ripetendo, e di tempo in tempo gesticolando; ma la tua lontana ed estranea al nostro dramma esistenza, può molte volte venirci alla mente, come un avviso di quella realtà piombando, sì che noi per un tratto distrattamente recitiamo la vita, senza pensare a piacere.
(Rilke)























(F)

FAMIGLIA


……………..nessuno è costretto a fondare un focolare, a formarsi una discendenza; ma se uno si sposa, bisogna che sappia che non potrà trasmettere se non quello che ha: ora, quello che ha, è forse qualche cosa che sia utile trasmettere?
Il mistero degli influssi a lunga scadenza e dell’azione dell’uomo sull’uomo è impenetrabile, carico di grandezza e talvolta di tragicità.
(P. Plus)


…………..la famiglia è il luogo dove si è trattati meglio e si brontola di più.
(Garland Pollard)


…………quando la donna esce troppo di casa, la famiglia è distrutta.
(Tommaseo)


FEDE


………..anche al cristiano rimane l’obbligo di cercare il logos nel mondo col lume della sua regione naturale: egli sa che non ci sono contraddizioni definitive tra fede e ragione, poiché la fede stessa deve essere razionale, e tuttavia quale tragicità soggettiva umana può nascere dal contrasto tra la fede e la ragione.
Alla fede certamente è promessa la vittoria su ogni tragedia, ma questa deve essere sofferta.
(Sellmair)


………..non è agire da amico, ma da barbaro, il lasciar precipitare in un abisso, per mancanza di luce, coloro che amiamo, mentre portiamo fra le mani una fiaccola, colla quale potremo illuminare il loro cammino.
(Bossuet)


…………se mi si chiedesse la ragione di questa mia fede cattolica sarei pronto a fornirla. Si vedrebbe che le mie convinzioni sono il risultato non di pregiudizi infiltratimi nell’anima da bimbo, ma d’un esame approfondito e d’un ragionamento rigoroso.
(A. Canchy)


………..se la rivelazione cristiana avesse palesato tutti i misteri di Dio, la fede avrebbe perso il carattere di rischio.
(Sellmair)

FELICITA’


……………..è troppo evidente: l’uomo moderno ha un bell’abbandonarsi ai miti grossolani del piacere materiale, la felicità che ne ricava non è se non un oblio.
(H.D.Rops)


…………..definizione della felicità….quattro piedi davanti ad un caminetto.
(x y)


…………la felicità non ha volto, ma le spalle: per questo noi la vediamo quando se ne è andata.
(proverbio arabo)


FIDANZATE


……………….le fidanzate credono di affezionarsi di più al fidanzato, concedendo ciò che è peccato. Imprudenti! Spesso restano punite da l’abbandono del giovane, cui il matrimonio non serba più alcuna novità, ma si prospetta solo più come il peso di una catena inissolubile.
(G. Hocarnaert)



FILOSOFIA


………………in S. Tommaso nulla di personale. Egli non sentenzia mai in proprio nome. Egli non da mai per sua una teoria, una tesi, una prova, un’idea qualsiasi: anzi non manca mai di riferirla; dovunque può, a qualcuno che l’abbia espressa o indicata. Ed ove non abbia alla mano verun altro da citare a conferma del detto suo, parla sempre impersonalmente, come interprete di quella ragione umana che è comune a tutti e non è propria di nessuno.
(A. Frandhi)



FORTUNA


……………..le persone fortunate non si correggono mai: credono sempre di aver ragione quando la fortuna favorisce le loro cattive azioni.
(La Rochefoucald)


…………….la fortuna a molti da troppo, a nessuno dà abbastanza.
(Marziale)


FRATELLANZA


……………………tutti fatti a sembianza di uno solo, tutti figli di un solo riscatto in qual ora in qual parte del suolo trascorriamo quest’aura vital, siam fratelli, siam stretti ad un patto maledetto colui che l’infrange, che s’innalza sul fiacco che piange, che contrista uno spirto immortal!
(A. Manzoni – in Carmagnola)


FRATERNITA’


………………… l’unico punto che non è in discussione – almeno non dovrebbe essere in discussione per noi cristiani e per tutti gli uomini di buona volontà – è il punto dell’amore fraterno.
(Prof. La Pira)





























(G)


GESU CRISTO


………………….senza una via non si cammina, senza la verità non si conosce, senza la vita non si vive.
(Kempis)

…………………certo è che Gesù, oggi, è più vivo che mai fra gli uomini. Tutti hanno bisogno di lui o per amarlo o per bestemmiarlo, ma farne a meno non possono. Moltissimi uomini furono – amati – intensissimamente nei tempi andati: Socrate dai suoi discepoli, Giulio Cesare dai suoi legionari, Napoleone dai suoi soldati.
Ma oggi questi uomini sono inesorabilmente trapassati, nessun cuore palpita per le loro persone.
Nessuno pensa più a bestemmiare Socrate, Giulio Cesare, Napoleone,…….Gesù no!……
(Ricciotti)

………………..tutti coloro che sinceramente credono in Gesù cristo provano in se medesimi quest’amore ammirabile, affatto superiore e soprannaturale. Fenomeno inesplicabile, realtà impossibile alla ragione e alla forza dell’uomo, fuoco sacro dato alla terra da questo nuovo Prometeo, fuoco del quale il tempo, questo dran distruttore delle cose, non può logorare la forza, ne limitare la durata.
Quest’è ciò che io, Napoleone, ammiro soprattutto, perché spesso ci penso: quest’è ciò che mi prova in modo assoluto la divinità di Gesù Cristo.
Io me ne intendo di uomini, e posso dire che Gesù Cristo non era un uomo.
(Napoleone)


GIUSTIZIA


……………..la giustizia di questo mondo è una ragnatela che ferma i moscerini e lascia passare gli uccelli.
(Aristotile)


GOVERNO


…………….non esiste un buon governo popolare. Governar bene significa scontentare.
(Anatole France)


GRAMMATICA


………………….è più che sufficiente a costituire un martirio perpetuo della vita.
(Erasmo da Rotterdam)

GUERRA


…………….una pace ingiusta è sempre migliore della guerra più giusta-
(Cicerone)


……………ci vogliono uomini grandi e grossi con il massimo di audacia e il minimo di pensiero
(Erasmo da Rotterdam)
(Elogio della stoltezza)


…………..che le bestie si attacchino l’un l’altra lo ammetto e lo perdono per la loro ignoranza, ma …gli uomini dovrebbero riconoscere che la guerra significa per sé ingiustizia, giacché di solito non colpisce coloro che la suscitano e la guidano, anzi ricade sempre col suo peso sugli innocenti, sul povero popolo che niente ha da guadagnare né dalla vittoria, né dalla sconfitta. Il peggio tocca a coloro che nulla hanno a che fare con la guerra ed anche se tutto finisce nel migliore dei modi, la fortuna delle parti apporta il danno e la rovina dell’altra.
L’idea della guerra non è mai conciliabile con quella della giustizia e del resto come potrebbe un conflitto armato essere giusto? Per cui il principe mai dovrebbe essere più prudente che nell’indursi alla guerra, né dovrebbe insistere nel suo diritto, giacché chi non desidera la propria, come causa giusta? Una guerra sgorga in un’altra. E da una ne nascono due.
Ci voglioni uomini grandi e grossi con il massimo di audacia ed il minimo di pensiero.
(Erasmo d Rotterdam)










(I)


INDIFFERENZA


……………………..l’indifferenza è un oltraggio alla ragione, alla natura che vuole istruirsi: è un amare l’ignoranza e menarne vanto.
(G. Bonomelli)


INGANNO

……………la prima volta che tu m’inganni, la colpa è tua: ma la seconda volta la colpa è mia.
(Proverbio arabo)


INVENZIONI

……………….ti sei affidato alle tue invenzioni, ed ora tu perisci in mezzo ad esse, perisci su di esse.
(E. Hello)


IRONIA


…………l’ironia di Socrate non è capriccio e gioco di chi si sente superiore, ma è la maschera di chi cerca con la passione della verità. Egli vede saggiamente i limiti dell’uomo: “Io so di non saper nulla”.
La verità che si è riusciti ad afferrare vien messa da parte: si sa che non è l’ultima; la ricerca deve ricominciare. Così la scelsi si cela in agguato dietro l’ironia.
“Noi sappiamo, che nulla si può sapere”
(Sellmair)


ITALIA


………….per gli Italiani del secolo XX, romanità e cristianesimo sono un concetto indissolubile. Concetto che sinteticamente esprime l’anima della nostra civiltà.
L’Italia infatti è romana e cristiana o non è Italia.
Tutto quanto è Italiano, dalla lingua al sentimento, dalle Chiese delle città medioevali alle pagine dei pensatori, dalle tele dei maestri alle armonie musicali, dalle leggi ai costumi, dai canti dei poeti agli stornelli delle campagne, tutto quanto insomma ha contribuito a creare questo nostro spirito italiano, scintillante di intelligenza e di sole, di serenità e di consapevolezza, di letizia e d'amore, è intimamente legato alla romanità ed al Cristianesimo, è nato per la romanità e per il Cristianesimo ed ancora vive al di sopra delle resistenze di ogni oscurantismo anti romano.
(Piccoli)

(L)


LAVORO


…………..dall’officina la materia inerte esce nobilitata, mentre gli uomini vi si corrompono e degradano.
(Pio XII)


………….l’edificio industriale è giunto e giungerà ancora a tale altezza da minacciare rovine e spaventose catastrofi, se non se ne rafforzano le fondamenta, se non si collega strettamente con le altre parti di esso la base principale su cui poggia la classe operaia col renderla più morale, più religiosa, col procacciarle istruzione più larga, vivere più agiato.
(Cavour)


LEBBRA



………….lebbra è la parola maleodorante e l’India si può chiamare la patria dei lebbrosi essendo superata solo dall’Africa centrale. Tuttavia il lebbroso è membro della società umana come il più elevato fra noi: purtroppo son questi e non quelli che attirano le nostre attenzioni, benchè ne abbiamo meno bisogno: i lebbrosi ricevono dalla maggior parte una voluta noncuranza.
Chi se ne occupa sul serio è principalmente il Missionario e lo diciamo a sua lode. La religione è la cosa che interessa i Missionari: essi, come dice il loro nome, sono mandati per uno scopo preciso: essere gli Araldi di Dio e della sua rivelazione al genere umano.
Essi si occupano anche del lavoro sociale poiché vedono in esso un mezzo di avvicinare gli uomini a Dio e sanno che l’ingiustizia è un male grande che offende un Dio giusto e nuoce agli uomini che ne sono vittime.
L’assistenza dei lebbrosi è tanto cara al Missionario specie a quello Cattolico Romano perché nessun altro servizio richiede uno spirito di sacrificio così grande.
Un lebbrosario richiama e vuole il più alto idealismo e la più perfetta abnegazione.
Il mondo della politica e del giornalismo può vantare ben pochi eroi della levatura di un Padre Damiano del lebbrosario di Molokai: la Chiesa Cattolica, invece, ci addita migliaia di persone che, come lui, si son fatte serve dei lebbrosi.
Un’indagine profonda merita di essere fatta per vedere da che cosa siano sostenuti tali eroismi.
(Gandhi)








LIBERTA’


……………..colla libertà della propria persona all’uomo è aperta la possibilità di uscire da quell’ordine e di voltarsi contro di esso.
(Sellmair)


…………….strano, da mezzo secolo abbiamo dato – la libertà – a tutti, eccetto a Dio.
(Lamartine)


……………voi avete così poco in voi stessi il concetto della libertà che non potete tollerarla.
(ministro Binand 25.10.1910 contro l’estrema sinistra)



………….la libertà è il diritto di fare quello che non danneggi gli altri.
(Lacordaire)


…………libertà è il diritto di fare il proprio dovere.
(A. Comte)


………..il più grande pensiero e la più alta vittoria della libertà è nel sopportare volontariamente anche la pena per una colpa che non si poteva evitare, per dar prova così della propria libertà nell’atto in cui è stata perduta, meditando una nuova affermazione del libero volere.
(Shelling)























(M)

MADRE


…………..nel materno amore, più crescono gli anni e meno invecchia il core.
(Fusinato)


………….nulla avvicina tanto a Dio, quanto il ricordo di una madre santa.
(Ozanam)


MALINCONIA

………………..l’alterna vicenda del giorno e della notte, e delle stagioni, e dei fiori e dei frutti, e di tutto ciò che di tempo in tempo si offre al nostro godimento, questi sono propriamente i momenti della vita terrena.
Quanto più noi siamo aperti a queste gioie, tanto più ci sentiamo felici. Ma se a queste così care offerte noi siamo indifferenti, allora il peggiore dei mali, la più grave delle malattie ci assale:
la vita ci appare un intollerabile peso.
(Dichtung und Wahrheit)


………………tacerà essa mai quella dolorosa passione? Essa è appartenuta all’essere umano come la morte, da quando i primi uomini si perdettero negli inganni del sesso, e mangiarono dell’albero della conoscenza.
(Sellmair)


…………….la malinconia è tristezza dell’uomo che vede mancare a sé ogni scopo, quando la fede non gli indica la sua vera patria.
(Sellmair)


…………..è la madre di tutti i peccati, perché il peccato è di non volere, di non volere profondamente e intensamente.
(Kierkegaard)


MARIA S.S.

………………donna, se’ tanto grande e tanto vali Che, qual vuol grazia ed a te non ricorre, Sua disianza vuol volar senz’ali.
(Dante – Paradiso XXXIII




MATRIMONIO


…………………le giovani che vagheggiano oggi di formarsi una famiglia cristiana, debbono prepararsi ed addestrarsi ad essere, se non delle dottoresse, almeno delle insegnanti di religione, più di una si accorgerà un giorno di dovere, con infinita delicatezza e sapiente pazienza, ricordare a suo marito le verità della fede e i precetti della morale evangelica.
Ad ogni modo esse dovranno compiere un tale ufficio coi figli.
(Pio XII)


………………caspita che pochi matrimoni si concluderebbero se lo sposo prudentemente investigasse a quali giochi si abbandonava già prima delle nozze quella sua verginella dall’apparenza così delicata e vereconda.
E meno ancora sarebbero i matrimoni conclusi che si conserverebbero uniti, se i mariti per negligenza o per stupidità non ignorassero buona parte della condotta delle loro mogli! Ciò si chiama buon diritto stoltezza: ma intanto questa rende bene accetti la moglie al marito, il marito alla moglie e mantiene la tranquillità domestica e i vincoli di parentela.
Il marito gabbato viene deriso col nome di cuculo, di carruca, e con tanti altri nomignoli, mentre asciuga coi suoi teneri baci le lagrime della sposa adultera. Ma quanto si è più felici ad ingannarsi così, che non a ridersi di gelosia ed a far di tutto una tragedia.
(Erasmo da Rotterdam)
(Elogio alla stoltezza)


MISERICORDIA


……………………abbiate compassione dei cattivi: non sapete quello che avviene nel loro cuore.
(V. Hugo)


MODERNISMO


………………….ma aspettate che tutto svapori dinanzi al vento dei buffoni, e voi vedrete che il disprezzo dell’uomo per l’uomo riaprirà il circo.
(L. Veuillot)


MONDO


……………vedi la storia del mondo: le idee cambiano. Quelli che oggi sono le vittime diventano assassini di domani; gli assassini di oggi le vittime di domani.
Quella che non muta è la crudeltà. Quello che seguita a scorrere a fiumi è il sangue umano, in nome appunto dell’idea dominante.
(Rachmanova)


MORTE


………………ai giorni nostri il concetto cristiano della morte da cui dipende tutta l’eternità, minaccia di offuscarsi sempre più. Ravvivatelo nella coscienza dei fedeli e spiegate loro come la serietà della morte non consiste tanto nelle sue circostanze esteriori, quanto piuttosto nella verità che ogni uomo è responsabile del suo eterno destino e che questo si fissa al momento della sua dipartita dal mondo.
(Pio XII)

…………….la morte temporale è catastrofe solo transitoria per colui che ha già accettato la morte come trasformazione dell’essere nel senso del “muori per rinascere”.
(Sellmair)


……………la morte degli uomini è l’espiazione della comune colpa originaria della loro nascita.
(Anassimandro)


…………..l’uomo riconosce come compassionevole la vita che vive, come impigliata nelle esteriorità, come egli sciupa il suo tempo nei problemi apparenti per schivare quelli reali; com’egli s’illude fingendosi un mondo a sé stesso tutto grazioso e innocuo e come tutto accomoda alle sue vedute.
Improvvisamente risuona un richiamo morale, doloroso come è lo spavento, quando si vede morire qualche uomo grande e buono a noi vicino:
…ancora il mondo è pieno di parti, che noi recitiamo. Mentre noi ci preoccupiamo di piacere al pubblico, anche la morte recita la sua parte, anche se non piace. Ma al tuo apparire, lampeggiò in questa scena un tratto di realtà per quel pezzo per il quale tu eri entrata:
Verde, vero verde,
Vera luce di sole e vera foresta
Noi continuiamo a recitare, cose imparate con fatica e pena, ripetendo, e di tempo in tempo gesticolando, ma la tua lontana ed estranea al nostro dramma esistenza, può molte volte venirci alla mente, come un avviso di quella realtà piombando.
Sì che noi per un tratto distrattamente recitiamo la vita, senza pensare a piacere.
(Rilke)









(N)

NATURA


……………si, è sempre bella, sempre giovane ma è così indifferente: sorride alle nozze ed alle tombe…
(Pierre l’Eremite)


NOBILTA’


……………per essere grandi non bastano il genio, la virtù personale, la potenza. Il serto d’alloro non si pone che sulla fronte solcata dal dolore e quello particolarmente che viene dalla cattiveria umana.
(Dott. Colonna)





























(O)

ONORE


……………sii casto, sii puro! Conserva in una carne fragile l’onore dell’anima tua….Sii puro per amare a lungo ed essere amato sempre.
(Lacordaire)


ONESTA’

……………perché converti in frode la generosità della natura? Perché contendi all’uso degli uomini ciò che essa produce per tutti? Perché sminuisci ai popoli l’abbondanza dei prodotti? Perché cerchi artificiosamente di impoverire?
Tu accumuli ricchezze sulla miseria di tutti: e chiami industria, e chiami abilità e diligenza questa che invece è iniqua furberia e astuzia di frode?
Come il ladrone, tu studi i momenti per avventarti, duro insidiatore, alle viscere altrui.
Ha detto bene Salomone: “chi fa incetta di frumento, lo lascerà poi a tutti, non ai suoi eredi, poiché il frutto dell’ingordigia avara non passa nei diritti dei successori”.
Ciò che si acquista con ingiustizia va disperso e dissipato come il vento.
(S.Ambrogio)


OPERAIO

…………….l’operaio di oggi non è più un operaio nel vero senso della parola.
(x y)


ORGOGLIO

………………il nostro orgoglio si piega dolorosamente dinanzi al mistero. Noi ci sentiamo lanciati in mezzo a un gioco caotico di forze, la dove prima ci illudevamo di essere membri operanti per un nobile fine, in un mondo ordinato e mosso con sapiente armonia.
E la nostra umanità, sì fiera della propria libertà e del proprio dominio sulle cose, che si sentiva così forte nel volere, così sicura nell’agire, viene prostrata a terra da una forza estranea inesplicabile, forse insensata.
(Sellmair)


ORTODOSSIA


………………….è l’equilibrio di un uomo dietro cavalli che corrono a precipizio, che pare si chini da una parte, si penzola da quell’altra e pure, in ogni atteggiamento, conserva la grazia della statuaria e la precisione dell’aritmetica.
(G.K. Chesterton)

(P)

PACE

………..…dove fanno la desolazione, là mettono il nome di pace.
(Tacito)

…………noi non crediamo che la pace abbia abbandonato il mondo senza l’assenteismo divino. Dio permette che òe nazioni le quali avevano posto tutti i loro pensieri nelle cose di questa terra, si puniscano le une e le altre, del disprezzo e della negligenza con le quali esse lo hanno trattato per mezzo di mutue carneficine.
(Benedetto XV)

PAPATO

………….quattrocento anni fa moriva Lutero, persuaso che il Papato era già morto. Egli ne aveva pronunciata la sentenza capitale e gli parve di averla eseguita.
(x y)

………….il Papato vide l’inizio di tutti i governi e di tutte le fondazioni ecclesiastiche che ora esistono nel mondo: e non ci sentiamo affatto sicuri che non sia destinato a vedere la fine di tutti loro.
Esso era grande e rispettato prima che i Sassoni mettessero piede in Bretagna, prima che i Franchi avessero varcato il Reno, quando l’eloquenza greca ancora fioriva in Antiochia e gli idoli erano ancora adorati nel Tempio della Mecca. Ed esso potrà esistere ancora con non scemato vigore quando qualche turista della Nuova Zelanda s’indugerà in mezzo a vaste rovine, da un arco spezzato del Ponte di Londra, a disegnare i ruderi di S. Paolo. Questa profezia tradisce il bisogno dell’anima umana di cogliere in mezzo all’inesausto flusso della storia almeno un elemento che non vacilli, un istituto che resti.
(Thomas B. Macaulay – protestante)

………..la gemma dell’infallibilità è stata aggiunta alla tiara pontificia da Pio IX, proprio quando lo si spogliava della corona temporale, oggi ancora a Roma rimane una potenza mondiale, e il successore di S. Pietro non si sottrae alla lotta e guarda innanzi a se - anche nelle inasprite circostanze del nostro tempo, sicuro di quella vittoria che la grazia dall’Alto gli assicura.
(Kruger – protestante)

………..il Papato rimane non in decadenza, né come sola antichità, ma pieno di vita e di vigore giovanile.
(Thomas B. Macaulay)

………..c’è un’ansia che il Papa non conosce, una spina che nessun Papa ha provato mai; il pensiero del successore. Quale confortante certezza che il Papato sia la sola dinastia in cui non mancherà mai l'ere’e.
(Pio XII)

PAPISTA

…………….sicuro, lo sono, e me ne vanto perché la mia fede per la successione dei Romani Pontefici giammai interrotta, risale bella e incontaminata fino al divino Suo Autore Gesù Cristo, mentre la vostra non va più in là di Lutero e di Enrico VIII.
Se aveste un briciolo di buon senso capireste che in materia di religione è cento e mille volte più doveroso e sicuro dipendere dal Romano Pontefice che non da un re; dalla tiara che non dalla corona, dai Sacri Concilii che non dai bugiardi Parlamenti; voi non avete né Fede, né intelligenza.
(Daniele O’Connel)


PARLARE


………………certe persone sono cattive solo per il bisogno di parlare. La loro conversazione…è come quei caminetti che mangiano molta legna: ci vuole molto combustibile, e il combustibile è il prossimo.
(V. Hugo)


PECCATO


……………. Se un cane cui è stato legato un gran sasso al collo, viene precipitato da un’alta torre, non sente il peso di quel sasso finché sta cadendo, ma, appena toccata terra, si sfracella a causa di quel peso, così il peccatore, mentre commette il peccato.
(Vescovo Fisher)


PEDAGOGIA


…………………..costruzione di un insegnamento musicale sulla triplice azione della musica: formatrice, purificatrice, ricreatrice. Per il fanciullo, il cui gusto non è stato ancora formato, è adatto uno stile musicale esteticamente e moralmente misurato. (Vedi del resto anche per il teatro)
(Aristotele)

PENITENZA


………………….bello è saper resistere al male pur vivendone in mezzo. Basta, vigilanzio, se questa mia è debolezza, confesso di essere debole.
Preferisco fuggire per vincere che rimanere per perdere.
(S. Gerolamo)




POLITICA
…………………nella politica internazionale l’alleanza è l’unione di due ladri che hanno le mani così profondamente ficcate nelle tasche l’uno dell’altro da non poter separatamente derubare un terzo.
(A. Bierce)

PACE
………………dove fanno la desolazione, là mettono il nome di pace.
(Tacito)
……………..noi non crediamo che la pace abbia abbandonato il mondo senza l’assenteismo divino. Dio permette che le nazioni le quali avevano posto tutti i loro pensieri nelle cose di questa terra, si puniscano le une e le altre, del disprezzo e della negligenza con le quali esse lo hanno trattato per mezzo di mutue carneficine.
(Benedetto XV)

POPOLO
……………parlare al popolo è come parlare al vento. Dopo avervi applaudito, applaudirà un altro che dirà esattamente il contrario.
(E. Loutil)
…………..il popolo è come i cani lupi: non si sa se vogliono mordervi o farvi delle moine.
(E. Loutil)
…………..arrivare, correre dove ci sono i più, senza saper nemmeno di cosa si tratti, o sapendone appena appena qualche cosa di superficiale: lustrarsi di coccarde e ripetere ciò che dicono gli altri come se fosse una convinzione personale: ecco il buffo di certi pappagalli che fanno il chiasso.
Ste robe le notavano i nostri vecchi. Avviene con la gente di mente piccola lo stesso che con le bottiglie di collo stretto: meno contengono, e più, versando, fanno rumore.
(Pope)
………….che cosa richiamò alla concordia della vita cittadina la plebe romana, già pronta a soluzioni estreme? Forse un’orazione filosofica? Mai più! Fu invece quel ridicolo e puerile apologo dello stomaco e delle altre membra del corpo. Lo stesso effetto l’ottenne Temistocle con l’apologo consimile della volte e del riccio. Quale orazione di sapiente avrebbe potuto tanto quanto poté quella cerva immaginaria di Sertorio, o la sua comica astuzia dei peli da strappare ad uno ad uno dalla coda del cavallo (+) o l’altra dei due cani ideata dallo spartano Licurgo? (++). Per non parlare di Minosse e di Numa ciascuno dei qauli governò la moltitudine stolta mediante invenzioni favolose. (+++). Con questo genere di ciance si fa muovere quella bestia grande e potente che è il popolo.
(Erasmo da Rotterdam)

(+) Plutarco nella vita di Sertorio narra che questo generale otteneva ogni cosa dai soldati, dando ad intendere che riceveva gli oracoli da una bianca cerva donatagli da Diana. Per dimostrare poi ai guerrieri barbari che vale più l’ingegno della forza, egli fece strappare la coda di un cavallo pelo a pelo da un uomo debole che con tale astuzia lo fece agevolmente mentre prima un uomo robusto non era riuscito a strapparla con la forza.

(++) Licurgo si valse dell’esempio di due cani, uno ammaestrato e l’altro no, di fronte alla selvaggina, per mostrare agli spartani la forza dell’educazione.

(+++) Minosse, re di Creta, per dare prestigio alle proprie leggi finse di essere ammesso ogni nove anni alla mensa di Giove, suo padre, dal quale diceva di ricevere tali leggi.
Numa allo stesso scopo inventò di avere convegni notturni con la ninfa Egeria.
PRECISIONE


………………….nel tal giorno, dunque o Signore, alla tale ora, al tal minuto ed al tal secondo, tre grandi astri risponderanno non già alle nostre predizioni, ma al comando di Dio. Perché tutto nell’universo obbedisce a Lui e non ci sono che gli uomini che a lui si ribellano.
(F. Arago)


PREGHIERE


…………………le preghiere: le sole che rendono all’uomo di Stato più leggero il peso delle sue responsabilità e più ispirate le sue decisioni.
(dott. E. Celio – Presidente Conf. Svizzera)


PROFEZIE


………………..ciò che chiaro appariva al Cristiano che profondamente credente soffriva dell’ignoranza altrui, chiarissimo ci presenta il fragore della spaventosa catastrofe dell’odierno sconvolgimento che riveste la terribile solennità di un giudizio universale persino agli orecchi dei tiepidi, degli indifferenti, degli inconsiderati: una verità cioè antica che si manifesta tragicamente in forme sempre nuove e suona di secolo in secolo, di gente in gente, per bocca del profeta: “Tutti coloro che ti abbandonano saranno confusi, quanti si sottraggono a Te saranno scritti sulla sabbia”.
(Pio XII)


PROSSIMO


……………….chi non crede e non ama si allontana dal fratello, lo vitupera esagerando le sue debolezze, lo schermisce malignamente per la sua follia, senza ricordarsi del proprio viso di pazzo.
(Sellmair)












PROTESTANTESIMO - LUTERANESIMO
(Lotta fra umanisti e luterani)

…………………il problema che Erasmo pone al centro della disputa è un eterno dilemma per la teologia: la questione della libertà o schiavitù del volere umano (il punto più vulnerabile dei protestanti) secondo la dottrina rigidamente agostiniana della predestinazione accettata da Lutero, l’uomo rimane in eterno prigioniero di Dio.
Non gli è concesso in filo di libero arbitrio, ogni azione da lui compiuta esiste da lungo tempo nella precoscienza divina da essa predestinata; la sua volontà non potrà dunque sottrarsi e liberarsi dall’irretimento della colpa previssuta, né con le buone opere, né col pentimento; solo alla grazia di Dio è dato di guidare l’uomo per il retto cammino.
Una concezione moderna tradurrebbe così: - noi siamo pienamente dominati nella nostra sorte dalla massa ereditaria, dalla costellazione, nulla può fare la volontà singola se non è Dio che vuole in noi.
Non è possibile che Erasmo, l’umanista che scorge nella ragione terrena una forza sacra conferita da Dio, aderisca a simile concezione luterana. Egli crede con fede inconcussa che non soltanto l’uomo singolo, bensì l’umanità intera possa procedere verso una moralità sempre più alta, attraverso una volontà leale e disciplinata.
Nella sacra scrittura peraltro queste idee sono espresse in modo misterioso e pressoché insondabile, tanto che gli appare pericoloso rinnegare affatto con la risolutezza propria di Lutero, la libertà dell’uomo arbitrio.
Non già che egli proclami del tutto errata quella idea, ma protesta contro l’asserto che le buone azioni compiute da un uomo non possono avere efficacia alcuna presso Dio e quindi superflue.
Se, per Lutero, tutto si affida alla grazia divina, che motivo avrebbero gli uomini di compiere il bene?
Converrà dunque, propone l’eterno conciliante, lasciare almeno l’illusione del libero arbitrio affinché l’uomo non disperi, non creda Iddio ingiusto e crudele.
“Io aderisco all’opinione di coloro che qualcosa affidano alla libera volontà, ma una buona parte alla grazia, giacché noi non dobbiamo cercare di evitare la Scilla dell’orgoglio per lasciarsi trascinare nella Cariddi del fatalismo”.
(Erasmo da Rotterdam)



PROVVIDENZA



……………………la provvidenza che alimenta gli uccelli dell’aria e veste i gigli del campo, provvederà alla Chiesa, la provvidenza di Dio che dal centro della eternità padroneggia i secoli, non può temere che le manchi il tempo a compiere i disegni dell’Altissimo e il trionfo della Chiesa.
Riposiamo il cuore abbondantemente belle sue braccia e lavoriamo e pregiamo, pregiamo e lavoriamo, aspettando questo tempo, che sarà quando che sia, ma che certamente verrà poiché l’ultimo a vincere è sempre Dio.
(Don Orione)




PSICOLOGIA

………………..nessuno potrà negare, se discende nel fondo della propria anima, che sarebbe differente da quello che è, se non avesse letto il tale o tal altro libro.
(Bourget)



PUREZZA

…………….io so e sono persuaso da Gesù nostro Signore che nulla è impuro in sé e per sé, e che una cosa non è impura se non per quegli che la crede tale.
(S. Paolo)


PURIFICAZIONE

…………………….una esperienza molto profonda del dolore e della vita può condurre a quel sentimento di stupore e di meraviglia che nel fanciullo è destato dalla vista del vario e molteplice mondo esterno, nell’uomo maturo e saggio dalla contemplazione del mondo interiore.
(Sellmair)


……………………..la catarsi è di fatto niente altro che ciò che i mistici chiamano passaggio dalla riflessione alla contemplazione.
La purificazione non è il punto supremo, una preparazione alla illuminazione, all’innalzamento fuori di sé nella libertà metafisica, all’unione con Dio.
Dappertutto si rivela questa essenziale tendenza dell’anima a Dio. I sacrifici e le pratiche del culto e dei Misteri non soddisfacevano questa brama; essa rimaneva inappagata. L’uomo non redento esauriva tutte le possibilità per liberarsi dalla colpa, dal dominio degli istinti e degli affetti, ed elevarsi al disopra di se stesso.
Egli si spingeva fino a quel limite di poesia, dove questa si tocca colla mistica e colla religione.
Egli non provava una vera redenzione, perché questa libertà (Auriel), perché questa deve trasferire in uno stato di libertà più alta, che all’io superficiale dell’animus non è più accessibile, in un’altezza dove gli affetti non sono più d’impedimento, dove le passioni tacciono, tace l’hybris della ragione e della volontà, dove sta il limite fra l’uomo e Dio.
La catarsi voleva spingersi fino a questo limite.
(Sellmair)











(R)

REALTA’ TRAGICA UMANA

……………………………………il punto di frattura da cui si inizia il tragico, deve piuttosto essere nell’uomo in quanto è un essere appartenente ad un ordinamento metafisico o morale.
Con la libertàgli è data la possibilità di rifiutare sé stesso, il fondamento del mondo e la sua legge.
(Sellmair)

RELIGIONE

……………….si lancia tanto fango contro la nostra santa religione, contro di noi cattolici. E sapete cosa nasce nei nostri cuori? Non il dubbio, ma la paura, ma un amore più generoso e completo per questa fede insultata. Se mi permettete citerò io stesso.
Volete sapere quando si sono radicate nell’anima mia queste convinzioni religiose che vengo qui ad esprimere con tanto ardimento legittimo? Fu quando vidi la croce strappata dal Tempio di Nostra Signora di Parigi, nel 1830, trascinata per le vie, buttata nella Senna, fra gli applausi di una folla ubriaca e traviata.
Questa Croce profanata io la raccolsi con vero trasporto del cuore e giurai di amarla e difenderla sino alla morte. L’insulto all’innocenza ed alla virtù fu sempre fonte di nuovi eroi.
(Conte di Montalbert)


RETORI

………….i quali credono di essere veri e propri dei se si mostrano bilingui come sanguisughe, e stimano cosa magnifica inserire spesso nei discorsi, latini, anche se fuori di luogo, alquante parolette greche a guisa di mosaico.
Se poi manca a loro la conoscenza delle lingue esotiche, cavano fuori da putride carte quattro o cinque vocabili arcaici per gettar polvere negli occhi del lettore, evidentemente affinché
quelli che intendono si compiacciono vieppiù del loro sapere e quelli che non intendono tanto più ammirano quanto meno capiscono.
(Erasmo da Rotterdam)


RICOSTRUZIONE

………………………non lamento, ma azione, è il precetto dell’ora: non lamento su ciò che è o fu, ma ricostruzione di ciò che sorgerà e deve sorgere a bene della società.
Pervasi da un entusiasmo di crociati, ai migliori e più eletti membri della Cristianità spetta riunirsi nello spirito di verità, di giustizia, di amore al grido “Dio lo vuole” pronti a servire come gli antichi crociati.
(Pio XII)


RIFLESSIONE


……………………più tardi sarà precisamente una di queste fanciulle che sceglierò perché sia madre dei miei figli.
(x y)


RINGRAZIAMENTO

………………………..concludo la troppo lunga cicalata coll’asserire che in totale io fui più fortunato di altri assai migliori di me, e che i benefizi concessimi dalla Provvidenza hanno superato di gran lunga i miei meriti
(Schiaparelli)





























(S)

SACRIFICIO


…………………senza fatica non si va al riposo, né si giunge alla vittoria senza battaglia.
(Kempis)


SAPERE


………………una conoscenza ed esperienza molto profonda della bellezza terrena è molto prossima all’esperienza della morte e del perire.
Bellezza e morte sono quasi inseparabili fratelli.
(Sellmair)


……………….l’uomo cge giunge alla piena conoscenza della propria miseria senza conoscere Dio, finisce nella disperazione.
(Pascal)



SAPIENTE


………………paragoniamo la sorte di qualsiasi sapiente con quella di un simile stolto. Immaginatevi per contrasto un modello di sapienza, un uomo che abbia consumato tutta l’infanzia e l’adolescenza a studiare ed apprendere disciplina, che abbia perduto la parte più dolce della vita in assidue veglie, cure e fatiche, che in tutto il resto dei suoi giorni non abbia gustato neanche un tantino di voluttà, sempre parco, povero, triste, tetro, nemico e duro a sé stesso, molesto ed invidioso agli altri, pallido, emaciato, infermiccio, cisposo, vecchio e canuto anzi tempo in fuga dalla vita.
Veramente che importa quando muoia un uomo simile, che non ha mai vissuto?
Eccovi il magnifico ritratto del sapiente.
(Erasmo da Rotterdam)



SCETTICISMO


………………….lo scettico è troppo credulo. Crede ai giornali e perfino alle Enciclopedie….
(Chesterton)


SCIENZA

……………quando si è studiato ben ben si torna alla fede del semplice contadino, e se avessi studiato di pù, avrei anzi la fede ingenua, incondizionata della contadini bretone.
(Pasteur)

…………..ma, nemmeno per sogno, io non so nulla, amico mio. Immaginati di essere in riva all’oceano, raccogli sulla sabbia una piccola conchiglia. Che differenza c’è tra codesta conchiglia e l’oceano? Una differenza incommensurabile. Ebbene, tra quello che io so e quello che io non so c’è il medesimo abisso.
(Netwon)

…………la scienza non dovrà mai dominare, ma solo servire.
(x y)

…………la scienza superficiale può staccare l’uomo da Dio. La vera profonda scienza riporta l’uomo a Dio.
(x y)

………..che meraviglia! Di fronte a questo meraviglioso spettacolo della natura mi sento più piccolo di un elettrone. E pensare che la luce di quelle lontanissime stelle perviene a noi grazie ad un fenomeno elettromagnetico simile a quello da noi utilizzato in modo assai rudimentale nelle nostre esperienze di radiotelegrafia. E noi osiamo inorgoglirci per avere ricevuto i segnali da Poldhu a Gibilterra.
L’osservazione dei fenomeni della matura dipendono da una forza superiore regolatrice della vita dell’universo. Io sono sinceramente credente. E questa mattina, dopo l’esito felice delle nostre esperienze attraverso il continente europeo, sento maggiormente il desiderio di ringraziare Iddio che guida il nostro lavoro.
(Marconi)


SCENZIATI

…………….gli eletti sono i dolorosi conoscitori e sopportatori di questa tristezza che grava sull’uomo e malinconici sono gli uomini geniali.
(Aristotele)

……………molti nostri contemporanei pronunciano grosse parole per provare che sono degli scenziati e credono a queste parole perché non lo sono.
(Bounard)


SCRIVERE


……………..responsabilità tremenda, superiore a quella del sanitario, pari a quella del maestro, simile a quella del sacerdote, guida spirituale degli uomini.
(P. Giovanni – B. Andreatta)


SENNO

…………il vero senno sta, quando si è mortali, nel non volerne sapere più di quel che comporti la propria sorte, e con tutta quanta la moltitudine umana o chiudere un occhio di buon grado o errare umanamente insieme.
Ma questa, si dirà, è appunto stoltezza. Io non lo negherò, purché si ammetta, d’altra parte, che proprio questo significa recitare la commedia della vita.
(Erasmo da Rotterdam)


SENTENZA

…………….la parola ha del peso quando si sente sopra di essa il silenzio.
(Sertillanges)


SENTIMENTO


………………….ciò che il cuore sente o dice è l’espressione immediata e genuina del proprio io più profondo.
(Sellmair)


SILENZIO

……………..disgraziati coloro che non hanno conosciuto il silenzio! Il silenzio è un lembo di cielo che scende verso l’uomo, vien di così lontano che non se ne ha neppure l’idea.
Viene dai grandi spazi interstellari, dalle marine senza risucchi, dalla luna fredda. Viene di là dagli spazi, di là dai tempi, dalle epoche anteriori ai mondi e dai luoghi dove i mondi più non esistono.
Com’è bello il silenzio! E’ una gran pianura africana ove il vento sferzante rotea a vortici.
(E. Psichari)

SOVRANITA’

…………………chi negherà che un re sia ricco e sovrano? Ma se non è fornito dei beni dello spirito, se nulla lo soddisfa, allora evidentemente è poverissimo.
Se poi il suo animo è in balia di molti vizi, egli è vergognosamente schiavo. Allo stesso modo si potrebbe filosofare per tutto il resto, ma basterà questo esempio.
(Erasmo da Rotterdam)


SPERANZA


……………cittadini pensate all’avvenire: le nazioni saranno sorelle, gli uomini giusti, gli odii placati, non si spargerà più sangue, non più guerra….
(V. Hugo)

STUDIOSI
……………..o non vedete i visi tetri di coloro che si dedicano allo studio della filosofia o ad altra serie ed ardua occupazione? Il più delle volte sono invecchiati prima ancora di essere giovani, perché le cure ed il travaglio assiduo e penoso del pensiero esauriscono a poco a poco gli spiriti ed il succo della vita.
Invece i miei stolti sono grassottelli, lucidi, con la pelle ben curata, veri e propri porcellini d’Acarnania, come si suol dire.
(Erasmo da Rotterdam)



SUPERSTIZIOSI

…………………….prendiamo ad esempio un negoziante od un soldato o un giudice: quando di tutte le sue rapine ha gettato una monetina come obolo, crede di aver purgato in una volta sola l’intera palude lernea.(+), della sua vita e che tanti spergiuri, tanti assassini, tante imposture, tante perfidie, tanti tradimenti si redimano come per un patto e si redimano così bene, che si ha poi il diritto di tornare da capo a commettere nuove scelleratezze.
E chi è più stolto, o meglio più felice, di coloro che, recitando ogni giorno sette determinati versetti dei sacri salmi si ripromettono la beatitudine suprema? E non è un’analoga pazzia l’attribuire più poteri ad un determinato Santo che a Cristo?
(Erasmo da Rotterdam)
(+) La palude di Lerna, le Peloponneso, è quella in cui Ercole uccise l’idra e il mostruoso gambero.


SUPERUOMINI

…………………..per uno strano paradosso, quando un uomo comincia a considerarsi un Dio, finisce in genere nel trattare gli altri uomini come bestie.
(Lord Halifax)



















(T)

TEMPI

……………cambiato il maestro di cappella, la musica è ancor tanto quella.
(x y)

TRAGEDIA

……………la tragedia è la più alta espressione dell’infinito della vita umana.
(Chesterton)

TRAGEDIA O TEATRO

.………………………….. i piani si Shakespeare non sono piani, ma i suoi drammi si aggirano tutti intorno a quell’arcano centro (che nessun filosofo ha mai scoperto né fissato), dove la proprietà del nostro io, la pretesa libertà del nostro volere, si urta col necessario andamento del tutto.
(Goethe)


TEATRO

……………..la via da Eschilo a Sofocle è come il volo attraverso pericolosi crepacci e ripide pareti verso gelate cime, dove le stelle brillano vicino e mormora lo spiro dell’etere, e in basso si stende l’ampia animata campagna lavorata degli uomini, sulla cui variopinta fecondità si posa un nebbione azzurro cupo e vela il cielo, e dai margini dell’orizzonte oscuri tempestosi nembi si avanzano
(Sellmair)

…………………il dramma tragico deve, eccitando terrore e compassione, pervenire alla purificazione di tali effetti
(Aristotile)


TRAGICO UMANO

…………………………spiegare il tragico in modo da annullarlo non serve, poiché il tragico esiste.
(Sellmair)


TRASCENDENZA

…………………….. Shakespeare rinuncia di regola alla conciliazione delle disarmonie nella sfera dell’immanenza, ma accende una luce di trasfigurazione nella trascendenza, anche se non un nuovo mattino, ma la pallida luce della sera illumina la fine della sua tragedia come nel Re Lear.
(Sellmair)
(U)
UGUAGLIANZA

…………………..come le ciminiere, i campanili devono dominare le città
(x y)

UMILTA’

…………………le stelle non si vergognano di parere lucciole, ma le lucciole si gonfiano per parere soli. Solo i veri grandi sanno tacere e fare opere di vero valore.
(x y)

……………….non puoi essere stella del firmamento: sii lampada di casa.
(Proverbio arabo)

UOMINI

……………gli uomini sono più buoni di quello che credono, anche se talvolta lo sono meno di quello che dicono.
(Ojetti)

……………che bestie sono gli uomini. S’arrampicano sugli alberi per raccogliere i frutti: se sapessero aspettare i frutti cadrebbero da se. Corrono dietro alle donne: se sapessero aspettare le donne verrebbero esse stesse a cercali. Ma la loro più grande sciocchezza è e resterà sempre questa: fanno guerra e s’ammazzano vicendevolmente: se sapessero aspettare morirebbero da se.
(Ngou-Jang-Sin)

UOMO
………….il credere in se stesso è una delle caratteristiche più comune degli imbecilli
(Chesterton)

…………come è impotente l’uomo bel beneficiare i suoi simili. Di tutte le miserie, questa è la più grande.
(Lacordaire)

………….non cercare gli uomini con la lanterna, ma col cuore, perché il loro cuore si apre soltanto all’amore.
(Rosegger)

…………l’uomo non educato dal dolore rimane sempre bambino.
(Tommaseo)

…………è l’animale più infelice perché, mentre tutti gli altri si appagano dei confini della natura, solo l’uomo si sforza di uscire dai limiti del proprio destino.
(Pitagora)

………….ridere e piangere sono le espressioni estreme del grande enigma che è l’uomo.
(Sellmair)

(V)

VANGELO


…………….letterati e proletari, genti e moltitudini, tutti moriamo di questa mancanza di Vangelo.
(Sainte Beuve- scettico)


VARIE


…………pochi nella infermità diventano migliori, come rari sono quelli che per molti pellegrinaggi diventano santi.
(T. Kempis)


………..La predestinazione del fanciullo è la casa dove è nato: la sua anima si compone soprattutto delle impressioni che ivi ha ricevuto. La luce degli occhi materni è una parte della nostra anima che penetra in noi attraverso i nostri propri occhi.
(Lamartine)


………..Una persona non è vecchia fino a quando qualcuno le dà l’impressione o l’illusione di essere ancora utile e necessaria al mondo.
(x y)


VECCHIAIA


…………….il color albiccio dei capelli, la bocca sdentata, le dimensioni ridotte del corpo, l’appetito del latte, la balbuzie, la garrulità, l’incongruenza, la smemoratezza, insomma tutte le altre qualità concordano: e più gli uomini si inoltrano nella vecchiaia, più si riavvicinano alle caratteristiche dell’infanzia, finché se ne vanno dalla vita come veri e propri bambini, senza il tedio della vita e senza la conoscenza della lorte.
(Erasmo da Rotterdam)



VERITA’


…………..non è con la spada che si predica la verità, ma con la persuasione ed il consiglio.
(S. Atanasio)



VIRTU’


…………..l’unica fonte di nobiltà
(Erasmo da Rotterdam)


………….chiunque si applica il belletto di una virtù contraria alla propria natura, raddoppia il suo difetto deformando la propria indole
(Erasmo da Rotterdam)


VITA


………..ci vuol tutta la vita per imparare a vivere e, ciò che è più strano ancora, ci vuol tutta la vita per imparare a morire.
(Seneca)


……….la vita non è già destinata ad essere un peso per molti ed una festa per alcuni, ma per tutti un impiego del quale ognuno renderà conto.
(Manzoni)


……….datemi i primi sei anni della vita di un bambino: del resto non so che farmene.
(R. Kipling)


……….la maggior parte degli uomini impegna la prima parte della vita a rendere infelice la seconda:
(La Bruyere)


………la vita sarebbe sopportabile se non ci fossero i piaceri.
(Lord Palmerston)


………sinonimo di conoscenza.
(A. Oppizzi)


VIVERE


…………..quando un giovane ha commesso, lungo la sua vita, molte sciocchezze, si dice che ha vissuto molto: si dovrebbe dire piuttosto che è molto morto.
(E. Hello)



VOCAZIONE

.
………………..il sacrificio che Dio chiede all’uomo che si muove nella direzione della religiosità, è lo stesso che Dio ha richiesto ad Abramo. Dio chiede che gli si sacrifichi la cosa più cara.
(Cantoni)


VOLGO


…………la plebe è tumultuante per abito, malcontenta per miseria, onnipotente per numero.
(Mazzini)
view post Posted: 23/4/2017, 10:04 San Francesco di Sales - Il miracolo delle due lingue - Santi e testimoni
GUARIGIONE DI UN BAMBINO CON DUE LINGUE (1654)
Nel villaggio di Courbet (parrocchia di Gruffy nella diocesi di Ginevra) una coppia di contadini, il signor Giacobbe Richard e sua moglie Giovanna, nata Ploutier, ebbe un’amara sorpresa alla nascita del figlio Giovanni Claudio il 1 maggio 1653: il neonato aveva due lingue. Ciò gli rendeva molto difficile deglutire e la seconda lingua, che s’ingrossava sempre di più, minacciava di soffocarlo. Nella loro angoscia i genitori si rivolsero a due chirurghi allora famosi, il Dottor Hyazinth ed il Dottor Darbanne, dai quali si recarono con il bambino nella città di Annecy; entrambi i medici, dopo aver eseguito una visita approfondita, non osarono operare il bambino perché ciò gli sarebbe quasi sicuramente costato la vita
La guarigione miracolosa si verificò nel convento della Visitazione di Annecy e proprio nello stesso giorno in cui i genitori, con il loro figlio malato, avevano in precedenza fatto visita ai due medici, il 9 settembre 1654, verso le ore 11.
In essa giocò un ruolo del tutto straordinario un pezzetto di legno proveniente dalla bara in cui il vescovo Francesco di Sales, defunto il 28 dicembre 1622, era stato portato ad Annecy, vi era stato solennemente accolto il 22 gennaio 1623 ed era stato sepolto nella chiesa del convento delle salesiane.
Le deposizioni su questo miracolo sono state fatte sotto giuramento e verbalizzate il 28 dicembre 1661, durante il Processo Apostolico per la beatificazione di Francesco di Sales.
Questi protocolli fanno parte di quei 796 volumi di atti di canonizzazioni che l'imperatore francese Napoleone I fece trasferire dalla Congregazione dei Riti di Roma alla Biblioteca Nazionale di Parigi, dove sono registrati ancor oggi sotto la sigla H 912.

Deposizione del padre del bambino guarito, il signor Giacobbe Richard durante il Processo Apostolico:
«Il 1 maggio 1653 Dio mi donò un bambino che ricevette il nome di Giovanni Claudio. Poco dopo il parto, quando i dolori più forti furono passati, mia moglie Giovanna (nata Ploutier) volle dargli il seno; ed il povero piccolo riuscì solo con gran fatica e difficoltà a prendere in bocca il capezzolo, e non poté poppare quanto era necessario per vivere.
Mia moglie volle sapere che cosa non andava e aprì la bocca di Giovanni Claudio; anche la levatrice Claudia Travers fece lo stesso in mia presenza e constatammo che il bambino aveva una seconda lingua, e precisamente sotto la lingua normale ne aveva un’altra che per forma e figura somigliava alla prima, solo che era più piccola. Essa era causa di incredibili e grandissime difficoltà nel poppare; e la cosa peggiore era che dalla nascita in poi questa seconda lingua crebbe giorno per giorno fino a diventare così grossa che tutti temevamo che col tempo avrebbe completamente otturato la bocca del bambino.
Il bambino rimase in queste condizioni fino al 7 settembre 1654. In quel giorno un celebre chirurgo di nome Hyazinth giunse nel nostro villaggio di Courbet, nella parrocchia di Gruffy; abitava presso Francesco Richard, il castellano della nostra parrocchia di Gruffy. E poiché questo chirurgo aveva fama di guarire le malattie davanti alle quali gli altri medici non sapevano che fare, noi, mia moglie ed io, portammo il nostro bambino da lui per farglielo vedere e supplicarlo di togliergli la seconda lingua, per impedire che un giorno essa lo soffocasse. Il signor Hyazinth esaminò accuratamente il piccolo in presenza del castellano Francesco Richard e di molte altre persone; dopo aver guardato bene la seconda lingua disse che una simile operazione era qualcosa di così straordinario che non osava eseguirla senza aver consultato il suo collega, il signor Darbanne. Dovevo portare il bambino ad Annecy, dove i due avrebbero potuto riflettere meglio sulla cosa e fare il possibile per tagliare la lingua od eliminarla in qualche altro modo. Il 9 dello stesso mese mia moglie ed io portammo il bambino ad Annecy accompagnati da mio cognato Giacobbe Ploutier, il fratello di mia moglie. Visitammo i due grandi chirurghi nel loro appartamento presso il pozzo di San Giovanni, dove avevano affittato un’abitazione; in presenza nostra e di alcune altre persone giunte da villaggi del circondario a causa di varie malattie, i due medici esaminarono la bocca del bambino e dopo aver ponderato insieme la cosa dissero a mia moglie ed a me che non potevano assumersi la responsabilità di questa operazione; quel mattino si sarebbero confessati perché ad Annecy era giorno di indulgenze e non volevano ingannarci e dire che potevano guarire nostro figlio per portarci via i soldi di tasca.
Ritenevano la malattia incurabile, poiché la lingua si trovava in un punto così delicato e sensibile che era impossibile tagliarla senza mettere il piccolo in pericolo di vita; non sapevano consigliarci altro che di ricorrere a Dio. E questo facemmo mia moglie ed io.
Quando lasciammo la casa di questi chirurghi ci sentimmo entrambi ugualmente spinti a portare il nostro bambino alla tomba del servo di Dio Francesco di Sales; perché dappertutto si udiva dire che Dio non cessava mai di far miracoli in quel luogo, e si raccontava anche che tre giorni prima una donna era caduta nel lago in un punto di cui non si era ancora riusciti a trovare il fondo, ed era stata miracolosamente preservata dalla morte in risposta alla promessa che suo marito aveva fatto al servo di Dio Francesco di Sales nel momento della caduta. Perciò andammo insieme, pieni di fiducia nei meriti e nell’intercessione di questo servo di Dio, nella chiesa del convento della Visitazione; verso le 10 ascoltammo la messa nella Cappella dei Santi Innocenti, dove egli è sepolto, e con grande fiducia portammo il bambino alla sua tomba.
Verso le 11 chiedemmo di poter parlare alla Madre Superiora di questo convento della Visitazione; le descrivemmo lo stato miserando in cui si trovava il bambino e lei stessa vide le due lingue che egli aveva in bocca, e noi la pregammo di darci qualche cosa che fosse appartenuta al servo di Dio, perché speravamo che toccando il bambino con questa cosa Dio l’avrebbe liberato dall’impedimento e dal pericolo di dover morire molto presto. La Madre Superiora diede a mia moglie un pezzetto della bara dentro la quale la salma del servo di Dio era stata portata qui da Lione.
Mia moglie lo prese con grande fiducia e lo mise nella bocca del nostro bambino: subito la seconda lingua si dissolse senza che ne restasse neppure un’ombra. Lo vedemmo quando il bambino ebbe restituito il pezzetto di legno: gli aprimmo la bocca e lo videro anche la Superiora ed alcune altre suore che erano presenti, e lo videro mio cognato Giacobbe Ploutier ed Antonio Roland, il padrino del bambino, che erano venuti con noi.
Da quel momento il nostro bambino non ha più avuto questo malanno, ed anche oggi gode di ottima salute. Tutto quello che ho affermato su questo grande miracolo è noto a chiunque in tutto il paese».
Deposizione della madre del bambino guarito, la signora Giovanna nata Ploutier, che aveva messo nella bocca di suo figlio il pezzetto di legno tolto dalla bara del (santo) vescovo Francesco di Sales:
«...posi nella bocca del mio povero piccolo il pezzetto di legno, e nello stesso istante scomparve la lingua superflua che lo tormentava tanto e minacciava di soffocarlo entro breve tempo e di impedirgli di deglutire. Non ne rimase più alcuna traccia, fu come se non avesse mai avuto questa seconda lingua. Lo vidi quando gli aprii la bocca per restituire il pezzetto di legno; e lo videro anche mio marito, mio fratello Giacobbe Ploutier e la Madre Superiora, come pure alcune altre suore che erano con lei».
Deposizione dello zio (materno) del bambino guarito, il fabbro Giacobbe Ploutier, che si recò ad Annecy insieme ai genitori del piccolo e fu testimone oculare della miracolosa guarigione:
«Quando mia sorella ebbe ricevuto la reliquia, la infilò con grande fiducia nella bocca del bambino e fummo molto sorpresi e felici quando, nello stesso momento in cui il legno toccò la seconda lingua, questa si dissolse e scomparve senza lasciare alcuna traccia, come se non fosse mai esistita. Mio cognato, mia sorella, Antonio Roland e le suore lo videro molto chiaramente, e lo vidi anch’io, e tutti ringraziammo Dio ed il suo servo. Al ritorno passammo dal nostro castellano, il signor Francesco Richard, ed anche lui guardò il bambino e si meravigliò».
Deposizione del castellano di Courbet, il signor Francesco Richard, che ha visto più volte la doppia lingua del bambino. Era presente anche alla visita eseguita il 7 settembre 1654 dal Dottor Hyazinth, che dichiarò che il bambino sarebbe sicuramente morto in un’operazione. La mattina del 9 settembre 1654 Francesco Richard ha visto ancora una volta i genitori con il loro figlio malato; nello stesso giorno, verso le ore 5 pomeridiane, li ha incontrati mentre tornavano da Annecy con il bambino guarito, che gli è stato mostrato:
«L’ho visto con i miei occhi. Quando lasciarono il nostro villaggio di Courbet il piccolo aveva le due lingue che lo tormentavano più che mai, ed al ritorno da Annecy aveva solo più la lingua giusta, come se non fosse mai stato diverso.
L’hanno visto anche mia moglie, tutti quelli della mia casa e tutti gli abitanti di Courbet».
view post Posted: 11/11/2016, 17:34 Testi Eucaristia - Aforismi
L’Eucaristia è l’ultima invenzione, l’ultimo ritrovato dell’amore incredibile che Gesù ha avuto per noi.
Ricordate: anche quando ci saranno tempeste nella vita, quando sarete delusi, quando un amico o la ragazza che avete incontrato vi abbandonerà, quando una tempesta di scetticismo si abbatterà sul vostro operato, ricordatevi che tutti possono lasciare la vostra mano ma Lui no.
Sapete che cosa disse prima di sottrarsi allo sguardo dei suoi discepoli?
Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo!
Come ha mantenuto questa promessa? Mediante i Sacramenti: una catena montuosa la cui vetta più alta -l’Everest o il K2 non so quale sia – è proprio l’Eucaristia. Quella sera Gesù fece un banchetto per i suoi discepoli. Prima di andarsene disse loro che ogni volta che si fossero riuniti intorno a quella tavola nel suo nome- è qui il nucleo di ogni cosa!- avrebbero rievocato tutto il passato della storia della salvezza. E avrebbero rinnovato l’alleanza con il Signore e anticipato tutto il futuro di gloria che spettava loro in forza del suo sangue.
Significa che anche voi, attraverso l’Eucaristia, rievocherete tutto il passato, anticiperete tutto il mistero di gloria che vi tocca, il mistero futuro, e farete esplodere nel presente una galassia di grazia, un arcipelago sconfinato di grazia che darà senso al vostro cammino!...
E’ come se Gesù avesse detto: Costruirete la Chiesa nel presente!
Sarà questo a dare senso al vostro cammino e darà senso al cammino del mondo intero, anche a quello di tutti coloro che non credono. (Antonio Bello in Laudate e benedicete, Ed. Insieme 1998, pp. 25-27)






Il cuore dell’uomo ha bisogno di un centro di affetto e di espansione: creando il primo uomo, infatti Dio disse:«Non è bene che l’uomo stia da solo; facciamogli una compagnia simile a Lui». Anche l’Imitazione dice: «Senza un amico, tu non sapresti vivere felice». Ebbene, nel Santissimo Sacramento nostro Signore vuole essere il centro di tutti i cuori, e dice: «Rimanete nel mio amore. Rimanete in me».
Che vuol dire rimanere nell’amore del nostro Signore? Vuol dire fare di questo amore che vive nell’Eucaristia il nostro centro di vita, il centro unico della nostra consolazione, e, nelle pene, nei dispiaceri, nelle delusioni, nei momenti in cui il cuore si libra con maggior abbandono, gettarsi nel Cuore di Gesù. Egli ci invita: «Venite a me voi tutti che siete affaticati, e io vi consolerò». Vuol dire ancora, nella gioia, riferire la felicità a nostro Signore, poiché è delicatezza di amico non volersi rallegrare se non con l’amico. Vuol dire fare dell’Eucaristia il centro dei nostri desideri: «Signore, io voglio questo unicamente se tu lo vuoi: farò questo per farti piacere». Vuol dire rallegrarsi di fare a Gesù la sorpresa di un dono, di un piccolo sacrificio. Vuol dire vivere per l’ Eucaristia, guidarsi nelle proprie azioni col pensiero dell’Eucaristia, farsi una legge immutabile di preferire a ogni cosa il servizio dell’Eucaristia
E’ davvero centro del nostro cuore l’Eucaristia? Nelle pene straordinarie, nelle preghiere molto fervorose, nelle necessità urgenti, può darsi: ma nella vita ordinaria pensiamo a Gesù, prendiamo le nostre decisioni in Gesù, operiamo in Gesù come nel nostro centro?
Perché nostro Signore non è il nostro centro? Perché non è ancora l’io del mio io, perché io non sono ancora interamente sotto il suo dominio, sotto l’ispirazione del beneplacito, perché ho desideri rivali a quelli di Gesù in me?
(s.Pier Giuliano Eymard, La divina Eucaristia)



L'EUCARISTIA: VIA ALLA TRINITÀ

Il grande mezzo che la Chiesa ci ha dato per entrare nel mistero della Santissima Trinità è precisamente il sacramento ed il sacrificio dell’Eucaristia. Invece di tentare di immaginarci il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, dobbiamo fissare lo sguardo sulla santa Ostia e ricordare le parole pronunciate da Gesù all’Ultima Cena: «Chi vede me, vede anche il Padre mio» (Gv 14,9).
Penetriamo nel mistero della Santissima Trinità non tanto pensando e fantasticando, quanto amando. Pensiero ed immaginazione raggiungono presto dei limiti che non è dato loro di oltrepassare, limiti che rimangono ancora infinitamente lontani dalla realtà di Dio. L’amore invece, oltrepassando ogni confine e volando al di sopra di qualsiasi limite, con le ali dello Spirito stesso di Dio, penetra nelle profondità stesse del mistero e afferra Colui che la nostra intelligenza è incapace di scorgere. «A noi lo rivelò Dio per mezzo dello Spirito suo, perché lo Spirito penetra tutte le cose, anche le profondità di Dio» (1 Cor 2,10).
(THOMAS MERTON in Il pane vivo, Massimo 1983, pp. 78-79)


MARIA, CANESTRO DEL PANE


Maria, nella vita di Gesù, sembrerebbe ristretta alla sola sua funzione di Madre, premurosa e attenta.
Nessuna relazione esisterebbe tra Maria e l’Eucaristia.
Tuttavia, alcuni esegeti fanno notare come l’evangelista Luca, rivisitando la storia di Gesù e di Maria dopo gli avvenimenti della Pasqua, sottolinei con particolare enfasi il valore simbolico chiaramente eucaristico di Betlemme, che significa la "casa del pane"; e della mangiatoia , in cui fu posto Gesù.
L’evangelista Luca sembra suggerirci che, a Betlemme, Maria fu la casa per eccellenza del Pane di vita che è Cristo.
Madre del corpo di Gesù, è anche madre del Pane di vita che è l’Eucaristia.
Il Corpo generato da Maria è nato per diventare Eucaristia.
Ella è il tabernacolo vivente dove abitò il Verbo di Dio che si fece carne, simbolo dell’abitazione del Verbo nel Sacramento dell’Eucaristia.
E’ il tempio in cui Dio è diventato sacerdote e vittima.
Da lei prese il corpo che fu offerto in sacrificio. (…)
Nel celebrare il mistero eucaristico, la Chiesa si sente debitrice verso Maria, perché le ha donato il Pane della vita, l’Agnello immolato. (…)
I padri e i teologi della Chiesa orientale, più attenti che non i padri occidentali a penetrare l’intimità che si stabilisce tra Dio e l’uomo nello Spirito Santo, approfondirono ulteriormente questo accostamento tra Maria e l’Eucaristia.
Essi intuirono che occorre fissare l’attenzione su Maria , colei che ha fatto in pienezza l’esperienza dello Spirito, per comprendere la sua azione nell’Eucaristia.
Come infatti lo Spirito Santo discese nel seno della Vergine Maria, così discende sul pane e sul vino.
(GIANPIERO CASIRAGHI in La Vergine Maria e l’Eucaristia, Paoline 1990, pp. 16-17)
view post Posted: 29/10/2016, 20:11 Confessioni all'estero senza conoscenza della lingua - Morale fondamentale e sociale
Può un sacerdote rifiutare la confessione di uno di cui non comprende la lingua?

Quesito

Carissimo Padre Angelo,
volevo innanzitutto ringraziarti e benedirti per il tempo che stai spendendo per legger e rispondere a questo mio dubbio. A tal proposito ti volevo sollevare una domanda circa il sacramento della confessione, che porta in sé molti dubbi. Qualche mese fa mi sono trasferito per un lungo periodo, seppur limitato, in …. Ebbene padre, in un contesto pieno di frustrazioni, di solitudine e di tanto altro, non posso non negarti il fatto che sia caduto in determinate tentazioni che mi hanno provato interiormente. Quindi, alla luce di ciò, andai nella cattedrale locale per confessarmi, ma, ecco il problema. Nessuno dei tanti sacerdoti parlava italiano, inglese o in extremis anche latino. Di fatto mi è stata negata la confessione per incapacità di comprensione nell'altra lingua. Di chiese locali, padre, non ve n'erano tante. Ne girai qualcuna, ma non trovai nessun che mi potesse aiutare. In questo contesto, padre, seppur ero in peccato mortale, come mi dovevo comportare verso la comunione? So che non è corretto comunicarsi in stato di peccato, ma la buona volontà vi fu da parte mia in quel caso. In secondo luogo in quel caso specifico il confessore, visto che confessa in persona Christi, può rifiutare la confessione di una persona che non può capire? Gesù in quel caso non mi capirebbe?
Grazie mille padre per il tuo aiuto e per le informazioni

Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. l’accusa dei peccati gravi è elemento essenziale del Sacramento della Penitenza o Riconciliazione.
Il sacerdote, che in questo Sacramento è medico e giudice, non potrebbe assolvere in maniera adeguata al suo compito se non sapesse che cosa assolve e se non sapesse che cosa è chiamato a curare.
Giovanni Paolo II in Reconciliatio et Paenitentia afferma: “Tribunale di misericordia o luogo di guarigione spirituale, sotto entrambi gli aspetti, il sacramento esige una conoscenza dell’intimo del peccatore per poterlo giudicare e assolvere, per curarlo e guarirlo.
E proprio per questo implica da parte del penitente un’accusa sincera e completa dei peccati, che ha pertanto ragion d’essere non solo ispirata a motivi ascetici (quale esercizio di umiltà e mortificazione), ma inerente alla natura stessa del Sacramento” (RP 31,II).

2. Le parole di RP fanno eco a quelle del Concilio di Trento il quale afferma che “la confessione integra dei peccati è stata istituita dal Signore, e che è necessaria per diritto divinoa quanti sono caduti in peccato dopo il Battesimo” (DS 1679).
Questa dottrina è stata ribadita ulteriormente da Giovanni Paolo II nel Motu proprio Misericordia Dei (7.4.2002): “Il Concilio di Trento dichiarò che è necessario ‘per diritto divino confessare tutti e singoli i peccati mortali’ (DS 1707).
La Chiesa ha visto sempre un nesso essenziale tra il giudizio affidato ai sacerdoti in questo Sacramento e la necessità che i penitenti dichiarino i propri peccati (DS 1679, 1323), tranne in caso di impossibilità”.

3. Nel “tranne in caso di impossibilità” è contemplato anche il tuo caso.
I testi di teologia morale presentano i casi in cui si verifica l’impossibilità fisica dell’accusa.
Sono tre. Eccoli.
L’impossibilità fisica può essere causata:
da mancanza di forze: il penitente non riesce a concludere la confessione, oppure il sacerdote si sente venir meno;
da mancanza di tempo: per il sopraggiungere improvviso di un pericolo o calamità; in questo caso il confessore deve invitare il penitente o i penitenti a pentirsi dei propri peccati e dà l’assoluzione;
da mancanza di loquela: può capitare per un muto (in genere i muti vengono educati ad esprimersi in qualche modo), per un sordo che non può rispondere alla domande del sacerdote, per una persona che non conosca la lingua del confessore.

4. Mi meraviglio perciò che nessuno ti abbia voluto dare l’assoluzione.
Mi auguro che tutti abbiano pensato che tu nel frattempo andassi alla ricerca di un confessore che capisse la tua lingua.
C’è stato probabilmente un fraintendimento.
In ogni caso, tu potevi benissimo accontentarti di un’assoluzione data dall’ennesimo confessore che incontravi anche se non capiva la tua lingua. Ne avevi il diritto.
Papa Francesco parlando ai confessori il 4 marzo 2016 ha detto: “Secondo: non legarsi soltanto al linguaggio parlato, ma anche al linguaggio dei gesti. C’è gente che non può parlare, e con il gesto dice il pentimento, il dolore”.

5. In questo caso, ricevuta l’assoluzione, potevi tranquillamente fare la S. Comunione e successivamente in occasione di un’altra confessione fatta con un sacerdote che poteva capirti avresti dovuto confessare i peccati non accusati perché l’accusa dei peccati è di diritto divino e da essa la Chiesa non può dispensare.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo (fonte: amicidomenicani.it )
view post Posted: 29/10/2016, 14:46 Sull'obbligo di partecipare alla Messa nei giorni di domenicaSull'obbligo di partecipare alla Messa - Morale fondamentale e sociale
Sull'obbligo di partecipare alla Messa nei giorni di domenica e nelle altre feste di precetto sotto pena di peccato grave

Quesito

Caro Padre Angelo,
a me è stato insegnato che la domenica e "le altre feste comandate" si debba andare a Messa e che non andandovi si commetta peccato mortale. Però, qualche domenica fa un parroco, durante l'omelia, ha detto che se non si va a Messa la domenica non si pecca. Un altro parroco invece ha detto addirittura che una persona, pur avendo gravi motivi per non andare a Messa una domenica, debba tuttavia comunicarlo al suo parroco per esservi autorizzato. Come stanno veramente le cose? La ringrazio in anticipo per la risposta e le porgo tanti cordiali auguri per la Pasqua.


Risposta del sacerdote

Carissima,
1. per determinare la consistenza dell’obbligo della santificazione delle feste è necessario stare a quanto dice la Sacra Scrittura e a quanto insegna la Chiesa.

2. Il terzo precetto del Decalogo, in Es 20,8-11, è così formulato: “Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio. Tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro”.
Due sono le realtà toccate dal precetto: la santificazione della festa e il riposo festivo.

3. Tralasciamo di vedere come nell’Antico Testamento venissero santificate le feste per arrivare subito al Nuovo Testamento.
Di certo sappiamo questo: che le prime comunità cristiane erano solite radunarsi il primo giorno della settimana, che era il giorno successivo al sabato. Era il giorno memoriale della risurrezione del Signore.
Era una grazia per i cristiani potersi incontrare col Signore risorto e fruire della sua presenza, della sua parola, del suo corpo e del suo sangue.
Consideravano questa partecipazione un obbligo morale da mettere prima di tutto il resto.
Sappiamo di alcuni che hanno preferito piuttosto essere uccisi che rinunciare all’incontro con Cristo mediante la partecipazione all’Eucaristia.
È il caso di quei martiri di Abitine, nell’Africa proconsolare, che risposero ai loro accusatori: “È senza alcun timore che abbiamo celebrato la cena del Signore, perché non la si può tralasciare; è la nostra legge”; “Noi non possiamo stare senza la cena del Signore”. E una delle martiri confessò: “Sì, sono andata all’assemblea e ho celebrato la cena del Signore con i miei fratelli, perché sono cristiana”.
Il Sinodo di Elvira (300 c.) prescrive l’obbligo della partecipazione. E così fanno anche i Sinodi di Antiochia (341) e di Sardica (Sofia, 343). La partecipazione alla Messa viene considerata uno degli obblighi fondamentali del cristiano.

4. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ha recepito questa tradizione e l’importanza della partecipazione alla Messa. E così scrive: “La Chiesa fa obbligo ai «fedeli di partecipare alla divina Liturgia la domenica e le feste» e di ricevere almeno una volta all’anno l’Eucaristia, possibilmente nel tempo pasquale, preparati dal sacramento della Riconciliazione” (CCC 1389).

5. Il Catechismo della Chiesa Cattolica dopo aver ribadito diverse volte l’obbligo di partecipare alla Messa la domenica e nelle altre feste di precetto, afferma che “i fedeli sono tenuti a partecipare all’Eucaristia nei giorni di precetto, a meno che siano giustificati da un serio motivo (per esempio, la malattia, la cura dei lattanti o ne siano dispensati dal loro parroco)” (CCC 2181) e che “coloro che deliberatamente non ottemperano a questo obbligo commettono un peccato grave” (Ib.).
Peccato grave è la stessa cosa che peccato mortale, come ha insegnato Giovanni Paolo II: “Il peccato grave si identifica praticamente, nella dottrina e nell’azione pastorale della Chiesa, col peccato mortale” (Reconciliatio et Paenitentia 17).

6. Il Codice di Diritto canonico prevede che il Vescovo, il parroco e il superiore di un istituto religioso clericale possono dispensare i propri sudditi dall’osservanza del precetto festivo o commutarlo in un’altra opera (can. 1245).
Pertanto quando vi è una ragione seria permanente che impedisce di partecipare alla Messa festiva, si può chiedere al parroco di poter esserne dispensati oppure che commuti quell’obbligo con un’altra opera.

7. Va da sé che non vi è bisogno di chiedere il permesso al Parroco se non si può andare a Messa perché se ne è impediti per motivi di salute, di assistenza continua ai malati, di anzianità, di assistenza continua agli infermi, per il compimento di doveri del proprio stato, per un lungo viaggio che non può essere differito, per la permanenza all’interno di un paese dove non vi sono chiese cattoliche a portata di mano, ecc….

Ecco dunque la disciplina della Chiesa.
Ti ringrazio di avermi dato l’opportunità di presentarla ai visitatori, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo (fonte: amicidomenicani.it )
view post Posted: 23/10/2016, 17:41 Convivenza e matrimonio - Morale familiare e sessuale
Quesito

Caro Padre Angelo,
sono un ragazzo che sta ritrovando la retta via, purtroppo è un anno che convivo e varie volte mi sono confessato senza che il confessore mi ammonisse del mio errore ma solamente mi consigliava che era bene sposarsi, ho fatto anche molte comunioni ignaro del mio peccato mortale, lo so sono ignorante e me ne pento sentendomi molto male interiormente, la cosa più triste è che la mia ragazza non vuole assolutamente sposarsi e ciò lo giustifica dicendo che non vuole una responsabilità così grande agli occhi di Dio e che fa così perchè crede troppo nel matrimonio e ha paura dei divorzi, mi aiuti come posso fare ho provato in tutti i modi e la cosa terribile è che non posso confessarmi e fare la comunione, per il momento mi astengo dai rapporti sessuali, ma questo credo che sfocerà in una sua ribellione, aiutatemi sono disperato.

Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. la situazione in cui ti trovi è intricata.
Mi pare che tu abbia intenzione di sposarti, mentre la tua ragazza non ne ha affatto.
È vero che il matrimonio è una cosa seria e grande agli occhi di Dio e che il divorzio è sempre traumatico.
Ma se il matrimonio è una cosa molto grande agli occhi di Dio, la convivenza non è ugualmente agli occhi di Dio un peccato molto grande?

2. Nella convivenza si sta insieme con rapporti sessuali che toccano l’intimo nucleo della persona.
Ma questi rapporti sessuali sono falsati perché quel gesto che di sua natura vuol dire che ci si dona in totalità, di fatto esclude nelle sue intenzioni (come fa la tua ragazza) e nelle azioni (la contraccezione) di donarsi in totalità.
È un atto menzognero, come diceva Giovanni Paolo II, nella Familiaris consorzio: “La donazione fisica totale sarebbe menzogna se non fosse segno e frutto della donazione personale totale, nella quale tutta la persona, anche nella sua dimensione temporale, è presente: se la persona si riservasse qualcosa o la possibilità di decidere altrimenti per il futuro, già per questo essa non si donerebbe totalmente” (FC 11).
A che cosa viene ridotto dunque il rapporto sessuale tra conviventi?

3. Ecco che cosa dice ancora in proposito Giovanni Paolo II: “Se si esclude dai rapporti sessuali e coniugali radicalmente e totalmente l’elemento potenziale di paternità e di maternità, si trasforma perciò stesso la relazione reciproca delle persone. L’unione nell’amore slitta verso un godimento comune, o, per meglio dire, verso quello dei due partner” (k. wojtyla, Amore e responsabilità, p. 216).
E “violando le leggi della natura, si viola anche la persona, facendone un oggetto di godimento, anziché farne un oggetto di amore. La disposizione alla procreazione, nei rapporti coniugali, protegge l’amore, è la condizione indispensabile di una vera unione delle persone” (Ib., p. 218).

4. Io non intendo scaricare tutta la responsabilità sulla tua ragazza. Perché tu stesso ti sei concesso e hai favorito in lei, oltre che in te stesso, una mentalità ludica (di gioco) del rapporto sessuale.
Il rapporto sessuale invece è stato concepito da Dio in ordine ad una donazione totale della persona.
Quando si dice totale significa che in questo rapporto non ci si riserva nulla. Ci si immola per sempre per la persona che si ama.
In questo donarsi è incluso anche il mettersi in gioco per una immolazione vera e reale anche in riferimento ai figli.

5. Il tuo confessore, forse perché tu stesso gli hai detto che non avete intenzione di tornare indietro, ti ha consigliato di procedere per il matrimonio, e cioè per una “regolarizzazione della situazione”.
Ed è giusto.
Ma se la tua ragazza non vuole assolutamente il matrimonio, che senso ha convivere?
Qual è la prospettiva di questa convivenza?

6. Mi dici che hai la volontà di interrompere i rapporti sessuali ma che temi che ad un certo punto questo potrebbe portare ad una sua ribellione.
Su questo punto tu devi essere fermo e devi dirle che i rapporti sessuali non li vuoi banalizzare, che li vuoi solo se hanno il loro intrinseco significato, quello voluto da Dio.
E che pertanto, fino al matrimonio, di questo non se ne deve parlare.

7. La tua ragazza dice che il matrimonio è una cosa molto grande agli occhi di Dio.
Ma falsificare il rapporto sessuale e dargli un significato diverso da quello che gli ha dato Dio non è una cosa molto grande? Anzi, non solo grande, ma non è una cosa molto grave?
E rimanere privi della S. Comunione e dell’assoluzione dei propri peccati (con tutte le conseguenze annesse) non è una cosa molto grave?

8. Se la tua ragazza è spaventata dalla responsabilità del matrimonio è libera di non sposarsi.
Ma non è libera, davanti a Dio, di usare della sessualità come vuole, alterandone il significato di immolazione, di santificazione e di procreazione.
Questi significati sono scritti nell’intima struttura degli atti sessuali e delle potenze generative.

9. Il mio consiglio pertanto è quello di fare un passo indietro perché vi impegnate innanzitutto in un cammino di castità e di santificazione, tornando a vivere come vuole il Signore (e cioè interrompendo la convivenza).
Farete così un percorso di verifica e di maturazione delle vostre intenzioni.
C’è da sperare (e per questo bisogna anche pregare e offrire al Signore qualche sacrificio) che la tua ragazza possa comprendere e decidere di camminare seguendo fiduciosamente le vie di Dio.
Se al contrario rimarrà nella sua linea di contrarietà al matrimonio, farai le tue scelte doverose per edificare qualcosa di serio di solido e di duraturo per la tua vita affettiva e per il tuo futuro.

Ti assicuro la mia preghiera. Pregherò anche per lei perché il Signore la illumini e penetri nel suo cuore.
Padre Angelo
view post Posted: 23/10/2016, 16:33 Rapporti preliminari - Morale familiare e sessuale
Quesito

Carissimo Padre Angelo,
innanzitutto volevamo ringraziarla per la disponibilità e la chiarezza nelle risposte agli svariati quesiti che le vengono proposti.
Siamo una coppia di sposi che mira sempre a vivere il matrimonio secondo la Parola del Signore. Le scriviamo perché siamo molto confusi in quanto ci sono pareri discordanti tra vari sacerdoti che abbiamo interpellato in confessione e vorremmo, una volta per tutte, una risposta che ci chiarisca le idee.
Ci scusiamo in anticipo per la delicatezza dell'argomento: vorremmo sapere se all'interno dei rapporti coniugali, che comunque si concludono sempre dove naturalmente e cristianamente si devono concludere (seguiamo il metodo Billings), sia lecito oppure no avere rapporti anali e orali come situazione preliminare.
Alcuni sacerdoti hanno detto a mio marito che è peccato e uno ha detto addirittura di evitare qualsiasi occasione che potrebbe portare ad un tipo di rapporto del genere (ma, data la timidezza del mio sposo soprattutto su questi argomenti non so se sia stato specificato che si tratta di un preliminare e non di un rapporto concluso così).
E per due volte, sempre in confessione è stato detto che tutto ciò è lecito purché sia un rapporto aperto alla vita e basato sulla donazione di sé.
Nel dubbio cerchiamo di astenerci da queste pratiche ma la situazione sta diventando pesante perché il desiderio é forte e non sappiamo se il nostro é un sacrificio inutile oppure effettivamente stiamo sfuggendo ad un grave peccato.
Sicuri di una risposta, la ringraziamo, la ricordiamo nelle nostre preghiere e le chiediamo di pregare per noi affinché siamo sempre guidati dalla Luce del Signore.
Con affetto … e …

Risposta del sacerdote

Carissimi,
1. l’espressione rapporto orale o anale è già di suo fuorviante perché rimanda ad atti contro natura.
Se si tratta di rapporti completi, anche se vengono compiuti come preliminari, costituiscono u disordine grave.
Il Magistero della Chiesa si è espresso così: “Ma se il marito vuole commettere con lei la colpa dei Sodomiti, poiché questo coito sodomitico è un atto contro natura da parte di entrambi i coniugi che così sì congiungono e questo, a giudizio di tutti i dottori, è gravemente cattivo, la moglie, per nessun motivo, neppure per evitare la morte, può lecitamente in questo caso compiacere al suo impudico marito” (DS 3634).
Si tratta di un disordine grave, di una perversione del disegno di Dio sulla sessualità e l’amore umano.

2. Come vedi, questi rapporti vengono considerati come i peccati dei sodomiti, dei quali nella Sacra Scrittura si legge che furono peccati che gridarono verso il cielo a motivo del grande sconvolgimento che questi peccati causano all’interno della società.
Gridare verso il cielo nella Sacra Scrittura è la stessa cosa che attirare dei castighi.
Non che Dio castighi, ma nel senso che Dio abbandona queste persone alla loro perversa volontà. E così più facilmente sono esposte ad essere flagellate dalla malvagità degli uomini e dei demoni.
“Dio abbandona” è un linguaggio metaforico, perché Dio non abbandona nessuno.
Ma poiché queste persone si sottraggono alla protezione della grazia, che secondo la Sacra Scrittura è anche scudo, corazza, rifugio e difesa, succede per loro di essere più esposte a tanti mali che in definitiva si infliggono da se stesse.

3. Questo abbandono stringe il cuore.
Ma queste sono proprio le parole usate da San Paolo: “Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi” (Rm 1,24);
“Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; infatti, le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura” (Rm 1,26).
“E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni indegne” (Rm 1,28).

4. Ci tengo anche a precisare che all’interno del matrimonio non è sufficiente evitare la contraccezione e usare i metodi naturali.
Pur usando i metodi naturali il cuore può essere pieno di passioni infami, per usare il linguaggio di San Paolo.
C’è una purezza da coltivare anche all’interno del matrimonio.
Per questo il Santo Papa Giovanni Paolo II nella lettera alle famiglie “Gratissimam sane” ha detto che “la persona non può mai essere considerata un mezzo per raggiungere uno scopo; mai, soprattutto, un mezzo di “godimento”. Essa è e dev’essere solo il fine di ogni atto. Solo allora corrisponde alla vera dignità della persona” (GrS 12).

5. Detto questo, si può parlare allora anche di preliminare corretto.
Ed è corretto quel preliminare per il quale ci si stimola in vario modo per poter essere in grado di compiere il gesto dell’intimità sessuale secondo Dio.
Come vedi, siamo in un’ottica ben diversa da quella per cui si cerca il rapporto orale o anale per se stesso, anche se poi viene seguito da un rapporto secondo natura.
In questo stimolarsi in vario modo è incluso anche quanto i coniugi possono fare per portare la donna all’appagamento fisico.

6. È questo il principio che tenevano presente gli autori di teologia morale quando scrivevano che “baciare i genitali in genere non è necessario e neanche utile per compiere l’atto.
Spesso ripugna ai coniugi.
Tuttavia talvolta a motivo della frigidità di uno dei due o di tutti e due possono essere utili e talvolta anche necessari”.

7. Come vedi, nei principi che ti ho esposto puoi trovare quanto ti hanno detto i vari confessori. A te è parso che abbiano detto cose diverse tra loro.
In realtà talvolta i penitenti parlano in modo da indurre il confessore ad esprimersi in un modo piuttosto che in un altro. Di qui si ha l’impressine di trovare pareri discordi. Ma spesso non è così.

8. Colgo l’occasione per esprimere il mio compiacimento per la vostra condotta morale: nel dubbio che si trattasse di azioni che non sono gradite a Dio, vi siete astenuti.
È così che ci si deve comportare quando si dubita che un’azione sia buona o cattiva.
Non ci si può esporre a offendere Dio. Prima è necessario dissipare il dubbio.

Vi ringrazio di cuore per le preghiere promesse che contraccambio volentieri.
Vi auguro ogni bene e vi benedico.
Padre Angelo (tratto da www.amicidomenicani.it)
view post Posted: 23/10/2016, 12:15 Pillola del giorno dopo - Morale familiare e sessuale
Quesito

Padre sono una ragazza di 22 anni...qualche giorno fa ho avuto un rapporto con il mio fidanzato e al termine ci siamo accorti della rottura del preservativo...presa dalla paura ho preso una pillola detta dei 5 giorni dopo, ellaone. Non posso sapere se il concepimento c'è stato anche se secondo il mio ciclo e la mia ovulazione quel giorno non sarei stata fertile. Ma ora come ora sto malissimo all'idea di aver anche ipoteticamente ucciso qualcosa… tornassi indietro non lo rifarei. Da quando è successo non riesco a riprendermi, sono a letto da giorni a piangere e sento di aver tradito Dio, sento che non sarò mai più la stessa e mi manca la voglia di vivere... cosa darei per sapere se quel concepimento è avvenuto o meno. Sto molto male padre mi sento indegna di fare qualsiasi cosa perchè mi sento un mostro... un peccato così grande si può scontare? la mia vita è segnata per sempre? le scrivo con il proposito di confessarmi questo fine settimana ma sento che nessuna parola e nessuna rassicurazione potrà tirarmi via da questo stato. Provo anche un senso forte di rabbia nei confronti del mio ragazzo anche se mi rendo conto che non è colpa sua... ma l'ho esortato più volte a fare un periodo di castità almeno per cominciare ma purtroppo non è stato capace e chiaramente neanche io perchè le cose si fanno in due però diciamo che la spinta maggiore è sempre venuta da parte sua...grazie per la sua attenzione e buona serata....

Risposta del sacerdote

Carissima,
1. indipendentemente dal momento fertile o non fertile, la tua volontà in quel momento è stata chiara: espellere l’eventuale essere umano da te concepito.
Insomma: un movente di morte.

2. Questo fatto non può non pesare.
Pesa la consapevolezza di aver agito così nei confronti di un essere umano indifeso e innocente.

3. La rottura del preservativo.
Si può parlare di sesso sicuro fin che si vuole. Ma quegli atti rimangono atti di donazione totale e pertanto sono potenzialmente procreativi.

4. L’alterazione del disegno divino sulla sessualità, sull’amore umano e sulla persona è palesemente alterato. Aveva ragione Paolo VI a dire nell’Humanae vitae che nella contraccezione coniugale l’atto cessa di essere un atto di autentico amore.
Tanto più fuori del contesto coniugale. Giovanni Paolo II senza mezzi termini aveva parlato di “menzogna”.
Nell’atto della donazione totale i coniugi si fondono l’uno con l’altro: sono una carne sola.
La contraccezione fa violenza a questa volontà di essere fusi in una sola carne.

5. Di recente un visitatore mi descriveva la frustrazione provata in molti anni di matrimonio perché la moglie ha sempre voluto che lui facesse contraccezione, ad eccezione di due sole volte in cui lei aveva deciso di aver un bambino.
Per il resto quest’uomo non si è mai fuso con la moglie nell’intimità coniugale, pur sentendone profonda nostalgia e desiderio.
Avrebbe voluto ricorrere ai tempi di fertilità e di infertilità della moglie. Ma lei non ha voluto, ha deciso così e basta.

6. Oggi molti vogliono agire così nel matrimonio e prima del matrimonio.
Ma si negano un’esperienza tipicamente umana: la donazione totale, la fusione dell’anima e del corpo.
È la vittoria dell’egoismo.

7. Anche quanto è successo nella tua vita è stata una vittoria dell’egoismo. A questa vittoria vi stavate già educando (se così si può dire) da un pezzo, e cioè da quando avete deciso di alterare il disegno di Dio sulla sessualità, sull’amore umano e sulla persona.
I fidanzati che hanno rapporti sessuali e impurità si educano a questo, e cioè a tutto il contrario di ciò che è donazione totale in ogni ambito della propria vita.
Non ci si può stupire poi dei fallimenti matrimoniali, vale a dire delle infelicità e talvolta degli inferni vissuti insieme.

8. Adesso che sei arrivata fino in fondo, almeno nelle intenzioni, hai visto che cosa ti ha fatto diventare quello che chiamavi amore umano.
No. L’amore umano, se è autentico, non fa diventare così da vergognarsi di se stessi, da dover dire: potrò vivere senza ricordare quanto ho fatto?

9. Sono passati diversi mesi da quando mi hai scritto. Certamente ti sarai confessata. Era questo il tuo primo proposito.
Mi auguro che da quella confessione sia iniziato qualche cosa di nuovo nella tua vita.
Soprattutto mi auguro questo: che abbiate iniziato ad amare il Signore, a fidarvi di Lui, delle sue leggi e delle sue indicazioni.
Sono così chiare e piene di amore: “Camminate in tutto e per tutto per la via che il Signore, vostro Dio, vi ha prescritto, perché viviate e siate felici e rimaniate a lungo nella terra di cui avrete il possesso” (Dt 5,33).

10. Come hai letto: questa legge sulla purezza, Dio l’ha prescritta perché si possa tenere vivo l’amore, perché si possa essere felici e rimanere a lungo nella terra di cui il Signore vi dà il possesso (il matrimonio, la vita di grazia, la vita eterna).

11. L’amore per il Signore si manifesta nella fiducia nei suoi confronti, nella fiducia nelle sue leggi.
Solo il demonio può ispirare all’uomo che Dio gli sia rivale e che peccando l’uomo perda la propria felicità.
Solo il demonio può far pensare che le leggi di Dio siano superate e anacronistiche.

12. A confusione di coloro che volutamente derogano dalle leggi divine, rimangono sempre vere e per tutta l’eternità le parole che Cristo ha detto: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24,35).

13. Adesso cerca di fare in modo che dove è abbondato il peccato, sovrabbondi la grazia (Rm 5,20).
Dipende, certo, anche dal tuo ragazzo. Ma dipende essenzialmente anche da te.
Il tuo ragazzo ti potrà tentare in tutte le maniere, ma se tu non vuoi per amore del Signore, se tu non cedi perché non vuoi che il vostro amore si corrompa nell’impurità e perché vuoi che il vostro amore cresca sempre più secondo Dio, non potrà riuscirvi.

13. Dipende da te, certo.
Ma devi anche sapere che da sola non ce la puoi fare, come aveva ben inteso Salomone: “Ho poi saputo che nessuno può essere casto se Dio non glielo concede” (Sap 8,21).
Allora rimani quotidianamente in atteggiamento di accoglienza di questo dono da parte di Dio.
Il Signore te lo dona soprattutto in un momento: quando reciti il Rosario di Maria.
Durante questa preghiera, Gesù Cristo e la sua santa Madre, che è pure la nostra Madre, entrano dentro la nostra vita e senza che noi ce ne accorgiamo tengono lontani da noi e anche dal rapporto di coppia tanti nemici visibili e invisibili.
E soprattutto portano nel cuore di ciascuno di noi serenità, pace e dominio di sé.

Ti assicuro la mia preghiera perché questo avvenga. E il meglio che ti possa desidera.
Ti benedico.
Padre Angelo (www.amicidomenicani.it)
view post Posted: 23/10/2016, 12:12 Omosessualità e convivenza - Morale familiare e sessuale
Quesito

Caro Padre Angelo,
sono un ragazzo omosessuale di … anni, che cerca di conciliare le sue scelte di vita con una grande fede che Dio gli ha dato.
Non ho mai cercato di indorarmi la pillola dicendo a me stesso che l'amore è comunque amore, o cose di questo genere, io sono un grande peccatore, vivo con un uomo e nello stesso tempo prego molto e ho una vita spirituale intensa, questo mi provoca un'enorme sofferenza, come se in me convivessero due entità che non possono convivere, ma che non ho la forza, la volontà, il coraggio di cambiare.
Sono estremamente convinto che il percorso che porterebbe la mia persona ad un pò di pace, sia quello della castità, cosa che stando insieme ad un ragazzo e vivendo nella stessa casa, non è oggettivamente possibile, ma di fronte al fatto di andarmene e cambiare la mia vita, mi si erge di fronte un muro di dubbi, incertezze, dolori ed oggettivi impedimenti pratici, da una parte la carne, il demonio, mi tenta e mi fa cadere sempre più in basso, i lacci con cui mi tiene a sé sono per mia responsabilità, molto forti e difficili da spezzare, quindi rischio continuamente di cadere nella disperazione pensando che per me non ci sia salvezza, ma non riesco nemmeno a fare questo perchè Dio mi dona sempre la Grazia di pensare che Lui invece mi ama.
Ho un Padre spirituale che mi segue da molti anni, e occasionalmente mi confesso anche dai sacerdoti della mia parrocchia, tutti mi danno l'assoluzione e mi invitano a fare la comunione, nonostante sappiano perfettamente la mia condizione di vita, io però ho sempre il dubbio atroce di non poter fare la comunione perchè la mia condizione di convivenza è una scelta di vita, anche se la metto in dubbio e mi fa stare male, e quindi un'ipocrisia la mia Comunione, ho sempre paura di commettere sacrilegio e non mi sento mai sereno fino in fondo, questo tarlo mi divora anche nei rari momenti di pace dopo la Santa Confessione.
Cosa devo fare? Io mi vedo come in uno specchio, la mia iniquità la vedo tutta perfettamente e mi fa malissimo.
Mi aiuti Lei a capire, la prego, mi aiuti a uscire da questo tormento.
Grazie in anticipo per la risposta e per la pazienza nella lettura.

Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. i sacerdoti ti assolvono perché ti vedono dispiaciuto e pentito.
In questo pentimento pare anche a me di intravedere la volontà di vivere in maniera casta.

2. Ma, come constati da te stesso, la convivenza di qualunque tipo costituisce un’occasione prossima di peccato.
Nell’atto di dolore ci si propone di fuggire le occasioni prossime di peccato.
Di fatto però tu non le fuggi e hai la volontà di rimanerci dentro.

3. Certo la cosa migliore sarebbe quella di sciogliere la convivenza. Dice il Signore: “A che serve guadagnare il mondo intero se poi si perde la propria anima?” (Mc 8,36).
E daresti anche una bella e pubblica testimonianza di vita cristiana.
Mentre di fatto con la convivenza omosessuale dai ai fratelli nella fede e soprattutto ai ragazzi e ai giovani una controtestimonianza.

4. Sono convinto che gli atti sessuali fra persone dello stesso sesso non sono atti di autentico amore.
Contraddicono infatti la natura della sessualità che è intrinsecamente strutturata per incontrarsi con l’altro sesso e per una finalità obiettiva ben precisa che è quella di mettere concretamente una persona in atteggiamento di donazione e di immolazione di sé.
Di fatto contraddicono il sapientissimo disegno del Creatore e ne costituiscono una palese perversione.
Inoltre gli atti omosessuali sono atti esplosivi di libidine che devastano interiormente una persona e ne radicano la dipendenza.
Sicché il Magistero della Chiesa nella dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede Persona humana dice che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati e che, in nessun caso, possono ricevere una qualche approvazione” (n. 8).

5. In un altro documento (Homosexualitatis problema) il Magistero precisa ulteriormente: “Come accade per ogni altro disordine morale, l’attività omosessuale impedisce la propria realizzazione e felicità, perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio” (HP 7).
Come constata un autore di teologia morale “pochi omosessuali, forse nessuno, sono realmente in pace con la loro perversione, stando il fatto che la strada della gratificazione è instabile e incompleta e che il grado di gratificazione nella perversione è sempre limitato.
Il fatto della colpa inconscia si fa largamente luce in molti di questi individui” (K. Pesche, Teologia morale, p. 577).
Sottolineo la motivazione che porta: “stando il fatto che la strada della gratificazione è instabile e incompleta”.

6. La gratificazione è completa solo quando la donazione di sé è totale.
Ed è totale solo quando è aperta alla fioritura dell’amore stesso nella generazione e nell’educazione dei figli.
Proprio perché manca questa gratificazione avverti un malessere profondo che non ti lascia in pace con te stesso. Scrivi infatti: “Io mi vedo come in uno specchio, la mia iniquità la vedo tutta perfettamente e mi fa malissimo”.
Sono convinto che se per assurdo la Chiesa ti dicesse: “No, non badare a queste cose e vivi serenamente in pace la tua omosessualità” avvertiresti ugualmente la ribellione interiore della coscienza. È la ribellione della natura.

7. Il Magistero dice ancora: “Quando respinge le dottrine erronee riguardanti l’omosessualità, la Chiesa non limita ma piuttosto difende la libertà e la dignità della persona, intese in modo realistico e autentico” (HP 7).
“Difende la libertà”: tu avverti invece che la pratica omosessuale ti incatena.
Scrivi: “ma di fronte al fatto di andarmene e cambiare la mia vita, mi si erge di fronte un muro di dubbi, incertezze, dolori ed oggettivi impedimenti pratici, da una parte la carne, il demonio, mi tenta e mi fa cadere sempre più in basso, i lacci con cui mi tiene a sé sono per mia responsabilità, molto forti e difficili da spezzare”.

8. Allora proprio per difendere “la libertà e la dignità” della tua persona la strada che ti si apre è quella della castità.
La puoi percorrere facendo evolvere la convivenza omosessuale in amicizia.
Per essere amici non è necessario convivere, soprattutto se la convivenza costituisce un’insidia.

9. Il Signore, che ti sta vicino, ti ha già fatto capire che questa è la strada da percorrere: “Sono estremamente convinto che il percorso che porterebbe la mia persona ad un pò di pace sia quello della castità, cosa che stando insieme ad un ragazzo e vivendo nella stessa casa, non è oggettivamente possibile”.
È la strada che il Signore ha fatto intravedere a Sant’Agostino quando si trovava in una situazione di convivenza, con tanto di figlio.
Ecco la sua testimonianza nella quale per alcune versi ti puoi ritrovare pienamente: “Mi trattenevano miserie di miserie e vanità di vanità, mie antiche amicizie, che mi scuotevano la veste di carne e mormoravano piano: ‘E ci lasci? E da questo momento non saremo con te più mai? E da questo momento non ti sarà lecito questo e quello più mai?’. E quali cose mi suggerivano in quell’espressione: ‘questo e quello’, quali cose suggerivano, Dio mio! (…).
Ma da quella parte, dove tenevo rivolta la faccia e trepidavo di fare il passo, mi si mostrava la casta bellezza della continenza, serena e pudicamente lieta, invitandomi con tratto onesto ad andare senza dubbi, stendendo per accogliermi ed abbracciarmi le pie mani tra una folla di buoni esempi; fanciulli e fanciulle, giovani molti e gente d’ogni età, vedove austere e vergini anziane; ed era in tutti la stessa purezza non sterile, ma feconda madre di figli della gioia a Te sposo, o Signore. E mi faceva un sorriso d’incoraggiamento come per dirmi: ‘E tu non riuscirai a fare quello che hanno fatto questi e queste? Forse che questi e queste ne hanno la forza in se stessi e non piuttosto nel Signore loro Dio?’ (…). Tale era il combattimento che si svolgeva nel mio cuore: me contro me” (s. agostino, Confessioni, VIII, 11).

9. “Fanciulli e fanciulle, giovani molti e gente d’ogni età, vedove austere e vergini anziane”: ebbene non puoi esserci anche tu fra questi?
Con la forza che ti viene dalla grazia di Dio e sostenuto dall’esempio e dall’aiuto celeste di tanti che nella storia cristiana hanno compiuto atti eroici di castità per amore del Signore, anche tu puoi fare questo passo.
E potrai dire con Sant’Agostino: “Che soavità subito provai nell’esser privo di quelle vane dolcezze che prima avevo paura di perdere e ora mi era gioia lasciare!
Eri Tu che le allontanavi da me, Tu vera e somma dolcezza; le allontanavi e invece loro entravi Tu più dolce di ogni voluttà non per la carne e il sangue, Tu più luminoso d’ogni luce, ma più interiore d’ogni segreto, Tu più sublime d’ogni grandezza, non per quelli, però, che sono sublimi in se stessi.
Già il mio animo era libero dalle dolorose preoccupazioni dell’ambizione, del guadagno e dalla scabbia delle passioni, inquiete e pruriginose. Balbettavo le prime parole a Te, mia luce e ricchezza, mia salvezza, Signore Dio mio” (Ib., IX, 1).

10. Ti assicuro la mia preghiera perché tu possa compiere questo passo.
Sarà decisivo per la tua vita che sarà così riempita dalla presenza di Dio, di colui che è “la vera e somma dolcezza”, di colui che “più dolce di ogni voluttà non per la carne e il sangue”, “più luminoso d’ogni luce, ma più interiore d’ogni segreto”.
E sarà di grande testimonianza all’interno della comunità in chi vivi.

Ti auguro ogni bene e ti benedico.
Padre Angelo (www.amicidomenicani.it)
view post Posted: 23/10/2016, 10:52 Masturbazione - Morale familiare e sessuale
Quesito

caro padre,
sono un ragazzo di 15 anni, da sempre molto devoto e fedele, vado in chiesa tutte le domeniche faccio ancora il chierichetto e suono la chitarra in chiesa; da poche settimane mi sono avvicinato ad una pratica che ho sempre ignorato, la masturbazione. Quando ho iniziato a praticarla ignoravo la sua natura peccaminosa, anzi ho letto che dal punto di vista scientifico è considerata un'azione naturale e che porta vantaggi all'organismo, poi ho letto il punto di vista religioso e mi sono davvero vergognato di me stesso. Non so neanche io perché la pratico, sarà lo stress o, più semplicemente, la voglia di evadere dalla routine quotidiana; ora voglio fortemente smettere ma è molto dura (oggi avevo appena iniziato quando mi sono detto "cosa stai facendo" quindi ho smesso).
Confido nel fatto che lei mi possa dare un aiuto per smettere definitivamente con questa brutta pratica.
Cordiali saluti, ed ancora grazie

Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. la masturbazione è un peccato, come sai.
In altre parole è un male.
E in quanto tale non produce alcun bene né sotto il profilo fisiologico, né sotto quello psicologico, né sotto quello morale né sotto quello spirituale.
Ciò che è male non può mai fare del bene.

2. Mi dici che hai letto che sotto il profilo scientifico potrebbe portare vantaggi all’organismo.
Nessun dato scientifico lo dimostra. Fai attenzione a non prendere per scientifico ciò che viene spacciato per tale.

3. Chi si dà alla masturbazione si immette in una dipendenza da cui non riesce a tirarsi fuori.
In alcuni questa dipendenza è molto forte.
E allora qui sotto il profilo fisiologico (scientifico) il corpo ne può risentire.
Non si possono mettere a confronto – a parità di condizioni – i corpi di chi lascia che la natura faccia il suo corso attraverso i ritmi fisiologici e i corpi di chi la violenta. Non si può dimenticare che “masturbazione” deriva da manus stupratio: si tratta di una violenza fatta alla propria persona, prima che ancora al proprio corpo. Non è dunque una cosa naturale, come hai letto, ma una ferita.

4. Parimenti sotto il profilo psicologico la masturbazione non dà alcun giovamento, anzi causa mollezza.
È interessante sapere che gli antichi davano a questo peccato il nome di mollities, mollezza, tipica di chi è interiormente snervato.
Nella mia esperienza pastorale ho potuto notare la fortezza e la fermezza d’animo delle persone (ragazzi e giovani) che vivono nella purezza, virtù che invece ordinariamente non ci sono in chi si dà all’impurità.
Senza dire del disagio, del malessere interiore e talvolta anche dell’incattivimento e dell’intrattabilità che fanno seguito a questo peccato.

5. Sotto il profilo morale la masturbazione è sintomo di egocentrismo, anche se talvolta in alcuni ho notato eccessi di impurità ed eccessi (sporadici, a dire il vero) di altruismo.
Faccio mia l’affermazione, riportata più volte nel nostro sito, di chi diceva che la masturbazione è egoismo allo stato puro.

6. Sotto il profilo spirituale la masturbazione è ugualmente devastante: spegne il gusto delle cose di Dio, fa perdere il fervore nella preghiera e nella dedizione alle cose sante.
Molti nell’adolescenza cominciano ad allontanarsi da Dio proprio a causa di questo peccato che, diventato vizio, non fa sentire più niente.
Soprattutto fa perdere la grazia perché Dio non abita in un’anima inquinata dal peccato (Sap 1,4).
È abbastanza comune la sensazione di avvertire con questo peccato un vuoto interiore e di perdere qualcosa di grande: viene meno la presenza personale di Dio dentro di sé, come se all’improvviso una nuvola venisse ad oscurare la luce del sole e togliesse lo splendore che avvolge tutte le cose.

7. Ti esorto a tirarti fuori da questo fenomeno con molta preghiera (Rosario quotidiano), con la confessione periodica e frequente fatta dal medesimo confessore anche se non vi sono peccati gravi, con la lettura di cose sante, con la dedizione al prossimo e con un deciso impegno morale che è tutto il contrario dello snervamento tipico dell’autoerotismo.

Puoi iniziare subito e, se sei forte, quest’esperienza apparterrà soltanto al tuo passato.
Te lo auguro con tutto il cuore. E per questo ti ricorderò volentieri al Signore e ti benedico.
Padre Angelo ( tratto da www.amicidomenicani.it )
view post Posted: 9/9/2016, 08:35 VITA DEL SANTO «FOLLE PER CRISTO» PROKOPIJ DI USTJUG - Santi e testimoni
VITA DEL SANTO «FOLLE PER CRISTO» (JURODIVYJ) PROKOPU DI USTJTJG
La «follia per Cristo», in russo jurodstvo, è senza dubbio la più singolare ma anche, forse, la più impegnativa e diffìcile forma di ascesi che un cristiano possa praticare per giungere alla santificazione. Essa si basa su una profonda consapevolezza della totale nullità dell'uomo nei confronti di Dio, e di conseguenza tende ad esprimersi con atteggiamenti che manifestino in modo inequivocabile quella meschinità sostanziale che caratterizza ogni essere umano soprattutto dopo la caduta di Adamo.
L'essenza di questo arduo cammino di purificazione interiore consiste principalmente nel provocare e nelPaccettare volontariamente qualsiasi mortificazione ed offesa da parte degli altri, al fine di rendere sempre più salde l'umiltà e la dolcezza di cuore, e far nascere così l'amore anche per i propri nemici e persecutori. Si tratta dunque di una lotta durissima nella quale il «folle per Cristo», in russo jurodivyj, si trova per così dire a combattere su due fronti: da una parte contro il peccato e dall'altra contro la radice stessa del peccato, cioè l'orgoglio, che rappresenta l'ostacolo più insidioso posto sulla via della santificazione personale. In effetti, ciò che lo jurodivyj si prefigge è seguire giorno dopo giorno l'esempio di Cristo umiliato e crocefisso e vivere un'esistenza di completa rinuncia al mondo; tuttavia egli sa bene che proprio questa sua scelta di vita, che potrebbe farlo apparire agli occhi dei suoi simili come una creatura eletta da Dio, lo espone al grave rischio di eccitare la sua vanagloria, rendendo quindi inefficace ogni suo sforzo di perfezionamento spirituale.
Così lo jurodivyj «rifiuterà l'apparenza esteriore di dignità che incute rispetto, e preferirà che si veda in lui un povero essere anormale, degno di scherno e anche di trattamenti brutali. Le mortificazioni che egli si impone, le gesta di un ascetismo eroico, quasi sovrumano, tutto ciò dovrà essere privo di qualsiasi merito agli occhi della folla e non permettere altro che il disprezzo. In altre parole, è l'abdicazione a qualsiasi dignità umana, e persine a qualsiasi valore spirituale, è l'umiltà spinta ad un grado eroico, che talvolta lo sorpassa e può perfino apparire eccessiva»1. Per tale motivo ci furono jurodivyj che per una parte o addirittura per tutta la loro esistenza terrena, mantennero un comportamento stravagante e spesso in netto contrasto anche con le più elementari norme del vivere comune. Alcuni di loro, ad esempio, non si facevano scrupolo di mostrarsi in pubblico seminudi e sporchi; altri, interpretando alla lettera l'affermazione paolina secondo la quale «la stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini» (1 Cor 1,25), assumevano atteggiamenti squilibrati, quasi ai limiti della follia patologica; altri ancora (e fra di essi si contano uomini la cui fama di santità venne ufficialmente confermata dalla canonizzazione) ostentavano addirittura un contegno apparentemente immorale che li esponeva alla censura e al ludibrio dei cosiddetti «benpensanti». Ma sebbene respinto e vituperato dalla gente comune, lo jurodivyj, che anche nel nome porta inciso il marchio di una totale estraneità al mondo (ricordiamo che il termine jurod deriva da una radice slava che significa appunto «qualcosa di estraneo»), percorre gioioso il suo tribolato cammino di asceta, benedicendo chi lo maledice e pregando il Signore per quanti lo umiliano e lo maltrattano, e questo proprio perché egli è intimamente sonetto dalla certezza di «completare nella propria carne ciò che manca ai patimenti di Cristo» (cfr. Col 1,25).
Il genere di santità di cui fa parte la «follia per Cristo», non riguarda esclusivamente la spiritualità russa, anche se, come afferma Fedo-tov, «la santa follia divenne in Russia la forma più popolare, e veramente nazionale, della vita ascetica»2.
I primi santi «folli» comparvero infatti in Egitto e in Siria nell'ambito del monachesimo cristiano e ce ne danno testimonianza la Storia Lausiaca di Palladio, la Storia dei monaci d'Egitto e VAscetikon di abba Isaia, dove incontriamo diverse figure di monaci e monache che praticavano questa singolare forma di ascetismo, alcuni solo all'interno della loro comunità, altri soltanto in pubblico.
La Chiesa bizantina, dal canto suo, venera ben sei santi «folli per Cristo» (i cosiddetti sàloi), dei quali i più celebri sono san Simeone (VI secolo) e sant'Andrea (IX secolo). Le loro biografie, piuttosto lunghe e ricche di particolari, ebbero ampia diffusione anche nell'antica Russia ed esercitarono un'indubbia influenza sulle Vite degli jurodìvyj russi, che, nella maggior parte dei casi, furono scritte un secolo o due dopo la scomparsa dei loro protagonisti.
Anche la biografia di san Prokopij di Ustjug (fi 303), il primo santo «folle» della Russia cristiana, non fa eccezione a questa regola: essa venne infatti redatta almeno duecento anni dopo la morte del Santo da un anonimo agiografo che per compilarla - come lui stesso ci fa capire - attinse informazioni sia da una tradizione orale ancora presente nei luoghi dove Prokopij aveva vissuto, sia da alcuni resoconti scritti raccolti nelle cronache del tempo.
Sulle origini di questo santo «folle» sappiamo assai poco: il prologo della sua Vita dice soltanto che egli era un «ricco commerciante varjago», cioè scandinavo, giunto a Novgorod dove aveva dato inizio ad una florida attività mercantile. Soggiogato dalla magnificenza del culto ortodosso, Prokopij, che quasi certamente era pagano, dimostra subito un forte desiderio di conoscere a fondo la religione professata nel paese che lo ospita e perciò si reca alla Laura di Chutyn', dove viene istruito e quindi battezzato dal fondatore stesso di quel monastero, il santo igumeno Varlaam (macroscopico errore del biografo, dato che san Varlaam era morto cent'anni prima!).
Una volta divenuto cristiano, Prokopij non solo rinuncia ad ogni suo avere, che distribuisce ai poveri, ma rinuncia anche a se stesso e comincia a comportarsi come un povero pazzo, «giacché - dice la Vita - egli aveva immerso tutta quanta la sua mente in Dio». Comunque i suoi atteggiamenti bizzarri non gli attirano affatto le critiche e il disprezzo dei novgorodiani, che al contrario prendono a considerare quel loro strano concittadino come una creatura eletta dal Signore. A questo punto il nostro jurodivyj, temendo che la gloria degli uomini possa mettere in serio pericolo la sua umiltà - lui che aveva fatto di tutto per rendersi abietto agli occhi dei propri simili -, decide di abbandonare Novgorod e dopo aver peregrinato in vari luoghi, alla fine si stabilisce a Ustjug, un piccolo centro a nord-est della città sul Volchov.
Qui egli riprende la sua solita vita di emarginato: non ha una casa, dorme accovacciato sopra un mucchio di spazzatura o nell'atrio della cattedrale; più nudo che vestito, sopporta pazientemente i rigori dell'inverno e la calura estiva; si nutre soltanto di quel poco «che le rare persone timorate di Dio gli portano» (Vita). Dei suoi straordinari carismi il santo «folle» da subito prova predicendo agli abitanti di Ustjug che se non si pentiranno dei loro peccati, Dio li colpirà con un terribile castigo. Ma le sue sono parole al vento: nessuno infatti si dimostra disposto ad ascoltare i vaneggiamenti di un povero sciocco...
Passano così due settimane e quando la profezia dello jurodivyj sembra ormai completamente dimenticata, ecco che un giorno, all'improvviso, il cielo sopra la città si copre di nuvole minacciose, mentre un assordante fragore di tuoni fa tremare le case. Gli abitanti di Ustjug, presi dal panico, si precipitarono in massa verso la cattedrale, dove poco dopo giunge anche Prokopij. Questi si butta in ginocchio davanti all'icona della Santissima Madre di Dio e tra le lacrime comincia ad implorarla affinchè salvi la città dalla collera divina.
Nel frattempo, un rivolo di sacro crisma prende a colare dalla sacra immagine, segno che la Vergine ha esaudito le preghiere del santo «folle». A poco a poco infatti le tenebre si dissolvono e il rumore dei tuoni si allontana. Lo spaventoso uragano si scarica a una ventina di verste da Ustjug, rovesciando sopra una zona disabitata una pioggia di meteoriti infuocate, ma senza uccidere né uomini né animali. 1 danni provocati da quella singolare grandinata furono però notevoli, tanto che le loro tracce erano ancora visibili due secoli più tardi. Alcune delle meteoriti cadute durante quel cataclisma vennero conservate nella cattedrale di Vladimir.
Dopo un simile miracolo i cittadini di Ustjug si mostrarono un po' meno scostanti verso colui che li aveva preservati dalla punizione divina? Nient'affatto. Prokopij continuò ad essere rifiutato e vilipeso. Durante un inverno eccezionalmente rigido, \ojurodivyj, vinto dal freddo, osa chiedere asilo agli abitanti di alcune casupole che sorgevano nei pressi della cattedrale, ma viene cacciato a colpi di bastone. Cerca allora rifugio accanto ad un gruppo di cani accovacciati nell'angolo di una casa abbandonata, ma anch'essi lo respingono e fuggono lontano da lui. A quel punto il poveraccio, benedicendo Dio, ritorna al suo posto abituale nell'atrio della chiesa e già si prepara a morire, quando all'improvviso avverte una piacevole sensazione di calore e vede presso di sé un angelo che con un ramoscello fiorito gli sta riscaldando il corpo semiassiderato. La stessa cosa era accaduta, alcuni secoli prima, ad un altro «folle per Cristo»: sant'Andrea di Costantinopoli.
Superata, grazie all'aiuto di Dio, questa terribile prova, Prokopij ricomincia a prodigarsi per il bene dei suoi ingrati concittadini. Adesso
lo si vede vagabondare per tutta la città armato di tre attizzatoi (anche nelle icone egli viene rappresentato con in mano questi tre strumenti) che a volte tiene girati verso l'alto, a volte verso il basso. I cittadini di Ustjug non tardano a capire che con quel suo comportamento bizzarro Prokopij intende lanciare loro un preciso messaggio: portati con la punta in alto, gli attizzatoi annunciavano infatti un raccolto abbondante; con la punta in basso, un'annata cattiva. E le previsioni del santo «folle» non mancavano mai di avverarsi.
Scampato miracolosamente ai rigori dell'inverno russo, il nostroyw-rodivyj muore però durante un'insolita nevicata estiva, che stranamente non aveva procurato danni né alle piante né ai frutti. L'8 luglio 1303, ci informa con estrema precisione il suo biografo, Prokopij è trovato cadavere, «con le dita delle mani piegate nel gesto di chi si sta facendo
Il segno della croce», sotto un cumulo di neve, vicino al monastero dell'arcangelo Michele, e viene sepolto, come lui stesso aveva chiesto, sulla riva del fiume Suchona, presso una grossa pietra sulla quale era solito sedersi. Subito dopo la sua morte il santo «folle» divenne oggetto di grande venerazione da parte degli abitanti di Ustjug che gli dedicarono perfino una chiesa; il suo culto, per oltre due secoli, rimase però soltanto un culto locale, finché nel 1547 il Sinodo di Mosca lo estese a tutta quanta la Chiesa russa.
Prima di san Prokopij di Ustjug la «follia per Cristo» era sconosciuta in Russia. È vero che nel Paterik di Kiev si fa menzione del santo monaco Isaak (XI sec.) che nell'ultima parte della sua vita aveva assunto atteggiamenti dajurodivyj, ma il suo fu un caso del tutto eccezionale e che per diverso tempo non ebbe alcun seguito nel paese. In effetti solamente dal XIV secolo in poi \ojurodstvo comincerà a diffondersi in tutta la Russia come una forma speciale di ascetismo e raggiungerà il cul-mine nei secoli XV e XVI. Anche diversi stranieri venuti in Russia in quel periodo parlano, nei resoconti dei loro viaggi, di «folli per Cristo», descrivendoli come esseri seminudi o nudi, carichi di catene e coi capelli in disordine, che amavano rivolgersi alta gente con gesti bizzarri e proverbi da loro inventati. «Questi pazzi» - scrive nelle sue Memorie il barone Sigmund von Herberstein che fu a Mosca, in qualità di ambasciatore imperiale, nel 1517 e nel 1526 - «sono venerati come profeti; quando accusano qualcuno delle sue colpe, quello risponde umilmente: "Lo merito". Essi prendono nei negozi tutto ciò che vogliono e i mercanti, invece di farli pagare, li ringraziano. Quello che prendono, poi, lo donano ai poveri».
Tra i numerosi santi «folli» vissuti nei secoli XV e XVI, ricordiamo innanzitutto il beato Isidor di Rostov (f 1474)), originario della Germania, il quale «fattosi jurodivyj» - dice la sua biografia -, «abbandonò la sua patria per dirigersi verso le contrade orientali. Egli dovette subire molte ingiurie e battiture da parte degli stolti. Nudo, sopportava con pazienza il freddo dell'inverno e gli ardori del sole, mortificando la sua carne, e giunse così fino a Rostov». Taumaturgo e dotato del carisma della profezia, Isidor venne proclamato santo nel Concilio di Mosca del 1549.
Sempre a Rostov visse la sua esistenza di «folle per Cristo» un altro straniero, loann il Capelluto (Vlasatyi) (f 1580), anch'egli probabilmente di origine tedesca. Sulla sua tomba erano conservate, ancora nel 1700, due sue reliquie: una croce d'argento e un salterio «in lingua latina, assai consunto», di cui il beato si era servito fino alla morte.
Nel secolo XVI, che potremmo definire il periodo d'oro dello yurodivyj in Russia, visse a Mosca uno dei santi «folli» forse più conosciuti e amati dal popolo russo: il beato Vasilij, soprannominato Nagochodez, ossia il «Camminatore nudo» (anche nelle icone egli viene sempre raffigurato in «costume adamitico», e un Kontakion a lui dedicato lo elogia «per essersi spogliato degli abiti perituri ed aver rivestito la tunica dell'immortalità»). La sua Vita, che ha più i tratti di un panegirico che non quelli di una vera e propria biografia, lo dice nato in un sobborgo di Mosca, da genitori «poveri, onesti e timorati di Dio». Ancora bambino, Vasilij venne messo a bottega presso un calzolaio e proprio lì egli diede prova per la prima volta delle sue doti di chiaroveggente.
Un giorno entrò nel negozio un cliente e ordinò un paio di stivali robusti. A tale richiesta il giovane fece una risatina, e quando il cliente se ne fu andato, al calzolaio che gli chiedeva la ragione di quel sorriso enigmatico, rispose: «Ho sorriso, perché purtroppo quell'uomo non potrà godersi i suoi stivali robusti. Domani infatti, a quest'ora, sarà già morto». E la cosa andò proprio così.
Vasilij lasciò presto il calzolaio e cominciò a vagabondare nudo per !e vie di Mosca. Tutte le sue azioni, a prima vista sconsiderate, in realtà nascondevano un significato «molto saggio», dice la sua Vita. E in effetti quando lo yojurodivyj prendeva a sassate le case dei ricchi e abbracciava i muri di quelle in cui avvenivano «atti di pietà», lo faceva perché alle pareti delle prime vedeva abbarbicati stormi di diavoli, mentre accanto ai muri delle seconde vedeva angeli in preghiera. Amico del giovane zar Ivan il Terribile, Vasilij ricevette una volta da questo sovrano una cospicua somma di denaro, ma anziché distribuirla ai poveri della città, la consegnò ad un mercante che tutti ritenevano molto facoltoso. La ragione di questo gesto apparentemente assurdo è presto detta: quel mercante era caduto in miseria e non osando mendicare, soffriva in silenzio la fame. Un'altra volta \vjurodivji infranse un'icona della Santissima Vergine situata presso la porta di santa Varvara a Mosca e che era assai venerata. Per Vasilij cominciava già a tirare aria di linciaggio, ma lo sdegno di quanti avevano assistito al fatto si mutò subito in approvazione, quando si scoprì che sotto quell'immagine sacra era dipinta Peffige di Satana.
Benché legato da amicizia con Ivan il Terribile, il santo «folle» non si faceva tuttavia scrupolo di rimproverarlo ogniqualvolta questi lo meritava. Così un giorno, al sovrano che gli chiedeva per quale motivo non lo avesse visto in chiesa durante la celebrazione della Divina Liturgia, egli rispose in modo sibillino: «Mio signore, io ero là dove tu eri, e là dove tu non eri». «Io ero soltanto in chiesa», replicò Ivan. «No, zar, -soggiunse lo yujurodivji - tu menti. Io ti ho visto passeggiare sul Monte dei Passeri, nel luogo dove hai intenzione di costruirti un palazzo». Ivan sorrise. «È vero, disse, hai ragione. Ero proprio là».
Morto nel 1552 all'età di quasi novantanni, Vasilij venne dichiarato santo nel 1588. Sul luogo dove era stato sepolto fu eretta, nella seconda metà nel 1500, una chiesa per commemorare la vittoria che i Russi avevano riportato a Kazan sull'esercito dei Tatari. Dedicata alla «Protezione della Santissima Madre di Dio» (Pokrov), questa chiesa venne ben presto ribattezzata dal popolo col nome di «cattedrale di san Vasilij», ed è quella singolare e policroma costruzione a spirali che ancora oggi possiamo ammirare nella Piazza Rossa accanto al Cremlino.
«Dopo il XVI secolo» - ci informa I. Kologrivov - «lo Jurodstvo andrà declinando, e se pure i "pazzi nel nome di Cristo" non scompariranno mai totalmente dagli annali della spiritualità russa, le autorità ecclesiastiche, a cominciare dal XVIII secolo, non li riconosceranno più e non benediranno più questo tipo di santificazione».


Il beato Prokopij era in origine un ricco mercante varjago che era venuto nella grande città di Novgorod, dove aveva avviato un'attività commerciale molto redditizia. Sempre a Novgorod egli aveva avuto modo di ammirare la grande dignità della Chiesa orientale e siccome ben presto si era reso conto di quanto la fede ortodossa fosse superiore a qualsiasi altra religione, si mise alla ricerca di un uomo pieno di Spirito Santo che gli facesse da maestro e lo illuminasse su tale fede, che egli desiderava conoscere a fondo ed abbracciare. Ora, avendo sentito parlare del santo padre Varlaam di Chutyn' come di un uomo molto esperto e dotato di profonda sapienza spirituale, Prokopij si recò da lui e da lui venne istruito a sufficienza sui punti fondamentali della fede cristiana. Ricevuto poi il battesimo, distribuì tutte le sue ricchezze ai poveri riservandone però una parte anche per la Chiesa, dopodiché si fece mendicante e da quel momento cominciò a disprezzare non solo il mondo con i suoi allettamenti ma anche se stesso. Prese quindi a condurre la vita di un folle per Cristo e a comportarsi davanti agli uomini come un povero pazzo, poiché aveva immersa tutta quanta la sua mente in Dio.
Quelli che lo conoscevano, vedendo come viveva, cominciarono a lodarlo, dicendo: «Quest'uomo è grande dinanzi al Signore; egli infatti si è convcrtito da una fede falsa a quella vera. Possedeva molte sostanze e le ha distribuite tutte ai poveri. Ha disprezzato se stesso e ora si comporta come un folle per Cristo». Quando tali elogi vennero all'orecchio di Prokopij, questi rimase molto turbato e siccome non sopportava di essere glorificato dagli uomini, se ne andò in altre contrade dove, a causa della sua vita di folle, subì molti maltrattamenti da parte di coloro che non capivano quel suo strano comportamento.
Alla fine giunse nella città dì Ustjug4 dove prese stabile dimora. Durante il giorno vagava per la città comportandosi come un pazzo, per questo molti lo insultavano e soprattutto i monelli gli giocavano brutti tiri. La notte poi si rifugiava nella chiesa dove, fra le lacrime, pregava Dio per la città, per i suoi abitanti e per quelli che lo maltrattavano, dicendo: «Signore, non imputare loro questo peccato!» (cfr. At 7,59).

Quando voleva riposarsi dalle fatiche, si buttava a dormire sopra un mucchio di spazzatura e durante l'inverno, ricoperto soltanto di un vecchio e logoro vestito che lo lasciava seminudo, soffriva i rigori del gelo e della neve; d'estate invece pativa la vampa infuocata del sole. Mangiava soltanto quel poco di cibo che le rare persone timorate di Dio gli portavano, ma non tutti i giorni. Dai ricchi e da quanti commettevano ingiustizia non accettava mai nulla, tanto che spesso rimaneva anche parecchi giorni senza mangiare. Nel corso della sua esistenza Prokopij divenne quindi un martire per propria volontà, mortificandosi mediante l'astinenza dal cibo e dalle bevande, conducendo una vita di nudità e di esilio5 e sopportando privazioni, percosse e maltrattamenti. Quando vagabondava per le strade della città inseguito da coloro che gli lanciavano ingiurie, seminudo e con l'abito stracciato che gli pendeva giù da una spalla, dimostrava a tutti di tenere il mondo in nessun conto. Le sue spalle erano scoperte e sempre pronte a ricevere nuove battiture, perché su di lui si compisse quanto è stato scritto: «Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (Is 50,6).
Come premio per la sua vita dì reietto, in lui prese dimora la Grazia del Signore che gli concesse il dono della chiaroveggenza, cioè la facoltà di prevedere e predire il futuro. Prokopij si stabilì poi nell'atrio della cattedrale della Santissima Madre di Dio e lì pregava incessantemente per il bene della città, versando lacrime e facendo continue prosternazioni. E Dio non lasciava inascoltate le sue preghiere, che erano cosi potenti da allontanare dagli uomini la collera divina, come dimostra il fatto che stiamo per narrare.
Una volta il Signore, siccome i peccati degli abitanti di Ustjug avevano oltrepassato ogni misura, decise di distruggere la città con fulmini e con una pioggia di pietre, come già era accaduto ai tempi di Giosuè, quando Dio aveva fatto piovere dal cielo grosse pietre sugli Amorrei per annientarli (cfr. Gs 10,11). Dunque, il Signore voleva comportarsi allo stesso modo e distruggere come fossero suoi nemici tutti quei cristiani che non facevano penitenza per le loro colpe, che erano malvagi, che si rotolavano nel fango dei loro peccati e si opponevano a Gesù Cristo Suo Figlio, e che perciò suscitavano la Sua ira e la Sua vendetta. Così il Santissimo Vendicatore si preparava a mandare morte e rovina sulla città di Ustjug che Lo aveva fatto adirare.
Il beato Prokopij, avendo previsto tutto ciò, mise in guardia la città come un tempo aveva fatto il profeta Giona con la città di Ninive (cfr. Gn 3,4). Un giorno, mentre nella cattedrale si stava cantando l'Ufficio divino, il santo folle cominciò ad invitare la gente a fare penitenza, dicendo: «Fratelli, pentitevi dei vostri peccati e placate l'ira del Signore con digiuni e suppliche, altrimenti il Signore fra poco vi annienterà con una grandine di pietre!» I suoi avvertimenti però non venivano presi sul serio e la gente diceva tra sé e sé: «Quest'uomo e pazzo e non può certo parlare in maniera assennata». Terminata la Divina Liturgia, Prokopij si recò nell'atrio della cattedrale e lì cominciò a piangere e a singhiozzare. Quelli che passavano davanti alla chiesa, vedendolo così disperato gli domandavano: «Perché piangi? Quale pena hai nel cuore?» Ed egli: «Vegliate e pregate, fratelli, affinchè non vi colpisca la sventura!» Ma era come se parlasse al vento.
Tre giorni dopo, il Beato uscì dall'atrio della chiesa e cominciò a vagare per la città predicendo, fra le lacrime e i lamenti, a tutti gli abitanti che la punizione del Signore era oramai prossima. Diceva infatti; «Fate penitenza! Piangete sulle vostre colpe e supplicate Dio che allontani da voi la Sua giusta ira e non vi distrugga come già fece con Sodoma e Gomorra!» Ma quella gente, siccome aveva il cuore indurito, continuava a non prestare ascolto alle sue predizioni, anzi lo derideva come un povero pazzo. E così Prokopij era il solo che facesse penitenza e giorno e notte supplicasse il Signore per tutti.
Due settimane dopo, verso mezzogiorno, una nube enorme si addensò sopra la città e oscurò la luce del sole al punto che sembrava notte fonda. Alla vista di tale fenomeno, i cittadini non compresero e si limitarono a chiedersi a vicenda: «Cosa starà mai per accadere?» Ma ecco, dai quattro punti cardinali altre grosse nubi vennero verso la città, mentre uno spaventoso fragore di tuoni che rendeva impossibile percepire qualsiasi parola, cominciò a far tremare la terra. Allora finalmente i cittadini si resero conto che la loro rovina era imminente e che l'ira del Signore stava per abbattersi su Ustjug. E in quell'ora tremenda si ricordarono della profezia del beato Prokopij. Allora tutti quanti corsero verso le chiese e in particolare verso la cattedrale della Santissima Madre di Dio per innalzare suppliche al Signore. Giunse anche il beato Prokopij, che si buttò in ginocchio davanti all'icona della Santissima Vergine e tra le lacrime cominciò ad implorarLa di intercedere presso suo Figlio per quegli uomini che con le loro colpe si erano attirati la collera divina. Poi supplicò Dio come un tempo aveva fatto Mosè, dicendo: «Perdona, o Signore, questa gente e i suoi peccati... E se no, cancellami dal Tuo libro che hai scritto!» (Es 32,32).
Ora, mentre Prokopij e tutto quanto il popolo erano intenti a supplicare Dio e la Sua Purissima Madre, presso l'icona di Quest'ultima accadde un miracolo strepitoso. Dall'immagine della Santissima Vergine scaturì, come da una sorgente, una grande quantità di sacro crisma che cominciò a scorrere lungo la chiesa, andando a riempire tutti i vasi sacri. In quella stessa ora, il vento e le terribili nubi che minacciavano Ustjug si abbatterono con tuoni e fulmini sopra una contrada deserta lontana venti verste6 dalla città, e lì scaricarono una pioggia di grosse pietre infuocate che incendiarono e distrussero parecchi boschi. Ma né uomini né animali subirono alcun danno grazie all'intercessione della Santissima Madre di Dio e alle preghiere del beato Prokopij. Le pietre che l'ira del Signore aveva fatto piovere su quel luogo disabitato, visibili ancora oggi, rappresentano una testimonianza e insieme un terribile monito per le generazioni future, affinchè si pentano dei loro peccati. Del crisma che era scaturito dall'icona della Santissima Madre di Dio, la gente si serve tuttora per farsi il segno della croce e per purificarsi, e tutti coloro che soffrono di dolori morali o di qualsiasi malattia del corpo ne ricevono sollievo e salute fisica. Non vi dico poi la gioia degli abitanti di Ustjug per lo scampato pericolo e per il dono di quell'olio miracoloso ottenuto grazie alla benevolenza della Purissima Madre di Dio!...
Intanto il beato Prokopij continuava a condurre la sua solita vita di folle per Cristo e a nascondere agli uomini le proprie virtù. Quanto grande fosse poi la sua costanza nel sopportare ogni cattiveria e come il Signore lo rendesse forte con la Sua grazia, lo dimostrerà il seguente episodio.
Ci fu un anno in cui venne un inverno talmente rigido da far dimenticare tutti quelli precedenti. Freddo insopportabile, violente precipitazioni, nevicate cosi abbondanti che molte case furono addirittura sepolte. Gli uccelli cadevano a terra stecchiti, mentre parecchi uomini e animali perirono non solo in campagna ma anche in città. Ma chi più di ogni altro soffrì i rigori di quell'inverno eccezionale che sembrava non dovesse finire mai, furono i poveri e i mendicanti, la maggior parte dei quali morirono assiderati.
Anche Prokopij, sempre mezzo nudo, pativa sul suo corpo le sferzate di quel freddo intensissimo. Una notte, volendo riscaldarsi un po', uscì dall'atrio della chiesa e si diresse verso un gruppo di casupole che sorgevano presso la cattedrale ed erano abitate da povera gente. Alcuni abitanti, sentendolo arrivare, gli chiusero violentemente la porta in faccia, mentre altri lo presero addirittura a randellate e scacciandolo gli gridarono: «Vattene via, pazzo!» Il poveraccio cercò allora rifugio in una casa abbandonata dove, in un angolo, trovò alcuni cani accovacciati, ma appena fece per sdraiarsi accanto a loro, quelli si alzarono di scatto e fuggirono lontano da lui. Quando il Beato vide che non solo gli uomini ma perfino i cani lo aborrivano, disse tra sé e sé: «Sia benedetto il Nome del Signore, ora e per sempre». Dopodiché tornò nell'atrio della chiesa, si sedette tutto intirizzito e siccome pensava di essere oramai sul punto di esalare l'ultimo respiro, pregò il Signore di accogliere la sua anima. Ma ecco che all'improvviso si sentì invadere da una piacevole sensazione di calore; aprì gli occhi e vide accanto a sé un angelo del Signore nelle stesse sembianze in cui, tempo prima, a Costantinopoli, era apparso al santo folle Andrea Solas, anch'egli in pericolo di vita a causa di un'analoga situazione di gelo intenso.
L'angelo, che teneva in mano un ramoscello ricoperto di fiori variopinti, sfiorò con questo il volto del beato Prokopij e ne rianimò il corpo riscaldandolo col profumo di quei fiorì, come già aveva fatto in passato col beato Andrea. E così Prokopij, salvato e protetto dalla Misericordia divina, potè superare senza danno i rigori di quell'inverno. In seguito egli raccontò il fatto ad un suo caro amico di nome Simeon, diacono e uomo di grandi virtù, il quale divenne poi padre di santo Stefano di Perm. Se abbiamo qui ricordato il padre di santo Stefano di Perm, non possiamo non ricordare anche la promessa che Prokopij fece alla madre dello stesso Santo, allorché questa venne nella città di Ustjug. Ed ecco come si svolsero i fatti.
Mentre nella cattedrale di Ustjug sì stavano cantando i Vespri entrò in chiesa insieme ai genitori una bimbetta di tre anni di nome Maria. Appena il beato Prokopij la vide, le si prostrò dinanzi fino a terra, poi disse in modo che tutti potessero udire: «Ecco qui la madre del grande Stefano, il vescovo e maestro di Perm». A queste parole, i presenti mormorarono stupiti: «Ci potrà mai essere un vescovo a Perm?» A quel tempo infatti la regione di Perm non aveva ancora conosciuto la luce della vera fede; tutti i suoi abitanti erano pagani e restarono tali fino al giorno in cui giunse presso di loro santo Stefano, il quale fu appunto generato da quella bambina dopo che essa, divenuta adulta, ebbe sposato il suddetto Simeon.
Meraviglioso, dunque, era il carisma profetico del beato Prokopij, ed egli lo esprimeva non solo con le parole ma anche con i gesti. Per esempio, il santo folle teneva sempre nella mano sinistra tre attizzatoi: quando rivolgeva le loro punte verso l'alto, era segno che la terra avrebbe dato in quell'anno frutti abbondanti; quando invece le rivolgeva in basso, ebbene si poteva star certi che in quell'anno non ci sarebbe stato altro che miseria e scarsità di raccolti.
Il Beato si recava spesso sulle rive del fiume Suchona che scorre presso la città di Ustjug e là, seduto sopra un masso, a tutti quelli che riusciva ad attirare a sé rivolgeva la seguente preghiera: «Dopo la mia morte, seppellitemi qui e mettete sulla mia tomba questo masso».
Una notte, sentendosi ormai prossimo alla fine, Prokopij si recò nelle vicinanze del monastero dell'Arcangelo Michele e là, senza che nessuno se ne accorgesse, rese l'anima a Dio. Questo avvenne nell'anno 1303 e precisamente l'8 di luglio, cioè il giorno in cui si fa memoria del santo martire Prokopij suo omonimo9.
La notte in cui il santo folle morì, venne un'abbondante nevicata, due spanne di neve o forse più, che ricoprì tutta quanta la terra; ci furono anche freddo, gelo e tempesta, ma nonostante ciò le piante e i frutti non riportarono alcun danno. Poco dopo ritornò a splendere il sole, che accompagnato da un vento benefico in breve tempo sciolse tutta la neve. Quando fu l'ora del Mattutino, il clero e i sacrestani della cattedrale si meravigliarono di non vedere Prokopij al suo solito posto, dato che egli, sia di giorno che di notte, non mancava mai alla Liturgia. Lo cercarono nei dintorni della chiesa, ma non lo trovarono. Continuarono le ricerche per tre giorni di seguito, ma del Beato nessuna traccia. Finalmente, il quarto giorno, lo trovarono davanti alla chiesa dell'Arcangelo Michele alla fine del ponte, morto e con il corpo ricoperto dalla neve che la tempesta aveva accumulato in quel luogo.
Prokopij giaceva con gli occhi chiusi, il viso rivolto al cielo e le dita della mano destra piegate nel gesto di chi si sta facendo il segno della croce. Allora lo sollevarono e con grande rispetto lo trasportarono sulle spalle fino alla cattedrale, nel cui atrio il santo folle aveva per tanti anni vissuto; poi, dopo avere cantato secondo la consuetudine l'Ufficio funebre, lo seppellirono sulla riva del fiume Suchona, proprio nel luogo che egli stesso, tempo prima, aveva indicato. Sulla sua tomba posero quindi quel masso su cui tante volte egli si era seduto e sopra di esso scrissero Tanno, il mese e il giorno della sua morte,
La vita di Prokopij non venne subito narrata per iscritto, ma per lungo tempo fu tramandata soltanto oralmente. Quando, dopo parecchi anni, cominciarono ad accadere miracoli presso la sua tomba, sul luogo dove riposavano le sue sante ossa venne innalzata una chiesa e a causa delle molte guarigioni che si verificavano si decise di considerare il giorno della dipartita del Beato come giorno di festa. Finalmente, per evitare che le mirabili vicende della vita di questo servo del Signore cadessero nell'oblìo, si cominciarono a raccogliere e a mettere per iscritto i resoconti su di esse. E questo venne fatto sia per conservare la memoria del santo jurodivyj, sia per edificazione di quanti avrebbero letto e ascoltato gli avvenimenti della sua vita, sia per rendere gloria a Cristo Nostro Signore, al Quale sia onore e lode insieme al Padre e allo Spirito Santo, ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen.


I. Kologrivov, op. cit., p. 274.
Cfr. G.R Fedotov, The Russian Religious Mina, Cambridge 1966, p. 317.

5 5 L'esilio volontario è una forma di ascesi molto diffusa sia nel monachesimo orientale che in quello russo. Ed ecco quanto dice in proposito san Giovanni Climaco nella sua Scala del Paradiso (III, 1): «L'esilio volontario è l'abbandono senza ritorno di tutto ciò che nella nostra patria ci impedisce di raggiungere lo scopo della pietà. L'esilio volontario è un comportamento riservato, una saggezza che rimane sconosciuta, una prudenza che non appare all'esterno, una vita nascosta, un disegno segreto, un pensiero che non manifesta nulla, una forte inclinazione per una vita fatta di disagi e di abiezione, una base sicura per il desiderio dì Dio, un'abbondanza di amore, una rinuncia alla vanagloria, un abisso di silenzio».
view post Posted: 12/4/2016, 17:34 I frutti dello Spirito - Spiritualità cristiana
I frutti dello Spirito Santo /9



MITEZZA E PAZIENZA
SONO FRUTTI DELLO SPIRITO




INTRODUZIONE

Un cuore mite e paziente


In questo nostro mondo dove i violenti e coloro che vivono nella sopraffazione sembrano dettar legge, è quanto mai opportuno far risuonare la beatitudine di Gesù: «Beati i miti, erediteranno la terra». Una affermazione in netta contraddizione con l'esperienza quotidiana, dove chi vince, chi emerge sembra far leva solo su atteggiamenti di strapotere e di prepotenza. Ma la Parola di Dio è al di là di tutte le logiche umane e supera ogni dimensione semplicemente storica.
Il cristiano sa che è chiamato ogni giorno alla conversione, al cambiamento del cuore per entrare nella logica di Gesù. Lo sa, anche quando questo comporta un sentirsi "fuori gioco". Tutto sta nel recuperare un forte aggancio con l'essenziale per imparare a leggere la vita con gli occhi di Colui che la vita ha creato. La vera contestazione alla mentalità dominante viene proprio dalla mentalità evangelica, in base alla quale vince colui che apparentemente è un perdente, arriva colui che sembra esser stato schiacciato...
Mitezza, pazienza: parole certamente fuori posto nel mondo di oggi, ma chiave di lettura sostanziale per verificare se siamo dalla parte di Cristo o se siamo finiti tra le grinfie di un mondo che macina l'anima e l'assoggetta al materialismo opportunistico.
Vogliamo allora accettare la sfida del Signore e verificare il nostro cammino di fede. Nella nostra povertà possiamo trovare conforto e sostegno per un camminino di autentica novità implorando dallo Spirito il frutto di un cuore mite e paziente per seguire i passi di Gesù, il «mite ed umile di cuore».



LA RIFLESSIONE

«Abbiate gli stessi sentimenti di Cristo Gesù»


Il cristiano, come ci dice S. Paolo, è chiamato a guardare Cristo (cf. Filippesi 2,5). Tra questi sentimenti, sicuramente, emergono nel Vangelo la mitezza e la pazienza di Gesù. E' a questa scuola che bisogna attingere per riuscire a capire cosa significhino mitezza e pazienza quali frutti dello Spirito Santo. Infatti la mitezza sottende tutto l'operato di Gesù ed è il Suo atteggiamento di fondo con cui accoglie tutti quelli che a Lui si avvicinano.
Pur avendo tutto il diritto ad essere servito, Gesù si fece servitore di tutti. Tutta intera la sua attività non è altro che servire gli uomini, cioè occuparsi di loro. Egli si è indirizzato verso tutti con un messaggio e un invito, e non ha costretto nessuno. Dio non costringe mai e non vuole la costrizione. Dio insiste, sì, e può sconvolgere totalmente il cuore di un uomo fino al punto che quest'ultimo si sente portato ed interpellato da un amore irrompente, ma non vuole risposte forzate. Il Signore è venuto per salvare, non per punire. Egli ammonisce anche molto seriamente l'uomo libero e responsabile, ma non adopera la minaccia per infrangere la sua libertà. Si è mostrato in tutto mite e forte, mansueto e grande in ogni circostanza, anche nei momenti più delicati e difficili: è la sua una mitezza che emana da un cuore che ama come solo Dio può amare.
La mitezza di Gesù può essere paragonata a quella di un Padre saggio che conosce la vita e che, con pazienza, cerca di educare il figlio. Di fronte alle ripetute prese di posizione di quest'ultimo, agli errori e capricci, il padre con amorevole pazienza lo attende, lo riprende e lo corregge. Con il suo avvento, infatti, Cristo ha portato la nuova legge, quella definitiva, che è quella dell'Amore e non più quella del timore. Dio vuole una risposta di Amore da colui per il quale, per Amore, ha dato la sua vita. E dunque, anche il suo parlare ed agire è conforme a questo grande Amore e non può esprimersi che con mitezza.
La mitezza del Signore è sorprendente. AI suo posto forse avremmo fatto "fiamme e fuoco" pur di portare avanti ed affermare il compito affidatoci e con esso la nostra persona. In tali contesti per noi uomini è facile cadere nella tentazione di confondere l'autorità del messaggio portato con l'autorità di cui ci sentiamo investiti per il solo fatto che lo portiamo avanti, dimenticando ciò che spesso San Francesco ricordava a se stesso ed ai suoi frati, cioè che «siamo servi inutili». Ecco allora che si perde il senso della realtà e ci sembra più che giustificato un atteggiamento di imposizione, d'autorità e durezza verso chi non la pensa proprio come noi, confondendo appunto noi stessi con la Verità. Ma la mitezza quale frutto dello Spirito non è affermazione della persona, ma affermazione umile e semplice della Verità che ha in se stessa la forza per affermarsi.
Gesù vuole la libera adesione dell'uomo e per questo annuncia con mitezza il suo messaggio. Pur proponendo con decisione l'avvento del Regno di Dio nella sua persona, non lo impone e nessuno, ma richiede sempre libera adesione di fede. Tutto questo si esprime ai massimi livelli nella Passione. Secondo la logica umana ci aspetteremmo la rabbia di Dio contro l'ottusità dell'uomo, ma vediamo invece prevalere un'altra logica proposta da Cristo nell'orto del Getsemani, dove ciò che conta non è la propria volontà ma quella del Padre. Ecco allora che è proprio nella contemplazione di questi misteri della vita di Gesù che possiamo capire e vivere questo frutto dello Spirito. Scopriremo così come diventa fondamentale interrogarsi e ricercare la volontà di Dio per noi, perché solo vivendo in essa sapremo avere quella forza dello Spirito che ci permette di essere miti come lo fu Cristo. Allora sapremo discernere e dare il giusto peso e valore a ciò che riempie il nostro quotidiano evitando l'intransigenza e l'assolutizzazione di ciò che in realtà è solo relativo: «cercate il Regno di Dio, tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù». Si tratta cioè di leggere e vivere la realtà partendo da una logica diversa da quella proposta dal mondo, dove il trinomio «Io sono, io voglio, io posso» vale come regola di fondo delle relazioni umane. Alla logica dell'assolutizzazione, dell'affermazione dell'«io» a tutti i costi, Cristo, con l'esempio della sua vita, risponde con quella di un progetto dove la persona, nella sua individualità, è chiamata ad interagire con tutta l'umanità secondo il Suo esempio.
Essere persone miti significherà, allora, rispettare la libertà dell'altro in quanto coscienti che la Verità non è un esclusivo nostro possesso, ma un dono che Dio dà a chi vuole, secondo i Suoi tempi e modi. Significa quindi, di conseguenza, sapersi porre in ascolto dell'altro con animo aperto ed accogliente, per cogliere ciò che lo Spirito Santo ha realizzato e realizza nel fratello.
Infine va fatta un'ultima considerazione. La gente, come si sa, non si avvicina volentieri alle ortiche né alle spine, ma invece si accosta al fico e al grappolo d'uva. Per sé i comandamenti di Dio sono amabili ed attraenti in quanto contengono una promessa di vita e di gioia. Il Signore stesso ha proposto le Beatitudini come promesse, come assicurazioni di pace e di felicità; inoltre Lui, «mite ed umile di cuore», ha promesso un riposo a coloro che si mettono alla Sua scuola.. Tutto ciò significa che l'uomo è introdotto nel Regno di Dio con l'attrazione del bene, cioè, in fin dei conti, dall'amabilità di Dio stesso, dalla persona affabile del Signore. Tale è anche l'atteggiamento che ci deve contraddistinguere nei nostri rapporti con gli altri, nel servizio e apostolato che portiamo avanti, perché solo così saremo in grado di essere testimoni di chi per primo è stato mite ed umile e ne è la fonte. E' l'anima mite che attrae gli altri, mentre un atteggiamento duro allontana. Mitezza dunque significa disponibilità a chiunque bussa alla nostra porta perché, come cristiani, siamo certi che è dando che si riceve, ed è ciò che intende il Signore quando ci dice: «se uno ti costringe a fare un miglio, tu fanne con lui due» (Matteo 5,41).

Jhonny Libbi




LA SCHEDA BIBLICA

«Imparate da me
che sono mite ed umile di cuore»


Matteo 5, 5 - «Beati i miti, perché erediteranno la terra».

Matteo 11, 28-29 - «Venite a me, voi tutti che siete stanchi ed oppressi, ed io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi ed imparate da me, che sono mite ed umile di cuore».

Efesini 4, 1-3 - «Vi esorto dunque io, il prigioniero del Signore, a comportatevi in maniera degna della vocazione che avete ricevuta, con ogni umiltà e mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore...».

Colossesi 3, 12- «Rivestitevi dunque, come amanti di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà e di umiltà, di mansuetudine e di pazienza...».


Una prima riflessione nasce dal significato dei termini impiegati. Il termine greco che noi in italiano traduciamo con «mitezza o mansuetudine» è «praytes», che propriamente indica una dote dello spirito, una disposizione interiore di dolcezza verso il prossimo che si manifesta nel comportamento e in ogni forma di rapporti con esso: è la mancanza di ogni durezza, imposizione o violenza: è una particolare forma di umiltà, moderazione, calma interiore. Il latino «mitis» si riferisce propriamente al tatto, al sapore e in particolare al sapore caratteristico del frutto maturo. Si oppone al vocabolo «immitis» o «acerbus»: un frutto «immite» è acerbo. Pertanto alla nozione di mitezza si associa facilmente l'idea di maturità e soavità in opposizione alla crudezza e all'acredine. In senso traslato l'aggettivo «mite» si riferisce al carattere o al comportamento di una determinata persona che in questo senso è dolce, mansueta, mite, non arrogante, che non vanta diritti, non assume l'aria di chi è importante.
L'importanza della mitezza nella vita cristiana risulta chiaramente dal primo testo che noi abbiamo indicato: la beatitudine evangelica, «Beati i miti perché erediteranno la terra». Questa beatitudine deve essere letta in rapporto alla prima: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli». In ultima analisi essere poveri nello spirito significa essere umili davanti a Dio, davanti a se stessi ed agli altri. La mitezza in senso cristiano non è che un aspetto dell'umiltà davanti agli altri, perché addolcisce il tratto, l'espressione, il linguaggio, il comportamento globale nei confronti degli altri, e tenendo lontano la durezza e la violenza, rende facili, "dolci" e gradevoli i rapporti con gli altri. Questa dote può essere "caratteriale", nel senso che ci possono essere persone che per carattere manifestano tali tratti, ma evangelicamente parlando essa viene dal di dentro, dal cuore, sta nell'anima, è un frutto dello Spirito, quindi è un prolungamento dell'attività della carità che ci porta a possedere la terra. Nel concetto biblico veterotestamentario la terra era l'eredità che Dio aveva promesso al suo popolo. Nella pienezza della rivelazione di Gesù, la terra come significato acquista la valenza di un'altra terra promessa: la pienezza del regno di Dio. Potremmo quindi tradurre la beatitudine in questi termini: «beati coloro che sono ben disposti, con ogni forma di dolcezza, verso gli altri, senza acredine, aggressività, perché costoro portano il frutto dello Spirito e della carità, possederanno la terra promessa del Regno di Dio!
L'esempio a cui guardare per imparare a vivere questo prelibato frutto dello Spirito e della carità è Gesù. E' quanto ci indica il secondo testo riportato, quello di Matteo 11,28-29. Gesù è il mite per eccellenza perché è il povero in spirito per eccellenza. Egli è la carità che non si vanta, non si gonfia di orgoglio, è la carità accogliente e dolce, disarmata e inerme.
Ed è così che seguendo ed imitando Cristo, secondo S. Paolo (terzo e quarto testo indicato) il cristiano deve vivere, per realizzare la propria vocazione di cristiano, «con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza».
La pazienza è l'essere perseveranti nella dolce mitezza nonostante il fastidio o la durezza aggressiva che gli altri possono avere nei nostri confronti. Per vivere questa vocazione bisogna rivestirsi, cioè mettere abiti nuovi al nostro carattere, alla nostra umanità: e gli abiti nuovi sono umiltà, mansuetudine e pazienza!
Per vivere con piena maturità questo frutto dello Spirito occorre avere il coraggio di fare "guerra" al proprio orgoglio, al proprio io che tende sempre ad imporsi, a prevalere, a prevaricare sugli altri...

* Quale atteggiamento hai verso gli altri? Sei violento, aggressivo? Vuoi avere sempre ragione tu ad ogni costo, fino a squalificare gli altri?
* Chi sono "gli altri" per te? Persone da cui guardarti, da cui difenderti? Oppure "fratelli" da accogliere e con i quali condividere con "pazienza e mitezza" la tua vita?
* Tieni in modo particolarmente geloso alle tue idee, ai tuoi progetti fino a prevaricare sugli altri?

p. Augusto Drago



IN CAMMINO CON MARIA

Maria, povera ed umile, ricca solo di Dio


«Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite ed umile di cuore» (Matteo 11,29).
Gesù è un Maestro che non aggredisce, non è violento, non è superbo, non è impaziente. Lui conosce ed esercita l'arte dell'accoglienza, non della sopraffazione.
La mitezza non è questione di sentimento, ma è questione di fatti; è la disponibilità a farsi piccoli e a servire i fratelli. Per questo Gesù si è detto mite e umile di cuore.
La mitezza è sorella gemella dell'umiltà. Gesù non impone niente a nessuno, il suo annuncio è un dono, il suo amore è gratuito.
Gesù, il Maestro mite, appare però come un uomo sopraffatto, un vinto, addirittura un giustiziato: Che cosa, allora si guadagna ad essere miti? «I miti erediteranno la terra» (Matteo 5,5). Veramente, se si guarda all'epoca in cui viviamo, dobbiamo dire che stiamo facendo un discorso... fuori stagione. Ma pensiamo un po' a cosa potrebbe succedere nel mondo se noi fossimo una presenza di mitezza. Intraprendiamo, a tale scopo, un viaggio alla ricerca di uomini miti. Un esempio di grande e disarmata mitezza lo incontriamo in P. Massimiliano Kolbe. Sì, proprio lui, l'eroe di Auschwitz, il martire dell'amore appassionato all'uomo. Si mette accanto a noi per ricordarci che «solo l'amore crea, l'odio distrugge, non è forza creativa». Con la sua vita «offerta per», San Massimiliano smentisce il detto popolare: «Chi pecora si fa, il lupo se lo mangia!». Egli non è stato risucchiato dalla storia. Nel campo di concentramento egli diventa la matricola 16670, cioè niente tra migliaia di altri niente... Sembrava uno sconfitto, una persona annullata, schiacciata da un potere che appariva invincibile; il risultato è che egli è stato uno dei pochi vincitori, uno dei pochi che hanno sconfitto il muro della disperazione, del non senso. In quel luogo violento ha acceso la speranza.
Il Padre Kolbe ci dice che i miti sono i soli che comprendono il vero senso della storia. Chi ha dato al Padre Kolbe, «il mite francescano», la forza di andare contro corrente e diventare così una presenza profetica? Lei, l'immacolata, la donna del Magnificat, «l'inno più forte e innovatore che sia mai stato pronunciato» (Paolo VI). Maria rivela il volto di misericordia e di tenerezza, di mitezza e di gratuità di Dio che si china sui miseri e opera il rovesciamento delle situazioni: il superbo sarà abbassato, l'umile sarà innalzato.
Maria trova il punto chiave per aprire un'era nuova al mondo, fidandosi dello Spirito di Dio. «Come può avvenire questo?... Lo Spirito Santo scenderà su di te» (Luca 1,34). «Eccomi, sono la serva del Signore» (Luca 1,38).
La mitezza è un bene che viene dal cielo, non è una pianta che spunta sulla nostra terra. E' dono dello Spirito di Dio. Abbiamo bisogno dello Spirito di Dio per capire che essere miti non significa essere degli "addormentati", ma protagonisti della storia, della storia della salvezza. Non dobbiamo aver paura di apparire dei vinti; saremo dei vincitori!
Tutti, in un modo o nell'altro, ci diamo da fare per farci notare. Se potessimo guardarci in uno specchio, vedremmo lo spettacolo di una folla immensa di gente che si leva sulla punta dei piedi, cercando di innalzarsi l'uno al di sopra dell'altro e gridando: «Ci sono anch'io nel mondo!».
«Se uno pensa di essere qualcosa, mentre è nulla, inganna se stesso» (Galati 6,33). Non così tu, Maria. Tu che agisci sotto l'influsso dello Spirito, diventi il luogo della manifestazione della potenza creatrice di Dio.
Tu ci insegni che il dono dello Spirito si riceve facendone l'esperienza. E canti che Dio è quel Signore che non si compiace di innalzare ciò che è umile e di abbassare ciò che pretende di stare in alto: tu hai sperimentato in te stessa che Dio opera grandi cose, per quanto umili poveri e sconosciuti si possa essere. «Beati i miti», proclama Gesù; Maria crede e Dio opera in lei con potenza.
L'agire creativo dello Spirito Santo si avvera nell'uomo che prima ha creduto in Dio, nella sua Parola e nella sua potenza. «Beati i miti, perché erediteranno la terra».
Angela Esposito




CON FRANCESCO, «UOMO NUOVO»

La mitezza e la pazienza
del Poverello di Assisi


« Quando i frati vanno per il mondo non litighino, ed evitino le dispute di parole, né giudichino gli altri, ma siano miti, pacifici e modesti, mansueti ed umili, parlando onestamente come si conviene» (Fonti francescane, 85).
Francesco è innamorato della mitezza di Gesù che emana da tutto il Vangelo. Nel mistero di Betlemme ammira il «mite fanciullo» totalmente indifeso, fatto per noi debolezza, fragilità... Nel mistero di Nazareth lo vede lavorare con le proprie mani, ubbidiente e sottomesso a Giuseppe e a Maria. Egli è tra noi nel silenzio di una vita in tutto simile alla nostra. La gloria, il vanto, la grandezza dell'Onnipotente Dio hanno cambiato segno e si sono trasformate in nascondimento, piccolezza, mitezza.
Nel mistero della vita pubblica lo ammira talmente mite da dipendere dagli altri anche per il sostentamento per la sua vita. La sua parola così autorevole, così forte non è mai costrizione, ma invito; non vuole risposte forzate, ma adesione piena d'amore.
Gesù si è mostrato in tutto mite e forte, mansueto e grande; fu tale quando rispose alla guardia che gli diede uno schiaffo: «Se ho parlato male, dimostrami dove è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?» (Giovanni 18,23); e lo fu anche quando pregò: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno » (Luca 23,34).
Dal Signore Francesco ha appreso la forza della mitezza e dallo Spirito operante in lui l'ha avuta in dono. Ai frati pellegrini per il mondo raccomanda come un modo di essere apostolico tra i fedeli e gli infedeli l'atteggiamento mite che conquista tutti. La mitezza dei frati disarma i ladri di Montecasale e li tramuta in frati minori; così come disarma il «soldan superbo», il Sultano di Damietta. Disarmare l'aggressività con la mitezza è la grande lezione di San Francesco.

Anche noi oggi abbiamo bisogno di questa singolare riserva di bontà per disarmare l'aggressività che ci stringe da ogni parte. E Francesco è lì come testimone dell'efficacia della mitezza per frenare la protervia del male.
Eppure com'è difficile credere alla forza della mitezza! Siamo così abituati alla forza e alla ragione di chi è aggressivo che ci sembra perfino strano e innaturale essere miti, mentre è il contrario.
Nei rapporti con le persone la mitezza si veste di pazienza. Non quella che si apprende con tecniche umane, con gli esercizi di rilassamento. Queste sono cose buone, ma la pazienza dono dello Spirito è altra cosa.
Dove ha appreso Francesco la virtù della pazienza? Ha contemplato il «Buon Pastore che per salvare le sue pecorelle sopportò la Passione e la Croce» (FF 155).
Ha conosciuto il Dio paziente fissando lo sguardo sul libro della croce ed ha capito che la cosa più importante era affidarsi a Dio, entrare nella sua logica, accogliere i suoi tempi, lasciarsi fare dal Signore... La Bibbia non è forse la storia della pazienza di Dio con l'uomo?
La pazienza di Dio forma i suoi amici, li "sperimenta", li prova per purificare ogni traccia di peccato.
Ed eccoci allora alla grande pazienza di S. Francesco nelle tribolazioni e nelle pene dell'anima e del corpo. «Le pecore del Signore lo seguirono nella tribolazione e nella persecuzione e nell'ignominia e nella fame e nella sete, n ella infermità e n ella tentazione e in altre simili cose» (FF 155).
I primi frati, «completamente crocifissi al mondo, ... amavano talmente la pazienza che preferivano stare dove c'era da soffrire persecuzione che dove, essendo nota la loro santità, potevano godere i favori del mondo» (FF 390).
E poi ancora la pazienza verso il fratello. La lezione di Francesco anche in questo è veramente magnifica e così somigliante a quella di Gesù da lasciare stupiti.
«Beato il servo che sopporta così pazientemente da unì altro la correzione, le accuse e i rimproveri come se li facesse da sé. Beato il servo che, rimproverato, benignamente tace, rispettosamente si sottomette, umilmente confessa e volentieri ripara. Beato il servo che non è pronto a scusarsi e umilmente sostiene la vergogna e la riprensione per unì peccato, mentre non ha commesso colpa» (FF 172).
Essere povero e minore con gli altri obbliga inevitabilmente alla pazienza, cioè a non appropriarsi del fratello, ma di riceverlo, con tutte le sue molestie, come dono di grazia del Signore, restandogli fedele nella fedeltà e misericordia di Dio. Donaci, Signore, la pazienza di Francesco e di Chiara. Donaci un cuore mite che non conosca i fremiti dell'orgoglio e dell'ira.
p. Giancarlo Corsini




ALLA RICERCA DI CONCRETEZZA

Con pazienza, alla conquista... di noi stessi


L'agitazione che caratterizza la nostra vita quotidiana sta ad indicare la mancanza di libertà del cuore, il disorientamento nel campo dei valori e la carenza di un punto forte di riferimento che sia capace di condizionare le nostre reazioni in modo positivo. Gesù ci chiede di andare a scuola da Lui per imparare mitezza ed umiltà di cuore. L'umiltà ci rimette al posto giusto, ridonandoci la certezza di essere creature, amate e pensate da un Creatore che è Provvidenza. La mitezza ridona ai nostri atteggiamenti quella serenità che nasce dal sapere che ben poco dipende da noi perché tutto è nelle mani di Dio. Possiamo definire la mitezza come quella docilità che nasce dalla gioia del «lasciarsi fare» da Qualcuno che conosce bene cosa giova alla nostra vita. Se credessimo davvero che il Signore segue i nostri passi, crea condizioni giuste perché noi incarniamo la Sua volontà e sperimentiamo la pace, tutto cambierebbe, incominciando dalle reazioni profonde e dagli atteggiamenti con cui ci relazioniamo al reale. Il mite è un uomo paziente, un uomo che sperimenta la fedeltà di Dio e sceglie di vivere secondo i Suoi «tempi», che, come ben sappiamo non sono i tempi dell'uomo. Dio vede molto più lontano delle sue creature e conosce molto bene che cosa giova alla loro salvezza; non così l'uomo, che crede di poter condizionare il proprio tempo per edificare una pace a sua misura e finisce, in questo modo, per creare agitazione e disagio attorno a sé.
La mitezza è un dono dello Spirito. Solo lo Spirito può infatti farci percepire la certezza che nasce dal sentirsi tenuti per mano o «portati in braccio» dal Dio che è Amore. Anche la pazienza è un dono dello Spirito, perché è lo Spirito che ci rivela i segreti disegni di Dio e ci aiuta ad adeguarci ad un cammino che non conosce soste ma che non accetta i nostri ritmi.
Il mite ed il paziente è costruttore di una storia di novità: in un mondo agitato e convulso, l'uomo mite mette in crisi i meccanismi semplicemente umani della storia ed accetta di farsi strumento docile tra le mani di Dio, incarnando i Suoi modi di vedere e di fare, i Suoi giudizi e la Sua misericordia. Il violento vuole condizionare la storia, adeguarla ai propri schemi, strumentalizzando persone e cose a questi schemi. Questo non aiuta l'uomo a camminare ed a crescere in libertà. Solo la mitezza riporta l'uomo nel suo alveo naturale e, come creatura, lo edifica per un progetto più ampio e soddisfacente: «Beati i miti perché erediteranno la terra» (Matteo 5,5).

A. Giovanissimi

Il mondo in cui il ragazzo è chiamato a vivere è troppo spesso condizionato da sopraffazioni e da arrivismi. I più forti sembrano sempre vincere, mentre i deboli, i piccoli ed i fragili soccombono, vittime di una mentalità che vede l'uomo come semplice pedina di un gioco crudele. Il ragazzo che vuole crescere nella libertà dei figli di Dio è chiamato a riscoprire dentro di sé la ricchezza e la forza che gli è donata dallo Spirito ed a mettere in moto tutti quei doni che ha ricevuto nel Battesimo e nella Cresima per costruire un mondo nuovo. Accettare di essere dei perdenti di fronte al mondo significa aver compreso che il metro di giudizio ed il criterio dei valori che debbono caratterizzare la vita non possono essere presi dalla piazza, ma debbono essere mutuati da quello che Dio pensa e vuole per la nostra vita.

* Quali sono le mie reazioni davanti ai comportamenti di chi vuole primeggiare ad ogni costo?
* Chi mi incontra può riconoscere in me una persona che sta camminando in base ad una sicurezza che viene dall'aver incontrato il Signore?
* I miei amici, le persone che frequento, il gruppo in cui vivo e cresco, incarnano l'ideale evangelico della mitezza, oppure vivono nell'agitazione e nella lotta per primeggiare?
* Credo davvero che l'arma vincente per la mia vita può essere la pazienza di aspettare per conoscere la volontà del Signore su di me e sul mio mondo?

B. Giovani

Il giovane mite rischia tanto sul piano sociale perché oggi è a galla chi sa farsi valere, chi sa farsi vedere minaccioso e pronto a difendere il proprio territorio... Eppure il giovane mite e riconciliato con la vita promana un fascino unico e finisce per essere il vero portatore di speranza. Al giovane si offrono tanti ideali umani, si presentano personaggi che hanno saputo farsi valere e sono, sul piano semplicemente umano, dei "duri Gesù, invece, non ha nulla di accattivante in questa direzione, perché è remissivo, silenzioso, restio a giudicare, non accetta la sfida di chi lo condanna ingiustamente... Il giovane deve scegliere davanti a questa alternativa: non sarà sempre facile, perché la scelta di Cristo comporta eroismo nel quotidiano, ma la risposta concreta che la mitezza e la pazienza portano è una grande pace, sconosciuta ai più, facilmente riconoscibile come frutto dello Spirito Santo. Chi saprà schierarsi dalla parte del Signore raccoglierà la vita vera!

* Posso dire che la mia vita poggia sull'esempio di Gesù, oppure debbo ammettere di essere anch'io condizionato dall'atteggiamento della strada?
* In quali momenti concreti della mia giornata sento che è più urgente cambiare la mia mentalità per sperimentare la novità e la libertà che Gesù promette ai miti?
* Sono più affascinato dagli uomini di successo di questo mondo o dai seguaci di Cristo che, apparentemente, sono dei perdenti (ad esempio
S. Francesco e San Massimiliano Kolbe)?

C. Giovani coppie

Nel cammino quotidiano di una giovane coppia è facile sperimentare la tentazione di far valere le proprie ragioni, di voler affermare i propri diritti, di far sì che le cose vadano in base ad un nostro progetto... Il Signore ci richiama alla mitezza ed alla accoglienza reciproca, ricordandoci che il progetto che siamo chiamati a realizzare non è nostro, ma suo! La serenità che il Signore dona al cuore mite passa per una apparente sconfitta: solo quando si rinuncia ad affermare un proprio punto di vista si vede sorgere una "novità" che non avremmo mai immaginato. E' il Regno di Dio che si incarna tra noi quando accettiamo di far morire i nostri piccoli regni personalistici.

* Davanti ai piccoli o grandi inconvenienti della nostra vita di coppia ci agitiamo e finiamo per chiuderci in noi stessi, oppure, con santa pazienza e con tanta calma, rimettiamo in mano al Signore i nostri passi perché venga il Suo regno?
* Nel programmare il nostro cammino e nel fare le nostre scelte abbiamo come criterio i "tempi" di Dio oppure abbiamo fretta di arrivare?
* «Cosa ne pensa il Signore?»: sappiamo porci spesso questa domanda?
* Viviamo in un abbandono fiducioso tra le mani della divina Provvidenza, oppure siamo agitati dai problemi concreti relativi al nostro quotidiano?

D. Catechisti

Educare alla mitezza vuoI dire mostrare il volto di un Dio-Padre, facendosi vedere a nostra volta gioiosi e fiduciosi. Educare alla pazienza vuol dire aiutare i nostri ragazzi a scoprire ed a ricordare ogni giorno che il mondo lo ha fatto il Signore ed è ancora Lui a portarlo avanti... Solo una educazione globale, che contempli una fede strettamente legata alla vita, aiuta il ragazzo ad affrontare con cuore libero le situazioni in cui è chiamato a barcamenarsi. Il catechista deve aver toccato con mano la bontà e la Provvidenza di Dio per poterla testimoniare concretamente davanti ai suoi ragazzi.

* Educo i miei ragazzi alla preghiera fiduciosa, cosi che entrino nella logica che su Dio si può contare sempre?
* Metto in guardia i miei ragazzi dalla violenza che circola per le nostre strade, non solo dalla violenza fisica, ma da quella psicologica che vuole fare di loro degli asserviti al potere degli uomini e delle pedine in una logica consumistica e qualunquistica?
* Come posso aiutare i miei ragazzi alla libertà ed alla serenità di fronte alle situazioni difficili che spesso vivono in famiglia, a scuola, in piazza?
p. Silvano Castelli




PER LA PREGHIERA

«Tu sei pazienza, Signore, Tu sei bellezza...»


La mitezza o mansuetudine evangelica, frutto dello Spirito Santo, ma anche conquista dell'uomo, rende il cristiano coerente con l'ideale di vita scelto, l'ideale di vita di Gesù Cristo, il Mite e l 'Umile per eccellenza. - «Beati i miti, perché erediteranno la terra» (Matteo, 5,5), la mitezza è un atteggiamento che nasce dal cuore. Se fosse solo una qualità di superficie sarebbe spesso sovrapponibile alla acquiescenza, alla viltà, alla paura, al non prender posizione... Troppe volte la persona mite si identifica con un soggetto senza spina dorsale, pronto a cedere, a non opporsi mai, accondiscendente a tutto.
In realtà la mitezza, come frutto dello Spirito, è una una mitezza cosciente, spazia dalla arrendevolezza completa, quando è il caso, alla resistenza all'opposizione, richiedendo spesso una forte volontà. Possiamo quindi dire che la mitezza evangelica appare come una dote dello Spirito, come una disposizione interiore verso il prossimo, che si manifesta nel comportamento, in ogni forma di rapporti nei riguardi di esso. La mitezza evangelica dispone il figlio di Dio a non ricorrere alla forza per ottenere il bene della libera volontà del prossimo.

Canto di inizio

Signore Gesù Cristo, che sei e ti dichiarasti
l'unico, necessario Maestro,
ecco, noi amiamo professarci
attenti discepoli alla tua scuola di vita.
Come Maria di Lazzaro,
ogni giorno, seduti ai tuoi piedi, ti ascoltiamo.

Viatico la tua parola: luce, sapienza, sale e sapore.
Alla tua scuola impariamo a vivere la tua vita.
Tu, solo, sei amore:
tu, solo, fai scuola.
Donaci l'amore e saremo veri discepoli. Per il tuo sangue che del mondo il peccato deterge. Amen!

In ascolto della Parola - Matteo 11, 25-30
Alla scuola di Gesù per imparare da Lui la regola di vita. Mentre i saggi e gli scribi reclutano i tipi più intelligenti, da cui avrebbero potuto trarre delle soddisfazioni, Gesù riunisce gli umili e i poveri, anzi, egli stesso si fa umile e povero. La mitezza è la forza capace di confondere la sapienza e la logica di questo mondo.

Breve pausa di silenzio
Canto o canone meditativo

In ascolto della Parola - Filippesi 2,1-11
In chi è «mite ed umile di cuore» non c 'è spazio per la rivalità o la vanagloria: tutti considera superiori a se stesso. Non c'è la ricerca dei proprio vantaggio ma di quello degli altri.
Occorre avere gli stessi sentimenti di Gesù, e questo porta a limitare le proprie esigenze in favore delle esigenze altrui.

In risposta alla Parola. Salmo 24
Breve pausa di silenzio

Dalle Fonti Francescane 464-465
La ferma volontà di Francesco, conformarsi in tutto all'unico Maestro, Cristo Gesù, lo rende docile e mite nei rapporti con i fratelli. Alla scuola di Gesù, sull'esempio di Francesco> ognuno di noi è invitato a rendere testimonianza alla Parola di Salvezza con docilità e determinazione.

Breve pausa di silenzio
Canto o canone meditativo
Silenzio di adorazione
Preghiere spontanee
Canto del Padre nostro

Preghiera conclusiva
Tu sei santo, Signore Iddio, che fai cose stupende. Tu sei forte. Tu sei grande. Tu sei l'Altissimo. Tu sei il re onnipotente. Tu sei il Padre santo, re del cielo e della terra.
Tu sei trino e uno, Signore Iddio degli dei.
Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene, Signore Iddio, vivo e vero.
Tu sei amore, carità. Tu sei sapienza. Tu sei umiltà.
Tu sei pazienza, Tu sei bellezza. Tu sei sicurezza. Tu sei pace.
Tu sei gaudio e letizia. Tu sei la nostra speranza.
Tu sei giustizia, Tu sei temperanza.
Tu sei in sovrabbondanza ogni nostra ricchezza.
Tu sei bellezza. Tu sei mitezza.
Tu sei il protettore. Tu sei il custode e il difensore nostro. Tu sei fortezza. Tu sei refrigerio. Tu sei la nostra speranza. Tu sei la nostra fede. Tu sei la nostra carità.
Tu sei tutta la nostra dolcezza.
Tu sei la nostra vita eterna, grande a ammirabile Signore,
Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.
(Lodi a Dio Altissimo, S. Francesco - Fonti Francescane, 261)

Canto conclusivo
p. Albino Tanucci

I frutti dello Spirito Santo /10



IL DOMINIO DI SÉ
È FRUTTO DELLO SPIRITO




INTRODUZIONE

Il segno della maturità

Ci sono dei segni molto concreti e molto visibili che manifestano la maturità cristiana ed umana di una persona: uno di questi è il «dominio di sé». La persona padrona di sé è affascinante, comunica sicurezza, manifesta ricchezza interiore, è strumento di riconciliazione e di pace. Dio ci vuole così: padroni dei nostri istinti, signori sulle nostre reazioni, capaci di riflessione e di azione, pronti a partire ogni istante per nuovi orizzonti sicuri della Provvidenza e dell'Amore del Padre.
Il dominio di sé è un preziosissimo dono dello Spirito Santo, un dono da invocare e davanti al quale rendersi disponibili. Sarà padrone della propria vita solo colui che è disponibile ad una dinamica diversa del reale e sarà aperto ad accogliere un progetto di novità che potrà mandare a monte i piccoli progetti personali. Chi giunge a questo livello potrà dirsi davvero padrone del mondo perché nessuno e nulla potrà mai più rubare la pace dal proprio cuore.
Dominio di sé è anche conoscenza sempre più profonda dei propri mezzi e dei propri limiti, in libertà e serenità, convinti che tutto è ricchezza nelle mani di Dio e sotto l'azione del Suo Spirito. Lasciamoci condurre in una riflessione che potrebbe rivelarsi preziosa per la nostra maturità umana e cristiana.


LA RIFLESSIONE

Dominio di sé,
frutto dello Spirito Santo


Nella padronanza di sé il cristiano dimostra rispetto verso se stesso e verso gli altri. Il dominio di sé significa, infatti, completa verità di noi stessi, della nostra realtà personale. Esso implica la conoscenza di sé in quanto si può gestire solo ciò che si è coscienti di possedere e si possiede realmente, ma significa, soprattutto, avere la capacità di orientare se stessi, le proprie capacità ed i propri limiti secondo la direzione che si reputa giusta, secondo una scelta di vita e una propria progettualità. Una progettualità che acquista una direzione precisa per chi si è posto in maniera seria alla scuola di Cristo e per mezzo della Sua grazia ha deciso di rispondere alla chiamata e divenire «uomo nuovo». Una risposta generata dalla libertà responsabile di un uomo che si mette alla sequela di Cristo e si lascia ispirare e guidare dal Suo Spirito.
Il dominio di sé è frutto dello Spirito perché il Signore chiede sempre una risposta totale, libera e dunque cosciente. Vuole che diamo tutto noi stessi a Colui che per primo ha dato tutto Se stesso a noi. Ma per dare qualche cosa a qualcuno bisogna prima possederla. Dominio dunque non inteso in senso di auto- costrizione, ma come vita coscientemente e responsabilmente vissuta. È frutto dello Spirito perché questo cammino - perché di cammino si tratta - avviene all'interno di un rapporto preciso.
Èsolo nel confronto con il Tu di Cristo che io posso vedere chiaramente la Verità del mio io. E' alla luce del Suo volto che imparerò a riconoscere i miei lineamenti. Tendere al dominio di sé conduce la persona ad uscire dalla propria insicurezza che gli deriva dal percepirsi tramite la "nebulosa" delle sue sensazioni, per fondare tale sicurezza nella certezza della sua realtà personale. L'uomo è un essere fatto per la luce e solo nella luce si muove sicuro ed a suo agio. Al buio sbanda e rimane disorientato, goffo nei movimenti. Per questo deve fare luce in tutta la propria realtà personale perché solo così non avrà paura di camminare con essa.
Dominio di sé significa allora un lavoro di conoscenza su se stessi, ma soprattutto capacità di accogliere tale realtà personale accettandone positivamente l'esistenza. Accettazione ha un significato opposto a rassegnazione. Accettarsi significa amarsi, anche nei propri limiti, perché, come diceva San Massimiliano Kolbe, «solo l'amore crea», e, possiamo aggiungere, «trasforma». Un amore uguale a quello di Gesù che sa sempre distinguere la persona dal suo peccato (cf: l'incontro con l'adultera). Amore che ci permette di riconoscere che tipo di terreno siamo noi e dal quale dobbiamo partire per costruire l'edificio della nostra comunione con Dio.
Da questo rapporto con noi stessi scaturisce il rapporto con gli altri. Infatti l'uomo agisce in un determinato modo e giudica gli altri e la realtà in base a come egli giudica se stesso. In definitiva si è con gli altri ciò che si è con se stessi, Non si può amare l'altro, né rispettarlo, se prima non si vive ciò nei propri confronti. Non si parla qui di un vissuto occasionale, autoimposto che poi è, in definitiva, fine a se stesso, bensì di un atteggiamento vitale, abituale, connaturale alla persona.
Sono tutti atteggiamenti che l'individuo riesce a riproporre nel rapporto con l'altro, proprio perché li sperimenta con se stesso. Non ha paura di darsi, perché sa che si possiede, e conosce troppo bene se stesso e quindi la realtà umana per non essere misericordioso con l'altro perché non è un essere perfetto, ma lo riconosce persona in cammino poiché egli stesso è in cammino. È proprio perché ha scoperto se stesso guardandosi, vivendo ciò che è, scoprendo la gratuità del suo essere, che riesce ad essere paziente con l'altro, rispettoso per le sue cose e della sua dignità. Sa, cioè, vedere «l'uomo» all'interno di ogni uomo, al di là della sua storia, del colore, dell'ideologia o altro e saprà, perciò, amarlo di vero amore in quanto immagine e somiglianza di Dio.
Essendo la risultante di un processo di integrazione di tutta la propria realtà (umana/spirituale) intorno ad un progetto di vita ritenuto valido e concreto, il dominio di sé comporta, di conseguenza, l'essere in grado di impostare non solo i rapporti interpersonali, ma tutta la vita in maniera attiva, non subendola ed adattandosi alla stessa, ma interagendo in maniera critica alle sue forme e contenuti. Infatti, forte della propria dignità personale costruita intorno a valori scelti come fondanti ed indirizzanti, frutto, come abbiamo visto, dell'incontro con Cristo e con il suo messaggio, la persona è in grado di porsi di fronte alla realtà con quel distacco necessario per riuscire a valutare le cose nella loro concretezza. Essendo un essere definito, sa porsi in maniera costruttiva proponendo nel contesto in cui vive forme e contenuto diversi da quelli pre-definiti socialmente.
Frutto della capacità di ascoltare, leggere ed interpretare se stessi alla luce di Dio, l'uomo impara a vivere tutta la sua vita in questa dimensione. Comincerà allora a saper leggere, ascoltare ed interpretare gli avvenimenti della sua vita, della sua comunità, della Chiesa e del mondo secondo il punto di vista di Dio, secondo i veri interessi del Regno. Saprà, cioè, essere «profeta» per il suo tempo e per il suo ambiente.

Jhonny Libbi




LA SCHEDA BIBLICA


Forti nello Spirito,
persone nuove nel mondo


2 Pietro 1, 5-7: «Mettete ogni impegno per aggiungere alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza, alla conoscenza la temperanza, alla temperanza la pazienza, alla pazienza la pietà, alla pietà l'amore fraterno, all'amore fraterno la carità. Se queste cose si trovano in abbondanza in voi, non vi lasceranno oziosi né senza frutto per la conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo».

1 Pietro 2, 11: «Carissimi, vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai desideri della carne che fanno guerra all'anima. »

1 Cor 9, 25: «... ogni atleta è temperante in tutto. Essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza meta, faccio il pugilato ma non come chi batte l'aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché ti on succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato»

Atti 24,24-25: «Dopo alcuni giorni il (proconsole) Felice arrivò in compagnia della moglie Drusilla che era giudea. Fatto chiamare Paolo lo ascoltava intorno alla fede in Cristo Gesù. Ma quando egli si mise a parlare di giustizia, di continenza e del giudizio futuro, Felice si spaventò e disse: "Per il momento puoi andare"»


Nell'elenco della lettera ai Galati (5, 22-23) dove troviamo elencati i frutti dello Spirito, troviamo all'ultimo posto la enkràteia che noi traduciamo con "dominio di se". Il termine nella sua verità di significato comprende varie realtà tutte riducibili ad una padronanza di sè circa il proprio comportamento, i propri sentimenti e soprattutto circa le proprie passioni con particolare riferimento alla sfera sessuale. Tale padronanza di sè così riccamente espressa, nella vita de! cristiano, tuttavia non è frutto di un atteggiamento stoico o di uno sforzo solo della propria volontà che reprime i moti negativi del cuore, della mente o delle varie concupiscenze. È frutto dello Spirito Santo e della carità e dell'amore che lui suscita nei nostri cuori. Per cui il dominio di sè è intimamente congiunto all'amore. Chi ama infatti domina i propri istinti e le proprie concupiscenze perché l'amore stesso diventa forza ordinatrice di ogni tendenza ordinativa. Il dominio di sè fa sì che il cristiano sia capace di governare tutti i settori della cupidigia, tutte le concupiscenze anche e soprattutto nell'ordine sessuale, da essere non solo gradito a Dio in tutto, ma anche pronto a rispettare gli altri nella loro dignità di uomini e di figli di Dio.
I testi che abbiamo riportato sopra devono essere letti in questa prospettiva. C'è un impegno sempre costante ad accrescere nella nostra vita la fede ed ogni genere di virtù (cf. primo testo). Tale impegno suppone una volontà forte, decisa e determinata, esige un "voglio" detto con sincerità e purezza interiore. A questo voglio lo Spirito Santo aggiunge la sua forza e nasce così il perfetto dominio di sé.
Il dominio di sè comporta anche una volontà capace di esercitare una forza, aiutata dallo Spirito, contro i desideri della carne e le sue concupiscenze (secondo testo). Il dominio di sé ci fa assomigliare ad un atleta che per vincere una gara si deve sottoporre ad una particolare disciplina. Lui lo fa per ottenere una corona corruttibile, noi per averne una incorruttibile, la vita eterna. Il dominio di sè è dunque un sapersi imporre una disciplina interiore finalizzata al regno di Dio (terzo testo).
Certo ci vuole una buona dose di forza (e soprattutto di coraggio) per mettersi sotto una disciplina interiore che sappia controllare e dominare le proprie passioni. Il proconsole Felice (terzo testo), quando sentì parlare Paolo di continenza e del giudizio futuro ebbe paura, si spaventò... Può accadere anche a noi! E' per questo che ci viene in aiuto lo Spirito Santo con la sua forza. Ma perché questo avvenga, dobbiamo sapere pregare, e per sapere pregare dobbiamo veramente volere che lo Spirito venga in nostro aiuto per superare le tentazioni. Non posso, per esempio pregare il Signore che mi aiuti a conservare la carità e la purezza se poi, in fondo al cuore, io non voglio essere casto e puro...

* Hai mai pensato seriamente di misurare la forza della tua volontà? Quale è il tuo desiderio di resistere fino in fondo al peccato?
* Sai dire un "voglio" forte e deciso quando ti accorgi che tante forze negative e tante cattive concupiscenze dominano la tua vita?
* Sai cogliere il valore positivo ed evangelico della castità e della purezza? Vivi secondo la volontà di Dio la tua sessualità?

p. Augusto Drago





IN CAMMINO CON MARIA

Maria,
colei che seppe rischiare nella fede


Paolo, nella lettera ai Galati, presentando i frutti dello Spirito in contrapposizione a quelli della carne, afferma, fra l'altro, che il "dominio di sè" è frutto dello Spirito ( cf. GaI 5,22).
Il "dominio di sé", proprio di una persona matura, sia umanamente che spiritualmente, è la capacità di domare le passioni che si agitano nella nostra mente, nel nostro cuore e nel nostro corpo.
Questa capacità non viene da noi, ma dallo "Spirito di fortezza" ed è commisurata alla libertà che lo stesso Spirito trova nel nostro intimo. Lo Spirito di fortezza sostiene il nostro spirito nel cammino dell'ascesi che è purificazione della mente, fino a donargli il dominio di sé.
Volendo percorrere questo cammino di docilità allo Spirito, cogliamo nell'esperienza di fede di Maria, il segno più autentico di ciò che lo Spirito opera con chi non gli pone ostacoli.
La "purificazione della mente" è di fondamentale importanza per giungere al "dominio di sé", il quale comporta necessariamente, prima di tutto, l'offrire a Dio ciò che abbiamo di più caro, vale a dire la libertà, per uniformarci alla sua volontà. Non vogliamo essere noi i "Signori" della nostra vita, ma vogliamo accogliere la volontà di Dio su di noi. Come Maria, la quale, prestando a Dio l'obbedienza della fede, non tiene in nessun conto il suo progetto personale per aprirsi ed accogliere quello di Dio (cf. Le 1,26-38). Maria si pone in ascolto della Parola di Dio e a partire da essa riflette sulla sua vita e sulla storia (cf. Le 2,19.51). Anche noi, sul suo esempio, cerchiamo di fare nostro il punto di vista di Dio, non quello del "mondo".
L'obbedienza di fede di Maria, unita a quella di Cristo, si oppone al primo peccato dell'uomo: il non voler dipendere dal Creatore. Lo Spirito di Dio suggerisce al nostro spirito il "sì" dell'obbedienza, come lo spirito del maligno suggerì ai progenitori il "no" della disubbidienza. Al vertice dell'obbedienza a Dio sta Maria che con il suo "sì" rende possibile il "sì" di Cristo al Padre (cf. Ebr 10,5-10). Ella, che ha fatto della Parola del Signore, l'unica norma della sua vita rimane accanto a noi come testimone di ciò che comporta l'essere seguaci di Cristo: «Fate tutto quello che egli vi dirà» (Gv 2,5).
La "purificazione del cuore" è elemento fondamentale del "dominio di sé". E' l'amore, infatti, che ci spinge a vivere come l'amato. Lo Spirito di Dio suggerisce al nostro spirito di amare Dio sopra ogni cosa. Se il Signore è al centro del nostro cuore gli idoli non troveranno posto facilmente.
Maria fu donna di un unico amore. Il suo cuore fu per Dio solo. Ciò non le impedì di amare i fratelli, al contrario, ella seppe amare senza appropriarsi di nessuno e sotto la croce accettò che il suo amore abbracciasse tutti gli uomini redenti dal Cristo Crocefisso (cf. Gv 19,25-27). In fine lo Spirito del Signore risorto fa di lei la Madre della Chiesa (cf. At 1,14). E' possibile, perciò, amare senza volersi appropriare della persona amata. La castità del cuore e del corpo è il segno più bello di una vita dominata dallo Spirito. Dov'è lo Spirito del Signore, infatti, non vi può essere impurità. La preghiera e l'affidamento fiducioso a Maria saranno un valido aiuto per costruire questo grande tesoro che portiamo in vasi di creta (cf. 2 Cor 4,7).
Se la mente e il cuore sono docili allo Spirito, sapremo dominare anche il nostro corpo, il quale è «tempio dello Spirito» (1 Cor 6,19). La "purificazione del corpo" consiste nel godere con gioiosa sobrietà dei beni della terra. Il piacere, le ricchezza, diventano relativi rispetto alla scelta di Dio.
Egli è l'unica sicurezza della nostra vita.
Maria visse una vita di povertà e lavoro, ma soprattutto seppe accogliere, come Abramo, il rischio dell'inatteso e dell'incerto che comportava la sua vita con il Figlio.
Ella aveva riposto la sua sicurezza in Dio il quale «innalza gli umili» e «ricolma di beni gli affamati» (cf. Lc 1,52-53). La sua, però, non fu facile alienazione, ma frutto di fede e di esperienza.
Viene spontaneo chiedersi dove risieda veramente la nostra sicurezza. Gesù ci ammonisce: «Lì dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21).
In sintesi, nel dominio di sé sono riassunti i tre consigli evangelici di obbedienza, castità e povertà. Maria, sotto l'azione dello Spirito Santo li ha accolti pienamente; molti cristiani (i consacrati) li vivono come voti; tutti sono chiamati a farli propri nella sequela di Cristo.

«Maria, madre obbediente e povera, donna di un unico amore, aiutaci ad essere docili allo Spirito che ci spinge sulle vie ardue della castità, della povertà, dell'obbedienza e fa che possiamo essere graditi a Dio come sacrificio vivente e santo. Amen».

Anna Maria Calzolaro



CON FRANCESCO, «UOMO NUOVO»

Governare la «casa del cuore»
per amare con libertà


La padronanza di sé caratterizza l'intera vita di un figlio di Dio. Il dominio di sé non è la virtù del principiante, ma è la risultante di un lento e paziente lavorio interiore, di una costante apertura all'azione della Grazia.
Cercheremo invano tra gli scritti di San Francesco una trattazione esplicita ed organica del dominio di sé... Il Poverello più che riflettere e teorizzare sui valori e le virtù si adopera a viverli.
E difatti, tenendo presente il racconto biografico per esteso, dovremmo dire che egli raggiunse un raro dominio di sé che solo in spiriti illuminati tocca certe valenze.
A ragione il biografo, quando traccia il suo profilo, dirà: «... fedelissimo nell'adempimento dei compiti affidatigli..., di spirito sobrio, costante nell'orazione, tenace nei propositi, saldo nella virtù, perseverante nella grazia, sempre uguale a se stesso...» (FF, 464).
Se guardiamo questa descrizione della sua personalità, se analizziamo gli atteggiamenti evidenziati: fedelissimo, sobrio, costante, tenace, saldo, perseverante..., dobbiamo concludere che nel Poverello troviamo la padronanza di sé fatta vita, stile e modo di essere.
Ma anche di fronte a questa realtà sentiamo la tentazione di restare ammirati dalla sua vicenda umana, ma di non essere interrogati dalla sua testimonianza e dal suo esempio. Di fronte ai santi corriamo sempre questo rischio. Ne facciamo degli eroi, dei... big: loro sono dei fortunati e noi restiamo tranquilli, immobili, senza essere minimamente scalfiti dalla loro storia. Eppure una domanda dobbiamo farcela. Come è giunto il figlio di Pietro di Bernardone, vanitoso ed ambizioso, ad acquisire una così forte e matura capacità di governare se stesso? Lui che cercava di eccellere sugli altri, divorato dalla brama di gloria, ora sta radicato in una pace troppo grande, in una quiete così difficile per un uomo del suo temperamento?
Il prezzo da pagare per giungere ad un tale dominio di sé è alto! Occorre partire dall'oblio di sé per giungere, in compagnia della penitenza-sobrietà, a liberare le energie sopite, sonnecchianti dentro l'uomo.
E' un cammino educativo. Mai capirà il dominio di sé chi si vanta di essere un improvvisatore, chi si lascia guidare dal gusto del momento, da uno spontaneismo di dubbia provenienza che spesso è solo inconsistenza e superficialità.
Eppure il solo cammino educativo non basta. Si potrà giungere ad essere impassibili, a non farsi turbare dalle passioni o dominare dal dolore, ma non è ancora il dominio di sé, sereno e giocondo di Francesco.
Chi di noi non conosce asceti rigorosi ed intransigenti, precisi in tutto, puntuali, sicuri, severi ma tremendamente tristi, freddi e orgogliosi...? La categoria del "perfetto", così cara a questi asceti, se non è coniugata col "dono" non è cristiana. Il dominio di sé, di cui Francesco è esempio stupendo, è prima dono e poi frutto.
Possiamo allora andare a rileggere la pagina stupenda della perfetta letizia, il manifesto del dominio di sé tradotto in vita, e vedere che esso assomiglia molto all'amore di cui ci parla Gesù nel Vangelo.
Un dominio di sé che non è finalizzato all'amore e non è addestramento ad amare di più e meglio, serve poco.
Il dominio di sé ci rende vigilanti, ci dà saldezza di fede, ci trasforma in uomini forti, sostanzia di virtù la vita e ci apre alla gratitudine per i doni di Dio e alla magnanimità verso gli altri.
«... Un giorno il beato Francesco chiamò frate Leone e gli disse: "Frate Leone, scrivi..., scrivi quale è la vera letizia.
Viene un messo e dice che tutti i maestri di Parigi sono entrati nell'Ordine; scrivi, non è vera letizia. Così pure che sono entrati nell'Ordine tutti i prelati d'Oltralpe, arcivescovi e vescovi, non solo, ma perfino il Re di Francia e il Re d 'Inghilterra; scrivi: non è vera letizia. E se ti giunge ancora notizia che i miei frati sono andati tra gli infedeli e li hanno convertiti tutti alla fede, oppure che io ho ricevuto da Dio tanta grazia da sanare gli infermi e da fare molti miracoli; ebbene io ti dico: in tutte queste cose non è la vera letizia".
Ma qual'è la vera letizia?
"Ecco, io torno da Perugia e, a notte profonda, giungo qui, ed è un inverno fangoso e così rigido che all'estremità della tonaca si formano dei ghiacciuoli d'acqua congelata, che mi percuotono continuamente le gambe fino a far uscire il sangue da siffatte ferite; e, tutto nel fango, nel freddo e nel ghiaccio, giungo alla porta e, dopo aver a lungo picchiato e chiamato, viene un frate e chiede: Chi è. Io rispondo: Frate Francesco. E quegli dice: Vattene, non è ora decente questa di andare in giro, non entrerai. E poiché io insisto ancora, l'altro risponde: Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te.
E io sempre resto davanti alla porta e dico: Per amor di Dio, accoglietemi per questa notte. E quegli risponde: Non lo farò. Vattene al luogo dei Crociferi e chiedi là.
Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dell'anima » (Fonti francescane, 278).
Il dominio di sé rende lieta la vita.
p. Giancarlo Corsini




ALLA RICERCA DI CONCRETEZZA

Dominio di sé
è maturità umana e cristiana

Il «dominio di sé» è una dura arte! Lo raggiunge solo chi si apre totalmente alla grazia del Signore, perché solo il dono di Dio fa dell'uomo un vero uomo. Il peccato originale ha lasciato nel cuore di ogni creatura un pesante strascico le cui conseguenze invadono un po' tutti i campi dell'espressione dell'essere. La "reazione" come autoaffermazione personalistica ed egoistica provoca tanti danni... Possiamo individuare conseguenze disastrose come frutto della carenza del dominio di sé, conseguenze che vanno dalla rottura di un equilibrio sul piano dei rapporti umani alla mancata accettazione della propria personalità e individualità.
L'uomo che sa dominarsi è un saggio. La sapienza del cuore è frutto dello Spirito Santo che rimette ordine nel cuore riportando la creatura nel proprio ambito originario, ricreando quel rapporto di equilibrio che era nella mente del Creatore. Siamo stati creati per vivere nella "signoria": Dio ci ha fatti signori del creato e, quindi, signori anche del nostro creato, del nostro essere, dei nostri istinti. La non conoscenza o la superficialità circa i valori fondanti la vita porta lo squilibrio, il disagio, la ribellione. Un uomo scontento interiormente non è un uomo libero. E la più pesante e grave delle schiavitù la si sperimenta sempre nel rapporto con noi stessi.

Lo Spirito Santo, con il dono del «dominio di sé», rimette nell'uomo una nuova graduatoria dei valori. Frutto della Redenzione, il nuovo equilibrio dell'uomo con il creato, dell'uomo con il Creatore e con i propri fratelli, porta ad "apprezzare" tutto come dono (anche se spesso questo dono viene percepito, almeno inizialmente, come "sfida"). Solo chi possiede il dono della Verità conoscerà la Libertà, perché, come afferma Gesù, solo «la Verità fa liberi». E la verità dell'uomo è la sua povertà, il suo innato bisogno di punti significativi di riferimento; la verità è il bisogno che tutti abbiamo di un incontro costruttivo e qualificante con l'altro e con le situazioni della vita. Quando manca questa verità si finisce per essere schiavi delle cose, schiavi delle persone, delle situazioni... Allora nasce la paura, quella paura che porta a reazioni sconsiderate e sproporzionate che sono un sintomo maldestro del bisogno di autodifesa e di autoaffermazione.

Il gioioso incontro con lo Spirito Santo ricrea quell'equilibrio che fa dell'uomo un essere attento, libero e liberante, orientato all'essenziale, coinvolto nella storia e mai sconvolto dalle situazioni esteriori. Questo equilibrio dobbiamo ricercare nell'intimo per proiettarlo in ogni circostanza della nostra vita attorno a noi.

A. Giovanissimi

Ci si educa al «dominio di sé», invocandolo come dono dallo Spirito Santo. Tutti gli sforzi che un ragazzo può fare per apparire un "perbene" vengono vanificati da momenti di emergenza che fanno svanire nel nulla tutti i propositi... Solo il Signore può fare nuovo il tuo cuore e farlo crescere nella dimensione della vera libertà.

* Come reagisco alle situazioni difficili che mi si presentano davanti? Mi ribello, oppure mi fermo per scoprire il bisogno di essere aiutato e sostenuto dall'esterno?
* Riconosco i motivi che mi fanno perdere il controllo? Non vengono forse da una mancanza di chiarezza su cosa conti davvero? Chi può mettere nel mio cuore di ragazzo il metro giusto per valutare le cose e le persone?

B. Giovani

Un giovane padrone di sé ha in mano la vita! Ma per raggiungere questo "dominio" sul proprio carattere c'è bisogno dell'aiuto del Signore che solo sa quanto importante sia una mia crescita equilibrata ed armoniosa. Il giovane che sa far silenzio davanti alla propria storia scopre, pian piano la presenza del Signore accanto a sé e gode di questa vicinanza che è fonte di liberazione.
La preghiera genera riconciliazione del cuore, apertura agli altri, attenzione alle situazioni come "passaggio di Dio" nella vita quotidiana. La distrazione ci rende fragili alla sfida del male e ci porta alla disintegrazione del nostro essere, alla dispersione dei doni che abbiamo ricevuto.

* Riconosco nei miei fallimenti, nei miei cedimenti, nel mio qualunquismo un campanello di allarme che mette in evidenza il bisogno che ho di maggior controllo e, quindi, di maggior chiarezza sui "motivi" della mia vita?
* Riconosco in me la "legge del peccato " come una guerra sempre aperta alla mia vera libertà? Quale opposizione posso fare con le mie sole forze? Chi potrà liberarci da quell'istintualità che rende amara la vita?
* In positivo: riesco a vivere con serenità il rapporto con me stesso, a sperimentare una profonda riconciliazione interiore, come dono del Signore, così da poter essere portatore di pace e di riconciliazione anche attorno a me? Sono con gli altri come sono con me stesso: sono convinto di questo?

C. Giovani coppie

La coppia in cammino tra mille difficoltà quotidiane, rischia il disorientamento nel proprio rapporto sé non rimane costantemente e radicalmente agganciata ad una propria esperienza di intimità illuminata dalla presenza del Signore. Per essere padroni delle situazioni bisogna rinnovare la certezza della fede che non siamo mai soli, che tutto è molto piccolo di fronte al grande progetto che siamo chiamati ad incarnare, che il Signore tiene per mano chi a lui si affida...
L'accettazione del proprio limite aiuta ad accettare quello dell'altro e questa libertà davanti alle circostanze create da limiti umani fa sì che gli sposi pian piano si sentano serenamente distaccati dai problemi, saggi amministratori delle proprie capacità, portatori di una speranza che illumina il cammino guidando gli occhi del cuore «al di là delle cose».

* Confidiamo nelle nostre possibilità, oppure la nostra casa poggia sulla certezza dell'amore di Dio che ci ha voluti insieme? Tante piccole diatribe non nascono dal fatto che si dà troppo spazio al proprio punto di vista, invece che interrogare il Signore su cosa ne pensa Lui?
* La persona che sa dominarsi dimostra una grande maturità, anche sul piano affettivo. Riconosciamo nei nostri limiti il bisogno di crescere nella certezza dell'Amore che abbiamo ricevuto in dono?
* L 'esperienza della riconciliazione dopo il passaggio di qualche... nube ci aiuta a guardarci con maggiore misericordia, così da aiutarci nella coscienza e nella responsabilizzazione reciproca? Affidiamo al Signore la nostra fatica, oppure ci leghiamo ai momenti negativi, impedendo al Suo sole di riportare la gioia della vita insieme?

D. Catechisti

L'educazione nella fede comporta un impegno straordinario teso a coinvolgere l'intera persona. Il ragazzo che è in cammino di formazione deve trovare un aiuto per leggere, tramite la fede, le cose e le circostanze della vita in modo diverso, più sereno e più libero.
* La mia catechesi tende a promuovere la persona, nella sua interezza, convinto che il Signore vuole bene a "tutto" l'uomo, compresa la sua fatica e le sue contraddizioni?
* Oggi i ragazzi vivono in balia di una istintualità preoccupante: so trovare degli esempi concreti per dimostrare che l'inpulsività diseduca, porta fuori dai binari, demolisce la personalità? I miei ragazzi sanno che il Signore li vuole uomini e donne completi, realizzati, liberi e felici? Riescono ad accogliere questo messaggio ed a farlo scendere nella concretezza della loro vita? Verifichiamo spesso insieme come l'annuncio della fede li aiuta a crescere anche sul piano umano, plasmando positivamente il loro carattere?

A conclusione del nostro cammino possiamo dire che i frutti dello Spirito Santo sono tutti orientati alla maturazione piena dell'uomo. Il dominio di sé è il frutto che racchiude tutti gli altri perché è quel dono che fa dell'uomo una persona fedele, capace di amare fino a dare la vita, padrona dei propri istinti, capace di orientare in positivo tutte le spinte che sente dentro di sé. Il Signore ci vuole felici, per questo ha mandato a noi lo Spirito a comunicarci la gioia e la pienezza della Sua vita!

p. Silvano Castelli


PER LA PREGHIERA

È lo Spirito che ci rende forti


Tra le varie manifestazioni dello Spirito (cf Gal 5,22-23) troviamo anche il dominio di sè come un frutto dell'azione divina. San Paolo oppone alle opere della carne i frutti dello Spirito. Tra le opere della carne si trovano «fornicazioni, impurità, libertinaggio... ubriachezze, orge e cose del genere». Se tale "padronanza di sé", dato il contesto, va intesa soprattutto nel campo sessuale, essa caratterizza però in senso più ampio l'intera vita di un figlio di Dio..
Il dominio di sè fa sì che il Cristiano governi tutti i settori della cupidigia, da essere non solo gradito a Dio in tutto, ma anche capace di rispettare nei suoi fratelli, quali figli di Dio al pari di lui, la medesima dignità.
Nella padronanza di sè infatti il cristiano dimostra rispetto verso se stesso e verso gli altri, tutti chiamati a quel rapporto filiale con Dio.
Il dominio di sè, quindi benché personale dal punto di vista delle virtù, comporta anche una dimensione comunitaria: il cristiano non solo è in grado di governare i moti istintivi della natura conformemente al Vangelo, ma anche di convivere in una società con delicato rispetto verso tutti.


Canto di inizio

Vieni, o Spirito creatore, visita le nostre menti, riempi della tua grazia i cuori che hai creato. O dolce consolatore, dono del Padre altissimo, acqua viva, fuoco, amore, santo crisma dell'anima. Dito della mano di Dio, promesso dal Salvatore, irradia i tuoi sette doni, suscita in noi la parola. Sii luce all'intelletto, fiamma ardente del cuore; sana le nostre ferite col balsamo del tuo amore. Difendici dal nemico, reca in dono la pace, la tua guida invincibile ci preservi dal male. Luce di eterna sapienza, svelaci il grande mistero di Dio Padre e del Figlio uniti in un solo Amore. Amen.

Breve pausa di silenzio

In ascolto della Parola - Dalla Lettera di Giacomo 12-15.19-27
«La padronanza di sè richiede un atteggiamento attivo ed indica potenza della volontà rispetto ai momenti della concupiscenza, che può sedurre e sviare l'uomo.»

Breve pausa di silenzio

In ascolto della Parola - Matteo 22,34-40
«La disciplina personale non riguarda soltanto il governo della propria concupiscenza secondo la legge divina; ma anche, come s'è detto, una manifestazione squisita di amore nei riguardi del prossimo.

In risposta alla parola
Tu sei santo, Signore Iddio unico, che fai cose stupende. Tu sei forte. Tu sei grande. Tu sei l'Altissimo. Tu sei il re onnipotente.
Tu sei il Padre Santo, re del cielo e della terra.
Tu sei trino e uno, Signore Iddio degli dei.
Tu sei il bene, tutto il bene, Signore Iddio vivo e vero.
Tu sei amore, carità. Tu sei sapienza. Tu sei umiltà. Tu sei pazienza. Tu sei bellezza. Tu sei sicurezza. Tu sei pace. Tu sei giudizio e letizia. Tu sei la nostra speranza. Tu sei giustizia. Tu sei temperanza. Tu sei in sovrabbondanza ogni nostra ricchezza. Tu sei bellezza. Tu sei mitezza. Tu sei il protettore. Tu sei il custode e difensore nostro. Tu sei fortezza.
Tu sei refrigerio. Tu sei la nostra speranza. Tu sei la nostra fede. Tu sei la nostra carità. Tu sei tutta la nostra dolcezza. Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore. (S. Francesco: FF 261)

Breve pausa di silenzio

L'esperienza di Francesco FF. 1337 (se si vuole anche FF 366-367)
Anche se nel racconto si usano tinte forti tutto sta a dimostrare la grande 'padronanza" che uno deve esercitare su di sé. Francesco si è impegnato con tutte le proprie forze e capacità. Occorre una forza straordinaria, quasi disumana. Per questo è necessario invocare che tale dono ci venga concesso per la bontà del Signore, certi che lo Spirito del Signore verrà in nostro soccorso.

Pausa di adorazione - Canto o canone meditativo
Preghiere spontanee - Canto del Padre Nostro

Breve pausa di silenzio

Preghiera conclusiva
Ricordati, o Padre, di tutti i tuoi figli. Tu, o Santissimo, conosci perfettamente come, angustiati da gravi pericoli, solo da lontano seguono le tue orme. Dà loro forza per resistere, purificati perché risplendano, rendili fecondi perché portino frutto. Ottieni che sia effuso su di loro lo Spirito di grazia e di preghiera, perché abbiano la vera umiltà che tu hai avuto, osservino la povertà che tu hai seguito, meritino quella carità con cui tu hai sempre amato Cristo crocefisso. Egli vive e regna col Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen. (S. Francesco: FF 820)
p. Albino Tanucci
view post Posted: 12/4/2016, 17:33 I frutti dello Spirito - Spiritualità cristiana
I frutti dello Spirito Santo /7

BONTÀ E BENEVOLENZA SONO FRUTTI DELLO SPIRITO

INTRODUZIONE

Bontà: frutto di un cuore nuovo

In una società dove arrivismo e concorrenza sembrano dettar legge, lo Spirito Santo vuole creare una nuova condizione e nuove situazioni immettendo un suo prezioso frutto: bontà e benevolenza. Il cuore dell'uomo e malato, per cui i suoi frutti non possono essere automaticamente buoni. Un cuore affidato all'azione della Salvezza recupera il gusto e la sapienza che permettono di incarnare rapporti umani in novità.
Lo Spirito Santo manifesta al cuore dell'uomo, in primo luogo, la bontà di Dio: ogni cosa che esce dalle mani del Creatore è buona e quindi contiene in sé un annuncio di amore. Sappiamo che cosa è avvenuto con il peccato originale: ogni rapporto è stato falsato, ogni cosa è stata bacata.
Lo Spirito Santo restaura il cuore! La prima opera di novità è la nuova sensibilità che permette di riconoscere il positivo dietro ogni cosa e dietro ogni persona; solo con questo paio di occhi nuovi, frutto e dono dello Spirito, si torna a gustare le cose belle che il Creatore ci ha donato, si torna a guardare la gente come un dono e non come un ostacolo per la nostra crescita, personale e comunitaria. Una esperienza viva e concreta di Dio-bontà-misericordia fa dell'uomo un essere attento e disponibile alle grandi esigenze d 'amore che ci sono attorno a lui. Un uomo modellato dallo Spirito, rinnovato nell'intimo, diventa un punto di riferimento decisivo per una altrettanto decisiva svolta nel nostro cammino sociale. Solo un uomo positivo, perché agganciato alla bontà di Dio, riesce ad incarnare opere positive e diventa veramente sale e luce per il mondo.




LA RIFLESSIONE

Dio ama
chi dona con gioia

S. Paolo, parlando di bontà e benevolenza quali frutti dello Spirito, intende parlare di una fondamentale ed esplicita manifestazione della carità. Infatti la bontà evangelica di cui ci parla è tutt'altro che un vano miscuglio di buoni sentimenti: non si tratta di «stare buoni» o di «essere buoni», ma di vivere una bontà forte, che incida nella società e che sia in grado di affrontare tutte le forme del male, non per rendere male per male, ma per vincere, sorretti dall'amore divino, il male con il bene (cf. Romani 12, 17-21).
La benevolenza cristiana sgorga dal cuore, il suo dono è libero e lieto: «Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, poiché Dio ama chi dona con gioia. Del resto Dio ha il potere di fare abbondare in voi ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene» (2 Corinti 9, 7- 8). La benevolenza, dunque, non richiede ricchezze materiali per esercitarsi, perché essa è prima di tutto espressione di uno spirito di bontà e di umanità.
L'esempio più commovente ci viene indicato dal Signore stesso quando loda il contributo della povera vedova: «In verità vi dico, questa vedova, povera, ha messo più di tutti» (Luca 21, 3). Questa donna è stata generosa nella penuria; il suo atto, meritevole dell'aperta lode di Gesù, insegna che anche la povertà evangelica va caratterizzata dalla generosità, e tanto più quando ci si rende poveri per il Regno di Dio. Un povero per Cristo sarà sempre un uomo generoso.

La benevolenza cristiana è una partecipazione della bontà evangelica che può essere riassunta nella parola: «Dà a chi ti chiede» (Luca 6,30). Una bontà aliena da ogni astuzia o calcolo umano, nonché dalla continua preoccupazione del proprio interesse particolare. Si tratta di una apertura dell'anima che sa uscire dai confini di se stessa per collocarsi al centro della comunità del creato in cui tutto è al servizio dei fratelli più bisognosi, perché figli dello stesso Padre. È una benevolenza esigente, perché ha la sua essenza non nel dono delle cose, ma nel donare se stessi attraverso ed al di là delle cose.
La benevolenza cristiana non si basa sulla speranza del ricambio: «Io dò affinché tu dia...», ma si nutre della bontà divina ed è la manifestazione di un'anima resa "buona" dallo Spirito. Un uomo benevolo fa del bene proprio perché sente di farlo ed è in ciò liberale ed umile ad un tempo. Perciò non soffoca l'altro sotto il peso del suo beneficio, non lo lega a sé, né lo rende a sé dipendente con doni, ma lo lascia e lo rende libero. S. Ambrogio esprime questo carattere gratuito e gioioso della bontà evangelica come il fondamento e l'essenza delle perfezione evangelica: «Questo è essere perfetto e recare il massimo vantaggio a quelli che ci sono vicini e non imporre loro nulla di gravoso».
La bontà e la benevolenza, dunque, si concretizzano nei vicini, cioè in quel prossimo di cui parla Cristo nella parabola del buon samaritano. Un prossimo che si incontra per le nostre strade percorse quotidianamente, che si riesce a vedere ed a riconoscere nel momento in cui si alzano gli occhi dagli angusti confini di noi stessi, abbattendo le barriere che ognuno di noi porta dentro di sé o costruisce attorno a sé. Un prossimo di fronte a cui S. Giacomo invita a non sentirsi fratelli teoricamente o con sole buone intenzioni (cf. Giacomo 2, 14-26), ma, secondo l'insegnamento della parabola, fare come il buon samaritano: interessarsi all'altro fermandosi e chinandosi su di lui, sporcarsi le mani senza aver paura di perdere qualcosa di sé e, soprattutto, dando all'altro del proprio. Solo così si realizza la vera comunione fraterna di cui si parla negli Atti degli Apostoli (Atti 4, 32-35) e che diventa segno e testimonianza concreta dell'Amore di Dio per l'uomo; è la testimonianza, cioè, del volto buono e benevolo con cui Gesù va incontro all'uomo di ogni tempo, cercando non la morte del peccatore ma che questi si converta e viva.

Jhonny Libbi

LA SCHEDA BIBLICA

Il volto di Dio-Amore

Romani 12, 9: «La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene. Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno. Gareggiate nello stimarvi a vicenda...».

Romani 13, 10: «L 'amore non fa male a nessuno: pieno compimento della legge è l'amore».

2 Cor 9, 7-8: «Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia. Del resto Dio ha il potere di fare abbondare in voi ogni grazia, perché avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene».

Romani 12, 17-21: «Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti... se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere... Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male».

Come frutto dello Spirito Santo la benevolenza e la bontà sono fondamentali ed esplicite manifestazioni della carità. La benevolenza in modo particolare indica una "buona" disposizione di animo verso gli altri ed indirizzata a procurare il loro bene con una particolare inclinazione affettiva.
L'uomo che è mosso dalla carità e quindi dallo Spirito Santo non solo è attaccato, quasi affezionato al bene, ma ha anche un'intima adesione del cuore al bene del prossimo. Benevolenza significa "ben volere", quindi volere il bene degli altri attraverso atti specifici di bontà. Poiché «nessuno è buono se non Dio solo» (Lc 18,19), la vera benevolenza e la conseguente bontà non possono che essere operazioni di Dio in noi e quindi frutti della nostra comunione con lo Spirito Santo. E' ciò che vuol dirci S. Paolo in Romani 12,9. Quando infatti la carità non è 'finta', ma è sincera ed autentica, ci porta a fuggire il male e ad essere attaccati al bene amando gli altri con affetto fraterno. Desiderare il bene degli altri ci porta a superare l'invidia e la gelosia e volere che gli stessi abbiano tutti i beni possibili. Allora la benevolenza diventa generosità: si gode, si gioisce nel procurare il bene dell'altro come Dio gioisce nel volere il nostro stesso bene. A riguardo Paolo, parlando agli anziani della chiesa di Efeso a Mileto richiama una celebre frase di Gesù: «vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (cf. Atti 20,35). Perciò Dio ama chi dona con gioia. La vera bontà, come l'amore non cerca il proprio interesse: si è veramente buoni quando si compie il bene in forma del tutto disinteressata, quasi come una forma di gratuità che nasce dall'amore. Qui tocchiamo quasi con mano che la bontà e la benevolenza sono un frutto dello Spirito e che la forza di vivere la nostra fede è dentro di noi. Infatti solo l'amore che procede dallo Spirito Santo può farci superare certe forme di egoismo, di invidia, di gelosia e ci proietta con generosità e gioia verso il bene, ma anche il sapersi sacrificare lasciandosi trasformare dallo Spirito.
La bontà e la benevolenza è sempre gioiosa e presuppone la generosità del cuore. Il non fare male a qualcuno, il non rendere a nessuno male per male suppone la rinunzia ad ogni forma di rivendicazione, di violenza, di vendetta. Positivamente implica l'evitare che in qualunque modo qualcuno soffra ingiustamente a causa nostra, il non dargli pene inutili, il non fargli torto: perciò l'amore non fa male a nessuno: «pieno compimento della legge è l'amore» (Romani 13,10).
La bontà evangelica, frutto dello Spirito Santo, è interamente buona nelle intenzioni, nei pensieri, nelle opere e nelle parole: è semplicemente e totalmente buona. E' aperta a tutti, non va rifiutata a nessuno e perciò non può circoscriversi nell'ambito della cerchia degli uomini che ci siamo scelti noi stessi come compagni o amici.
Il Vangelo, soprattutto attraverso alcune parabole ci ricorda tutto questo. Ricordiamo in modo particolare la parabola del buon Samaritano (Lc 10,29 e segg.). Ricordiamo alcune parole di Gesù: «a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello...» (Matteo 5,40). «A voi che ascoltate io dico, amate i vostri nemici...» (Luca 6,27 e segg.). «Dà a chiunque ti chiede... » (Luca 6,30). E' in questa maniera che non ci si lascia vincere dal male ma si vince il male con il bene dell'amore. Parole certamente sublimi, cariche di esigenza. Dio solo può darci' la capacità di metterle in pratica!

* Gesù ti dice: "amerai il prossimo tuo come te stesso. Chiediti con coraggio e rispondi con franchezza: qual è il tuo coraggio di amare e di volere il bene degli altri fino in fondo?
* Quando "doni" lo fai con riserva, pretendi il ricambio, lo fai con astuto calcolo per tuo tornaconto personale? Oppure ti sforzi di collocarti nella linea del Vangelo e della parola del Signore?

p. Augusto Drago



IN CAMMINO CON MARIA

In Maria la pienezza della bontà di Dio

«L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore...» (Luca 1, 46-47). Con queste parole Maria innalza il suo canto di lode e di ringraziamento al Signore che nella sua infinita bontà si è chinato su di lei e l'ha colmata dei suoi doni.
Più di ogni altra creatura, infatti, Maria ha fatto esperienza della benevolenza di Dio. Ella ha trovato grazia presso Dio (Luca 1,30) e in questo termine è espresso tutto il fervore, l'affetto, la benevolenza che Dio ha per lei.
Non si parla qui di un singolo dono, ma di un atteggiamento globale di bontà e di affetto.
L'angelo la chiama "piena di grazia" (Luca 1,28) e non con il suo nome proprio, perché la benevole condiscendenza di Dio e ciò che propriamente la caratterizza. Questa pienezza di doni e di grazia è data in vista di un compito, di una missione particolare che Dio stesso, con l'azione del Suo Spirito e con la Sua potente presenza, rende capace di portare a termine. Maria, da parte sua, ha corrisposto con tutto il suo io "umano e femminile" a questa elezione e missione.
Tutta la sua vita è corsa lungo i binari della bontà e della benevolenza. Infatti se la bontà è cortesia, è gentilezza, è mitezza, è affabilità, generosità, carità, è disponibilità e attenzione ai bisogni degli altri e la benevolenza è quella disposizione d'animo che inclina ad amare gli altri e a far loro del bene, come non ritrovare tutte queste realtà in Maria?

A Nazareth, con generosità e disponibilità accoglie il progetto di Dio e con il suo "si" si pone a servizio dell'opera redentrice del Figlio, di cui diverrà la prima e perfetta discepola.
A Betlemme mostra ai pastori la benevolenza di Dio che si fa visibile, che si fa uomo, carne.
A Cana, attenta ai' bisogni degli altri, sa intercedere presso il Figlio.
Sul Calvario, ancora una volta generosa nell'offerta, Maria abbraccia con un unico sguardo d'amore il Figlio e quanti - nella persona di Giovanni - sono stati affidati al suo cuore di madre.
Maria seppe fare della propria vita un culto a Dio e del suo culto un impegno di vita. Maria è l'esemplare perfetto di ciò che la creatura è chiamata ad essere di fronte al Creatore. E' espressione della perfetta unione dell'uomo con Dio.

Maria è la primizia della creazione, ma, come Lei ogni uomo è guardato da Dio con un amore di benevolenza. Egli infatti «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo» (Efesini 1,3-5). E in Gesù riceviamo la redenzione «secondo quanto nella sua benevolenza ave va prestabilito» (Efesini 1,9).
In Gesù Cristo Dio si dona all'uomo, perché l'uomo ritorni a Lui. E' un dono gratuito e disinteressato, frutto della sua misericordiosa benevolenza. Dio vuole che tutti gli uomini per mezzo di Cristo, nello Spirito, siano partecipi della natura divina e poiché è «lo Spirito stesso che attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio» (Romani 8,15-16), è chiaro che la vita cristiana deve essere una vita secondo lo Spirito.
Maria di Nazareth ci insegna proprio questa docilità all'azione dello Spirito, il quale agendo nel cuore dell'uomo, gli permette di uniformarsi sempre più a Cristo e di produrre frutti di bene. L'amore di benevolenza è infatti questo "amore di amicizia" tra Dio che elargisce la Sua grazia santificante e l'uomo che si impegna a corrispondervi con atti concreti di carità, di amore, di bontà.

P. Kolbe, cresciuto alla scuola di Maria, conosceva bene questa verità. «L'intensità dell'amore d'amicizia (Amor benevolentiae) è lo zelo - scrive - Colui che ama Dio per se stesso cerca di fare in modo che tutti lo amino, ed escogita le modalità per realizzare il suo intento, con la riflessione, con la serenità, con la bontà» (SK 987 R).
P. Kolbe seppe fare della sua vita un'espressione della bontà di Dio, quella bontà che sa arrivare al cuore dei fratelli e vi scorge le capacità di bene, anche se molte volte nascoste o sopite.
Una bontà, quella di S. Massimiliano, vissuta nel dono di sé, momento per momento, pagando di persona e dando sempre qualcosa di se stesso, cominciando dai fratelli più vicini per arrivare poi a quelli più lontani. Tutto il suo apostolato, tutta la sua vita furono spesi per un unico obbiettivo: combattere e vincere il male con il bene.
«Combattere il male nello spirito della M.I., dell'Immacolata, con amore verso tutti. Mettere in rilievo e lodare maggiormente il bene, affinché l'esempio attragga. .. » (SK 1281) non si stancava di ripetere P. Kolbe, per «strappare il maggior numero possibile di anime dai legami del peccato, premunire contro il male, confermarle nel bene» (SK 216).

P. Kolbe lancia la sua sfida anche a noi e ci ricorda che il mondo ha bisogno di cristiani, adulti e maturi nella fede, capaci di essere : espressione dell'amore gratuito e benevole di Dio.

Angela Savastano

CON FRANCESCO, «UOMO NUOVO»

«Chi ci ha creati
è infinitamente buono...»

«Nelle cose belle riconosce la bellezza somma e da tutto ciò che per lui è buono sale un grido: chi ci ha creati è infinitamente buono...» (Fonti Francescane, 750).
Dio è bontà, anzi, più propriamente, usando le parole del Poverello, «Dio è il Bene, il sommo Bene, il solo ed unico Bene...». La bontà-benevolenza è la caratteristica che più di ogni altra colpisce l'animo sensibile di Francesco, tanto che non si stanca di contemplare, di gioire e di ringraziare Dio per il suo amore.
Quello di Dio è un amore che tende esclusivamente a donarsi e a donare perfettamente. Dio, nella definizione di San Giovanni, è Amore, bontà, benevolenza. Dio si dona nell'Incarnazione e nell'opera della salvezza, come nelle meraviglie della creazione e nella misteriosa iniziativa di intrecciare un dialogo con l'uomo; un dialogo di chiamata e di risposta.

Francesco ha fatto questa esperienza di Dio, ha sentito su di sé questo amore, lo ha respirato, si è sentito "accolto" benevolmente in questo abbraccio di Dio. Lo ha sentito «benigno e pio», lo ha sperimentato «ineffabile, soave, amabile e dilettevole, desiderabile». Questa esperienza di bene, di accoglienza, di bontà si è poi tradotta in un atteggiamento simile con l'uomo, con il fratello.
E' benevolo, Francesco, verso chi sbaglia; non condanna... ma «tutto copre, tutto sopporta». Il Poverello non condanna il prete peccatore, ne bacia le mani; non predica nelle parrocchie dove abitano «sacerdoti poverelli» senza il loro permesso. Una espressione che troviamo spesso nei suoi scritti e nei suoi dialoghi è questa: «benigne recipiant», siano accolti benevolmente. Così si accolgono i novizi, così si accolgono e si servono i ladri di Montecasale...
Questa è l'esperienza che fa di Francesco e dei suoi «degli eterni contemplatori e innamorati cantori della insondabile bellezza e bontà di Dio»: Dio è amore, di amore vive nell'eterna comunione trinitaria, per amore, liberamente, crea nel tempo, per amore si incarna e redime ed ora ci assiste con il suo divino Spirito... Da questa coscienza, dall'entusiasmo sempre nuovo davanti alla imprevedibile bontà di Dio, scaturisce il bisogno struggente di rendergli ogni grazia, di restituirgli, moltiplicati, i suoi doni, insomma l'attitudine alla riconoscenza, la risposta d'amore, che è il cammino di ascesa a Dio, o di ritorno a Dio, nel quale Francesco vorrebbe trascinare tutto se stesso, l'umanità e tutte le creature.

La benignità di Francesco è più che una semplice questione di temperamento e di tratto nel vivere sociale. Essa è questo, ma non solo questo: suggerisce perciò non soltanto gentile accoglienza, cortese socievolezza, amabile compiacenza, tutto ciò che insomma può rendere piacevole al prossimo la nostra convivenza, ma è anche padronanza di sé, dominio di sé e, soprattutto, sacrificio.
La benignità di frate Francesco sgorga dalla docilità allo Spirito Santo. La sua è l'affabilità di un'anima affinata e dilatata dallo Spirito: questa benignità la si legge nel sorriso limpido, nel gesto deferente, nel tratto gentile e rasserenante; essa è segnata di delicatezza, di buon umore.

L'affabilità di Francesco non mira a guadagnare l'altro né tanto meno a lusingare l'altro, ma a favorire l'unione e la riconciliazione tra le persone. Ciò include rinuncia a se stessi e una continua attenzione agli altri: vuole essere testimonianza di benevolenza con la parola e con il gesto gratuito, come la visita o un segno di interesse. Tutto ciò è proprio di un figlio di Dio, di colui che è nato da Dio ed elevato dallo Spirito, desiderando appianare per gli uomini i sentieri del suo amabile Signore, Gesù Cristo.
La benevolenza cristiana sgorga dal cuore, il suo dono è libero e lieto. La bontà evangelica non è un miscuglio di buoni sentimenti. Non si tratta di rimanere in un atteggiamento innocuo, ma coinvolgersi, come Francesco, in una dinamica di autenticità sul piano sociale, e l'autenticità del cristiano è fatta di bontà interiore, di accoglienza, di testimonianza che denuncia una vita squalificata, ogni forma di compromesso con il male. Il cristiano è certo che, sull'esempio di Francesco, sia possibile ottenere verità e libertà, pace e gioia solo attraverso una testimonianza gioiosa e coinvolgente dell'incontro avuto con il Dio di amore, di bontà e di benevolenza.

p. Giancarlo Corsini

ALLA RICERCA DI CONCRETEZZA

La sfida dell'amore

Lo Spirito Santo ci... provoca con il dono della «bontà» e della «benevolenza»; si tratta di una autentica provocazione, perché noi non incarniamo spontaneamente nella nostra vita questa dimensione dell'amore che ci rende tanto simili al nostro Padre e Creatore. Sarà proprio lo Spirito, allora, a cambiare il nostro cuore perché sperimentiamo, in primo luogo, la gratuità dell'amore di Dio ed impariamo, poi, a renderlo plastico nelle nostre scelte di vita, nei nostri rapporti fraterni, nel nostro guardare noi stessi e giudicarci.
Bontà e benevolenza non sono la stessa cosa; la bontà riguarda la concezione stessa che abbiamo della vita, mentre la benevolenza e l'espressione della dimensione bontà nel nostro comportamento e del nostro rapportarci con il mondo, le persone, noi stessi e Dio. Proviamo a riflettere brevemente su quanto di concreto comporta accogliere in pienezza questa dimensione dello Spirito e questi suoi doni nella nostra vita.

Colpisce sempre, rileggendo la prima pagina della Bibbia, una affermazione che manifesta tutto... l'ottimismo di Dio: dopo ogni atto creativo, Dio contempla la sua opera, se ne compiace e dice che è «cosa buona». Dopo la creazione dell'uomo abbiamo una affermazione ancora più decisa: «E Dio vide che era cosa molto buona» (Genesi 1,31). Questo ci immette in una straordinaria dinamica di positività: tutto ciò che Dio fa è«buono» perché è frutto della stessa Bontà. La bontà è, quindi, un aderire al disegno di Dio, un guardare il mondo con i suoi occhi, un contemplare e riconoscere (e riconoscersi) il tutto come parte di un progetto di amore, di gioia, di libertà autentica. Il peccato originale ha inquinato il cuore dell'uomo al punto che questi non riesce più a percepire con «bontà» quanto lo circonda e nemmeno se stesso.
La «benevolenza» nasce da questo originale progetto «buono» che Dio fa creando e proponendo all'uomo un cammino in pace con Lui, e quindi riconciliato in se stesso. Se non è più possibile, per colpa del peccato, originale e attuale, entrare in sintonia con la bontà del Creatore, si guasta tutto! In primo luogo salta il rapporto uomo-uomo, perché la mancanza di un comune punto di riferimento sul piano creazionale non fa più riconoscere l'altro come «fratello», e se l'altro non è mio fratello o è un mio rivale o, bene che vada, un essere che mi resta alquanto indifferente.

La salvezza che Gesù ha operato ha rimesso in cammino l'uomo sulla giusta strada; ora, chi vuole, può davvero ritrovare il senso di «bontà» e «benevolenza». Il compito affidato da Gesù allo Spirito Santo è quello di aiutare l'uomo a «far memoria» dell'Amore del Padre, incominciando, proprio per questo, a guardare le cose e le persone con un occhio nuovo, salvato, libero da quelle incrostazioni che non gli permettevano più di vedere la «bontà» e di incarnare rapporti di «benevolenza». L'ottimismo del cristiano è contagioso e cambia la storia, rendendola positiva, ben orientata, cosciente dei valori autentici che edificano e conducono alla meta. Lo Spirito Santo, donando al cuore dell'uomo «bontà» e «benevolenza», rimette in cammino l'umanità secondo il progetto originale di Dio.

A. Giovanissimi
Quelli che vengono definiti «bravi ragazzi» secondo la logica del mondo non sempre corrispondono al disegno di Dio: si dice bravo nel mondo a chi non crea problemi, a chi non si pone troppi problemi, a chi rinuncia ad una strada sua per fare quella che fanno tutti... Il Signore vuole mettere nel tuo cuore l'autentica bontà, che è una qualità del Suo cuore, e ti vuole testimone del Suo amore con gesti di autentica benevolenza.
* Ami davvero ogni cosa che Dio ha fatto con amore e che Dio ti ha donato con tanta bontà? Sai rispettare le cose che sono attorno a te? Sai vivere un rapporto autentico con il tempo che ti è donato?
* La benevolenza che Dio ha nei tuoi confronti e che si manifesta in mille doni che Egli mette tra le tue mani ogni giorno sai manifestarla nei confronti con i fratelli che hai sulla tua strada?

B. Giovani
Bontà e benevolenza rendono piena e gioiosa la vita di un giovane. Chi si innamora della vita è affascinante perché in ogni suo gesto manifesta il positivo e sa trovare, anche dietro la situazione più ingarbugliata, un messaggio di speranza e di edificazione. In un mondo troppo spesso dipinto in nero, il giovane cristiano è chiamato a testimoniare, nei gesti concreti del quotidiano, la bellezza della vita e la meraviglia che si può toccare con mano, attimo per attimo, accettando la vita come dono.
* Chi mi è accanto può dire di incontrare una persona diversa, diversa perché positiva?
* La gioia caratterizza la mia vita, oppure mi lascio prendere da momenti di abbattimento che denotano una mia lontananza dalla Sorgente positiva della vita?
* La bontà del Signore mi si manifesta come misericordia: so manifestare l'amore di Dio perdonando quanti mi fanno del male?

C. Giovani coppie
Bontà e benevolenza sono l'espressione concreta dell'amore: una giovane coppia si educa all'accoglienza reciproca, una accoglienza fatta di misericordia e di costante promozione dell'altro. Troppo spesso il maligno lega il cuore, bloccandolo su situazioni di limite e questo paralizza la dinamica dell'amore. Ci è chiesto di invocare dallo Spirito i doni della bontà e della benevolenza per guardare ogni situazione in positivo e per saper leggere al di là delle situazioni contingenti.
* Il nostro rapporto di coppia è positivo, oppure ci capita ancora di bloccarci e chiuderci perché non riusciamo ad uscire dal nostro punto di vista?
* Se il Signore è la sorgente ed il lievito del nostro rapporto d'amore, come cambia il nostro giudizio sulle cose e sulle persone? Finiamo per giudicare, come fanno in tanti, oppure ci affidiamo alla bontà del Signore e da Lui imploriamo la capacità di accogliere tutti?
* Chi ci in con tra può sperimentare la bontà del nostro cuore come frutto dell'amore che ci unisce?

D. Catechisti
Un atteggiamento di benevolenza facilita il rapporto educativo e formativo che si deve necessariamente instaurare tra il catechista ed i suoi ragazzi. Compito del catechista è far conoscere il volto buono e misericordia di Dio, così che i ragazzi si innamorino dell'Amore.
* Nel tuo rapporto con i ragazzi emerge la "bontà" come frutto della tua esperienza di Dio e come dono dello Spirito Santo?
* Quali iniziative pratiche si possono prendere perché i ragazzi incontrino la bontà del Signore e la riconoscano come un fatto concreto, sperimentabile nella loro vita quotidiana?
* Sento che il Signore mi chiama ad amare tantissimo i ragazzi che mi sono stati affidati, amarli in nome Suo, così che si sentano importanti davanti a Lui e crescano in piena libertà e serenamente e fiduciosamente abbandonati tra le braccia della Divina Provvidenza?

p. Silvano Castelli



PER LA PREGHIERA

«Nessuno è buono se non Dio solo...»

Le opere dello Spirito costruiscono la fraternità perché sono situazioni personali che rivelano la carica positiva in presenza di altri; sono date non per tesaurizzare in privato, ma per espropriarsene con amore oblativo perché i doni dello Spirito sono affidati in vista della costruzione della comunità.
Il possesso della benevolenza avvicina la propria azione comunitaria (Colossesi 3, 12-14) all'azione salvifica di Dio medesimo (Romani 2,4; Tito 3,4) mentre l'assenza di essa denuncia l'appartenenza al numero dei disgregatori (2 Timoteo 3, 1-5). Solo Dio è buono (Matteo 19,17; Marco 10,18; Luca 18,19), ma la bontà dimora nel cuore dell'uomo potenziata da Dio stesso (2 Tessalonicesi 1,11).
La benevolenza indica una buona disposizione d'animo verso gli altri, indirizzata a procurare il loro bene e che si esercita nel «fare il bene», ma non si riduce solo a questo; anzi, è piuttosto da considerare come un sinonimo del termine greco "filantropia", cioè amore per gli uomini.
La benevolenza, quindi, è una fondamentale ed esplicita manifestazione della carità.

Canto d'inizio

Spirito Santo, anima di tutta la Chiesa, che per te vive, e Spirito vivificante, davanti alla tua divina maestà io sto, come un vaso vuoto. Sento, pungente, la mia povertà: arricchiscimi con i tuoi doni; le tenebre mi avvolgono: dammi la tua luce; freddezza mi paralizza: riscaldami con la tua carità. Confesso la mia debolezza a te che sei fortezza; la mia lentezza a te, che sei vigore; tutto io aspetto dal tuo amore misericordioso. Come povero spero ed attendo.
Amen

Silenzio di adorazione

In ascolto della Parola - Colossesi 3, 12-17
È una fervida esortazione alla carità comunitaria. Che cosa vi è di più urgente oggi se non di creare degli spazi di bontà e di misericordia? Il discepolo deve diventare il segno della misericordia e della comunione, una vittoria continua sull'egoismo e l'ingiustizia.

Breve pausa di silenzio
Canto o canone

In ascolto della Parola - Marco 10, 17-30
La bontà è un attributo di Dio e, in senso assoluto, non può riferirsi che a Dio solo. La bontà che ci è chiesto di incarnare, perché a nostra volta diventiamo "segni positivi", non esige solo l'osservanza dei comandamenti nella loro materialità, ma donazione totale. Donazione, liberazione, spoliazione, rinuncia a tutto ciò che è tuo e non ti permette di essere disponibile alle esigenze dell'altro.

Breve pausa di silenzio
Canto o canone meditativo

Dalle Fonti Francescane, n. 676
Lo svuotamento totale di sé dà la possibilità a Dio di renderci così come Lui è: buoni e misericordiosi. Così trasformati non possiamo non essere "segni" di bontà attorno a noi


Preghiera conclusiva
Con i doni del tuo Spirito, o Padre, accompagni sempre l'esistenza e le azioni dei tuoi figli; rendici attenti e docili a questa voce interiore perché la forza che a Pentecoste ha rinvigorito gli apostoli ci trasformi e ci renda forti e generosi, ci assimili a Cristo e ci consacri al tuo servizio con la parola e la testimonianza.
Per Cristo, nostro Signore. Amen!

Canto finale
p. Albino Tanucci

I frutti dello Spirito Santo /8



LA FEDELTÀ
È FRUTTO DELLO SPIRITO





INTRODUZIONE

Fedeli al Dio fedele

La fedeltà che rende bella la vita è un dono di Dio; I 'uomo non l'ha nel proprio cuore, perché il cuore dell'uomo è instabile e cerca sempre soluzioni istintive odi comodo (è uno dei guai provocati dal peccato originale). La Salvezza che Gesù è venuto a portarci restaura il cuore dei figli di Dio e promuove la novità negli atteggiamenti e nei giudizi di chi a Dio si affida. La prima qualità «nuova» che un cuore redente sperimenta è proprio la fedeltà.
La fedeltà del cuore rende di nuovo l'uomo «a immagine e somiglianza di Dio», perché il nostro Dio è un «Dio fedele». Tutta la Rivelazione ci mette davanti al volto di un Padre che ama i suoi figli e li... insegue con il suo amore, un amore senza confini, senza sosta, senza condizionamenti.
La fedeltà di Dio viene innestata nel cuore dell'uomo che la implora con passione ed insistenza. Gesù dice ai suoi apostoli: «Quando verrà lo Spirito Santo egli vi guiderà alla verità tutta intera... Egli vi ricorderà ogni cosa»: è lo Spirito Santo che ci ricorda la fedeltà di Dio e ci dona la forza per incarnare nella nostra vita questa fedeltà.
Fedeli a Dio diventiamo, automaticamente, fedeli alla vita. Una via senza fedeltà è una vita umiliata, squallida. La fedeltà è apertura al mistero, ad una dimensione più grande di noi, è accoglienza di un disegno per la nostra vita, un disegno che supera I 'umano e si rivela, giorno dopo giorno, nei gesti concreti della vita.
Innamorati del volto di Dio, della sua fedeltà, finiamo per innamorarci sempre più della vita e sperimentiamo quanto bello diventi il tempo che viviamo nel sogno e nella speranza dell'eternità.


LA RIFLESSIONE

La fedeltà
è frutto dello Spirito Santo


La fedeltà di cui parla S. Paolo nelle sue lettere è la fedeltà stessa di Dio, quella, cioè, che Egli dona a coloro che sono suoi. Essa è la caratteristica più saliente di Dio che emerge dalla Sua progressiva autorivelazione e sottende tutta la storia della Salvezza. In questo senso è interessante notare il forte contrasto tra la fedeltà di Dio e l'infedeltà dell'uomo, del Popolo eletto. Da Adamo in poi, l'uomo fa continuamente esperienza da una parte della sua fragilità e dall'altra dell'Amore incredibile di Dio, fedele a se stesso ed alla sua promessa, al punto che non si arrende mai, ma prende l'iniziativa per andare incontro all'uomo che si è allontanato.
La fedeltà non è mai cosa semplice e gratuita; essa va pagata personalmente. Così anche Dio, come Abramo, è disposto a sacrificare il Suo Figlio unigenito per rimanere fedele. La sua è la fedeltà alla promessa di salvezza che aveva più volte fatto e rinnovato all'uomo tramite i suoi profeti. La fedeltà di Dio è il segno più tangibile della Sua Onnipotenza e grandezza, perché «solo il Signore è fedele per sempre» (Salmo 146).
L'uomo non è capace di tanto. Dalla creazione, infatti, egli si mostra infedele e rompe il patto che aveva con il suo creatore. E' il peccato di Adamo, che ha lasciato una profonda traccia in ciascuno di noi. L'infedeltà di Adamo si traduce in una infedeltà ad una relazione fondata sull'Amore. Dunque una infedeltà che nasce all'origine, dopo la creazione, e che si protrae nella storia di ogni uomo. Ogni uomo nasce con questa tentazione fondamentale dentro di sé: fare di se stesso il centro del mondo, essere colui che può decidere il bene e il male. Chiuso in sé, automaticamente l'uomo si chiude a qualsiasi possibilità di vera e profonda relazione. E' questa la più grande solitudine del peccato. E' il peccato originale che limita e condiziona la nostra più profonda realtà di figli di Dio, chiamati a vivere l'immagine e la somiglianza di Dio secondo cui siamo stati creati. Quasi che fosse una seconda pelle che costringe l'uomo a vivere secondo i suoi criteri. A questo punto l'uomo non può far altro che costatare la sua umana impotenza. Ecco, dunque, perché la fedeltà non può che essere frutto dello Spirito Santo, non può che avere in Dio la sua fonte ed essere il riflesso della Sua fedeltà.
La fedeltà cristiana, infatti, non è un atteggiamento stoico, basato sulla coscienza o sul desiderio di essere un uomo perfetto; essa è ispirata dall'amore di Dio e di Gesù Cristo. E' il Loro Amore fedele che si cerca di imitare ed al quale si vuole rispondere: fedeli alla volontà di Dio per amore.
Se manca questa forza interiore, l'esattezza esteriore diventa fariseismo. Frutto dello Spirito Santo, la fedeltà ha bisogno di trovare nell'uomo un terreno adatto e disponibile perché essa possa fruttificare, senza perdersi in una pia intenzione sterile e vuota.
Essere fedeli significa essere persone mature, coscienti di sé e delle proprie responsabilità, ma soprattutto capaci di portarle avanti queste responsabilità. Infatti nella vita non è difficile fare delle scelte, ma è il portarle avanti fino in fondo che costa sofferenza e sacrifici personali.
Per questo la fedeltà deve essere vissuta dinamicamente, cioè va accettata ed amata ogni giorno, riscoprendone la novità tra le pieghe della "normalità". Va fondata sul mistero dell'Amore fedele di dio che si dona totalmente all'uomo ed all'uomo dona il suo Spirito perché egli possa amare con lo stesso amore totale e fedele.
Il nostro mondo ha bisogno di persone affidabili che sappiano testimoniare, prima di tutto con la loro vita, la fedeltà di Dio. Come S. Paolo, tutta la Chiesa ha sempre tenuto a sottolineare che le singole vocazioni specifiche (matrimonio, vita religiosa, sacerdozio...) hanno la funzione di essere, in modo diverso ma complementare, segni e testimonianza efficace della fedeltà di Cristo alla sua Chiesa. Per questo ogni cristiano, in forza dello Spirito Santo ricevuto nel Battesimo e confermato nella Cresima, ha nuovamente e definitivamente la possibilità di vivere l'esperienza dell'intimità con Dio, ed è per vocazione chiamato ad essere un segno contagioso per le strade del mondo.

Jhonny Libbi



LA SCHEDA BIBLICA

Nell'Amore del Dio Fedele

1 Corinti 1,9: «Fedele è Dio dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro».

1 Tessalonicesi: «Colui che vi chiama è fedele e farà tatto questo...».

2 Tessalonicesi 3,3: «Il Signore è fedele: Egli vi confermerà e vi custodirà dal maligno».

Matteo 5,34-37: «Ma io vi dico: non giurate affatto... sia invece il vostro parlare sì sì, no no: il di più viene dal maligno».

2 Corinti: «Dio mi è testimone verso di voi che la mia parola verso di voi non è sì e no. Il Figlio di Dio Gesù Cristo, che abbiamo predicato tra voi non fu sì e no, ma in lui c'è stato il si».

Apocalisse 2,1 O: «Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita».


La fedeltà, come frutto dello Spirito Santo indica il comportamento caratteristico di chi è abitualmente fermo nei suoi principi, costante nel mantenere le promesse o gli impegni e conseguentemente indica la dote di chi sa essere leale, sincero con la conseguenza di essere "degno di fede", credibile e di ispirare fiducia negli altri Tale fedeltà si applica prima di tutto nel rapporto con Dio quando in modo particolare ci sforziamo di fare la sua volontà e di ascoltare la Sua Parola. Ma implica anche un aspetto interpersonale e comunitario. Fedele è il cristiano che non solo si sforza di compiere la volontà del Signore, ma anche si comporta con lealtà e verità nei confronti degli altri.
La fedeltà, come frutto dello Spirito Santo, è a sua volta il riflesso della fedeltà stessa di Dio. Il cristiano "fedele" è colui che ha accolto la fedeltà di Dio e, per mezzo dello stesso Spirito, la trasforma in fedeltà personale come atteggiamento verso Dio stesso e verso gli altri. Dio è fedele! Questo è il messaggio di tutta la Bibbia e che rifulge in modo chiarissimo in Cristo Gesù: Egli è la fedeltà del Padre al quale ha sempre saputo dire sì, amen! Dio è fedele perché la sua parola non viene mai meno, le sue promesse si realizzano. Dio è fedele perché è verità e noi possiamo aderire con sicurezza alle sue parole degne di totale fiducia perché le sue parole sono «certe e veraci» (cf. Apoc 22,6). Pertanto noi non solo crediamo in Dio, ma siamo anche sicuri di Lui, ci fidiamo di Lui, ci affidiamo a Lui: quello che Dio dice è certamente vero, quello che promette ce lo aspettiamo con assoluta sicurezza. E su questa linea che dobbiamo capire la fedeltà del cristiano, quindi la nostra. Dio ci chiede di essergli fedeli fino alla morte: di rispondere al sì che Lui ha detto a noi con un sì forte e deciso, con lealtà e sincerità.
Ma c'è una dimensione interpersonale e comunitaria nella fedeltà, frutto dello Spirito Santo. Anzitutto essa si manifesta nella coerenza della nostra condotta per cui diveniamo "degni di fede" e gli altri possono fidarsi di noi. Se consideriamo pertanto la fedeltà da questo punto di vista possiamo definirla come una virtù deiforme in quanto è propria di chi ha ricevuto dall'alto, dallo Spirito di Dio, l'effusione del suo Amore.
Chi è fedele manifesta un amore tutto particolare per la verità, fuggendo con orrore ogni menzogna ed ipocrisia. Ma agisce mai per apparire, per farsi notare, per acquistare fama o popolarità, per farsi notare ad ogni costo, per fare bella figura davanti agli occhi altrui. Fugge la malizia, la frode, ama la sincerità e la trasparenza ad ogni costo. Pertanto il Signore lo rende capace di meritare la fiducia: in altre parole chi è fedele è sempre uno di cui ci si può fidare. Per ciò stesso è uno che sa dare fiducia, poiché la «carità tutto crede» (cf. 1 Cor 13,7). Dare fiducia è quell'atteggiamento di carità verso il prossimo che può essere descritto come «fiducia creatrice», in quanto fa appello alla bontà altrui, moltiplica le sue risorse, sveglia le sue forze di iniziativa nel bene, incoraggia nel cammino verso Dio e a vantaggio degli altri. Chi è fedele esclude dunque dalla sua via sospetti e differenze ma sa avere in ogni cosa discrezione e prudenza.

* Dio è fedele: la sua parola è certa. Come rispondi alla fedeltà che Dio ha per te? Ti prendi gioco di Lui? Sei sincero con Lui? Hai cominciato sul serio a dirgli di sì?
* Qual'è il grado della tua fedeltà nei confronti degli altri? Ami la sincerità? O c'è ancora menzogna ed ipocrisia nella tua vita?
* Con il tuo modo di comportarti ispiri fiducia? Sei degno di fiducia? Sai anche dare fiducia agli altri?

p. Augusto Drago



IN CAMMINO CON MARIA

Maria, la donna fedele all'Amore


Nella "hit-parade" dei valori che la società, con i suoi modelli culturali, propongono oggi ai giovani, la fedeltà non è certo al primo posto. Si inneggia alla libertà, all'amore, all'indipendenza... la fedeltà, invece, è considerata "cosa" d'altri tempi, una sorta di "palla al piede" che impedisce di vivere e di esprimersi in pienezza. In realtà la fedeltà ha un valore quanto mai attuale, una sfida, al compromesso facile e comodo, che non tutti accolgono perché richiede il coraggio e l'audacia di essere coerenti a dei principi e a delle scelte, anche quando queste sono controcorrente rispetto alla mentalità comune.
Fedeltà, quindi, come lealtà, come costanza nell'amicizia e negli affetti, ma soprattutto come espressione piena dell'amore ,perché solo l'amore vissuto nel sincero dono di sé si traduce in fedeltà.
Per il cristiano che cammina alla sequela di Cristo «Via Verità e Vita», la fedeltà non è un "optional" ma una responsabilità alla quale non può sottrarsi; è un impegno che lo coinvolge, totalmente e che trae la sua forza e il suo alimento da un unica sorgente: la fedeltà stessa di Gesù, obbediente al Padre fino alla morte, perché si realizzasse il suo disegno di salvezza.
Dio che dall'eternità ha predestinato l'uomo ad essere suo figlio adottivo (cfr. Ef 1,4-5) «conforme all'immagine del figlio suo» (Rom. 8,29), in Gesù Cristo si rivela come il «Dio fedele a se stesso, fedele al suo amore verso l'uomo e verso il mondo» (Redemptor hominis, 9).
Egli si dona all'uomo e lo invita alla comunione con se nel figlio, mediante l'azione dello Spirito, perché è Cristo - Verbo Incarnato - che «rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela - anche -pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (GS 22).
Per ritrovare se stesso l'uomo ha bisogno, quindi, di percorrere la via di assimilazione a Cristo. In questo cammino lo Spirito Santo si rende presente nel suo cuore, in tutto il suo essere e lo guida verso la «verità tutta intera». La fedeltà, infatti, non è un traguardo che si raggiunge una volta per sempre e con le sole forze umane, ma è il frutto di una profonda "amicizia" con lo Spirito, il quale «viene in aiuto della nostra debolezza» (Rom 8,26) e ci aiuta a corrispondere, giorno per giorno, all'iniziativa libera e gratuita del Dio-Amore, con altrettanta libertà e generosità.
Maria di Nazareth si presenta a noi come il modello della creatura pienamente realizzata in Dio. In lei si manifesta il miracolo di una reciprocità assoluta fra il dono e l'accoglienza, fra la grazia e la fede; reciprocità che è essa stessa un dono di grazia, il dono particolare dello Spirito che ha operato in lei in maniera eminente ed esemplare.
La presenza dello Spirito si realizza in Maria in un contesto di libertà e di amore, di chiamate e di risposta vissuta nella fedeltà. Totalmente abbandonata in Dio e docile all'azione dello Spirito, Maria ha saputo ripetere ogni giorno, nella fedeltà e nella coerenza della fede, nei momenti di gioia come in quelli di prova e di dolore il «sì» libero e incondizionato pronunciato a Nazareth.
«Sì» al Tempio, quando Simeone le predice che «una spada trafiggerà la sua anima» (Lc 2,35). «Sì» nella vita nascosta a Nazareth dove «conservava e meditava ogni cosa nel suo cuore» (Le 2,19.51). «Sì» al Figlio «che le sembrava dire 'Seguimi' ancor prima di rivolgere questa chiamata agli apostoli o a chiunque altro» (Redemptoris Mater, 20).
«Sì» sotto la croce dove si associa pienamente al sacrificio del figlio per la salvezza di tutti gli uomini. «Sì» alla missione speciale che il Figlio le affida nella Chiesa come «Madre di tutti i redenti».
«Maria, la prima e perfetta discepola di Cristo, che all'annunciazione si è definita "la serva del Signore" è rimasta per tutta la sua vita terrena fedele a ciò che questo nome esprime» (Redemptoris Mater, 41).
Ella è la vergine fedele che ha «avanzato nella peregrinazione della fede» (Lumen gentium, 58) e nella conoscenza del mistero del Figlio, alla cui persona e opera aveva consacrato tutta se stessa. Maria è fedele nel cercare Dio con umiltà e amore, è fedele nell'accogliere con totale disponibilità la sua volontà, è fedele nel vivere l'autenticità della propria identità di donna, di madre, di discepola.
La fedeltà di Maria è un'ubbidienza di fede al Dio che le si rivela. Sulla Sua parola lei rischia tutta la propria vita.
Da quest'umile e pur grande fanciulla di Nazareth apprendiamo una grande lezione di coraggio e di fede. Maria ci insegna che la fedeltà si vive nella libertà, nella scelta quotidianamente ripetuta di aderire alla volontà del Signore, e ci dice che l'unica strada per realizzare pienamente se stessi è quella dell'abbandono fiducioso in Dio che - come aveva cantato nel Magnificat - non viene mai meno alle sue promesse e al suo amore per l'uomo.

È questa la strada che ha percorso anche S. Massimiliano Kolbe, fedele fino alle estreme conseguenze, alla sua vocazione cristiana e religiosa e a quel programma di vita che, ancora molto giovane, durante gli esercizi spirituali del 1920, tracciò per sé. «Devo essere Santo, quanto più grande possibile. Devo salvare me stesso e tutte le anime, presenti e future. Voglio fuggire con tutte le forze il peccato. Mi impegno ovunque a portare la pace e la bontà» (Scritti, 970). Un programma arduo, di un giovane generoso ben cosciente che la santità è una conquista personale, un impegno costane e faticoso da vivere soprattutto nella fedeltà: Un programma che Massimiliano raccomanda anche ai suoi frati: «Esigo che siate tutti santi... la santità non è un lusso è un do vere ", e scrive loro la formula della santità, quando la nostra volontà sarà conforme alla volontà di Dio, v = V, allora noi saremo santi».
E' questo il segreto che S. Massimiliano ha appreso alla scuola di Maria. Segreto che seppe incarnare nella sua vita, interamente vissuta nella fedeltà a Dio, alla Chiesa, all'uomo, dimentico di sè e tutto proteso al bene delle anime, missione «per la quale - egli dice - torna conto di vivere, lavorare, soffrire e anche morire» (Scritti, 31).
E padre Kolbe vive, lavora, soffre fino a dare la vita per il fratello perché sa che la fedeltà a Cristo ha esigenze radicali, esigenze di dedizione piena.
La testimonianza di vita di S. Massimiliano Kolbe possiede una particolare e penetrante eloquenza. Essa ci scuote dal torpore in cui spesso cadiamo e ci invita ad accettare, nel nostro mondo e nella nostra società, l'impegno della fedeltà di ogni giorno e a recuperare, così, la gioia di appartenere a Cristo.
Non è un impegno facile, certo, e non lo fu neanche per Padre Kolbe ma... è l'unico modo per collaborare con lo Spirito Santo, realizzando così un progetto di vita veramente riuscita e felice.

Augela Savastano



CON FRANCESCO, «UOMO NUOVO»

Francesco,
il «servo buono e fedele»


«Saluto voi tutte sante virtù che per grazia e lume dello Spirito Santo siete infuse nei cuori dei fedeli, affinché le rendiate da infedeli fedeli a Dio» (Fonti Francescane, 260).
Spesso San Francesco ripeteva ai frati: «Nessuno deve lusingarsi con ingiusto vanto per quelle azioni che anche il peccatore potrebbe compiere. Il peccatore - spiegava - può digiunare, pregare, piangere, macerare il proprio corpo. Ma una sola cosa non gli è possibile: rimanere fedele al suo Signore. Proprio di questo dobbiamo gloriarci, se diamo a Dio la gloria che gli spetta, se da servitori fedeli attribuiamo a lui tutto il bene che ci dona» (FF. 718).
Da questi due brani emerge chiara nella coscienza di Francesco la consapevolezza che la fedeltà è prima di tutto un dono da invocare da Dio e solo in seguito un impegno consegnato alle forze dell'uomo. Egli sa per esperienza che senza l'aiuto di Dio potrebbe ritornare alla vita scialba e insignificante di prima. La mancanza di Dio e il non avere una pienezza di significato per l'esistenza gli aveva trapassato il cuore negli anni giovanili precedenti la conversione.
Ma anche dopo la conversione il suo cuore è continuamente esposto al rischio di lasciare tutto. Fedeltà e dubbio, fedeltà e debolezza si mescolarono nel suo animo. E non poteva essere diversamente perché il dono di Dio non toglie all'uomo la sua condizione di creatura, anzi, ve lo immerge pienamente.
La vicenda umana di Francesco porta il segno di una vita che si è fatta quotidianamente confidando unicamente e totalmente sulla fedeltà di Dio. Francesco sa che di nostro abbiamo solo i vizi ed i peccati. La fedeltà è di Dio, ma egli ha una voglia matta di darcela, di comunicarcela.
Francesco sentì nel cuore la debolezza della creatura, la sua fragilità. Più volte il tentatore, soprattutto nei momenti cruciali della sua vita e di quella del suo Ordine, insinuò nella sua mente il dubbio, lo scoraggiamento e quasi la inutilità della sua vita penitente. Il roseto della Porziuncola sta lì a testimoniare la fatica della fedeltà e, al tempo stesso, la sua volontà fermissima di essere fedele a Cristo.

Nel rigore di un inverno, non capito dai suoi, sentì pungente nella sua vita la solitudine, la voglia di un affetto che temperasse quella solitudine... Fabbricò pupazzi di neve per ricordare a se stesso che era ancora capace di avere moglie e figli, piantando tutto e smettendo la sua vita di penitente innamorato del Vangelo. La sua fedeltà, la sua tenacia ci sgomenta... Noi siamo così lontani; la nostra fedeltà assomiglia molto alla rugiada che il primo raggio di sole fa sparire...
La fedeltà di Francesco poggia forse su di un carattere forte e tenace; è dono di natura o è conquista? Se fosse solo carattere dovremmo rassegnarci, invidiando la sua forza, mentre a noi non resterebbe che compiangerci per la nostra poca forza.
Eppure non è così. La sua fedeltà non è solo tenacia né volontarismo che non conosce tentennamenti. La fedeltà di Francesco, la sua virtù, non è solo conquista, anzi, è più dono che impegno; o, semmai, è docilità al dono che si traduce in tenacia e coraggiosa adesione.
Francesco è l'uomo dello Spirito Santo; dallo Spirito Santo si è fatto plasmare. Ha accolto e assecondato il suo operare ed egli ci appare solido e tenace.
Fu fedele al Vangelo di cui fu un assiduo ascoltatore; fedele alla Chiesa che amò teneramente come madre e servì con umile sottomissione; fedele alla vita promessa fino ad essere una copia fedelissima di Gesù povero e crocifisso...
Come è bella la fedeltà di Francesco... Giace nudo sulla terra, andando incontro alla morte, come quando nudo fu accolto paternamente sotto il mantello del Vescovo di Assisi all'inizio della sua conversione... Tutta la sua vita è intrisa di fedeltà, di appassionata fedeltà.
Lo Spirito che forgia i figli di Dio e li fa forti e fedeli ha mirabilmente operato nel Poverello. Egli è la manifestazione della potenza dello Spirito del Signore.
Guardando Francesco, incontrando la sua fedeltà, sentiamo crescere in noi la voglia di essere anche fedeli a Dio come lui. Dio, che ha reso fedele Francesco, trasformi in fedeltà la nostra povertà e incostanza.

p. Giancarlo Corsini




ALLA RICERCA DI CONCRETEZZA

Fedeltà,
per vivere nella pienezza

La fedeltà è condizione essenziale alla vita: non si vive nella occasionalità, non si vive se ci si lascia trascinare da facili entusiasmi cui seguono inesorabili delusioni... La vita è continuità e si fa, attimo dopo attimo, nel mio «sì» libero e generoso davanti alle proposte ed alle sfide che essa mi pone. Non posso sottrarmi ad alcun attimo; non posso nascondermi davanti alle situazioni che mi sembrano più forti e più grandi delle mie possibilità. La sfida è sempre proporzionata alla grazia che ti è data per scegliere e decidere in libertà: non sei solo, ma puoi contare sull'appoggio di chi nella vita ti ha proiettato ed in essa ha creato per te tutte le condizioni giuste perché tu sia felice. Ma occorre esser fedeli alla vita, fedeli in ogni circostanza.
La fedeltà non è una qualità connaturata al nostro cuore. Il peccato originale ha seminato illusione dentro di me e mi ha distratto dall'essenziale: l'appartenenza ad un discorso più grande, ad un progetto che mi supera e mi entusiasma. Chiuso nelle mie illusioni, braccato dai miei problemi, facilmente sfuggo alla responsabilità e mi sottraggo alla fedeltà che il momento storico che sono chiamato ad incarnare richiede. Ecco perché dobbiamo implorare il dono della fedeltà, che è un frutto dello Spirito Santo.
Una revisione di vita su questo affascinante tema della fedeltà può partire solo da una dimensione diversa della vita, da una logica più grande del mio punto di vista e dalla mentalità dominante. Dio è entrato nella storia per dimostrare la Sua fedeltà ad un progetto: Egli da sempre ha pensato e voluto l'uomo in cammino verso una pienezza; il tempo è solo la palestra in cui l'uomo è chiamato ad esercitare la libertà in scelte che edifichino, attimo dopo attimo, questo disegno eterno. Solo quando si accetta Dio come protagonista e come regista di questa nostra storia è possibile trovare un aggancio al discorso della fedeltà. Se non è così, tutto è davvero occasionale, tutto è transitorio, tutto è piccolo, talmente piccolo che diventa poco degno di esser vissuto... L'importanza di questo cambio di mentalità è relativa soprattutto ai rapporti umani: nessuno può legarmi ad una persona, in un rapporto costruttivo e duraturo, se non c'è dietro un progetto più grande di me più lungimirante del mio semplice "poter vedere o capire".

A. Giovanissimi

Un ragazzo cresce nella misura in cui è capace di "stare" al gioco della vita, anche quando questa vita dovesse diventare faticosa ed impegnativa... La fedeltà al proprio dovere quotidiano, nei rapporti con le persone, allo stare in casa, anche quando fuori tutto è calamitante e distraente... è il segno che si stanno assumendo delle responsabilità e che si stanno facendo dei passi avanti nella maturità che un domani farà felici.
* Sono capace di "pagare" per il m io dovere? Mi capita di sfuggire le cose che non sono di mio gusto?
* La mia fedeltà al Signore è più forte del fascino della mentalità della strada che, con tutti i suoi discorsi, vorrebbe allontanarmi dal Lui?
* Sono io a trascinare i miei amici verso l'impegno la serietà, la fedeltà, oppure mi faccio trasportare facilmente da loro verso il disimpegno ed il qualunquismo?

B. Giovani

Un giovane può misurare la propria capacità di fedeltà dal confronto con le cose che richiedono libertà interiore, superamento dell'istinto, atteggiamenti di novità. La mentalità dominante tende a sottolineare il "tutto scontato", la gratuità delle cose e la pretesa nei confronti della vita; un giovane che voglia farsi educare dal Signore cammina su strade diverse e sa molto bene che solo un solido fondamento permette alla casa di rimanere in piedi e di sfidare le tempeste. La fedeltà alle piccole cose di oggi è garanzia per la fedeltà nel grande gioco della vita che un domani si presenta davanti con tutte le sue sfide...
* Mi pongo ogni giorno il problema della mia fedeltà alla vita nella sua concretezza? Sento come grave peccato il lasciar scorrere il tempo senza che lo viva come dono?
* È entrata nella mia esperienza la mentalità "mondana" secondo la quale tutto mi è dovuto senza che io sia chiamato a pagare nulla? Come mi difendo da questo "scontato" che rappresenta la morte dell'entusiasmo e del senso della conquista?
* Sognare amore vuoI dire sognare Dio, perché «Dio è Amore»: ho mai pensato che non c'è amore senza fedeltà ? Se non so essere fedele agli appuntamenti che il Signore mi dà, in base a cosa sarò domani fedele alla persona che Dio mi porrà accanto?

C. Giovani coppie

L'esperienza dell'amore tra l'uomo e la donna è esperienza di una dimensione di vita che incontra il mistero. Dio ha deciso di farsi presente, sacramentalmente, nel rapporto uomo-donna e attraverso esso manifestarsi al mondo. La coppia incarna
l'amore come dono e come segno. Se non si fa esperienza profonda della fedeltà di Dio nei propri confronti, sarà impossibile incarnare l'esperienza di fedeltà nella coppia. Si richiede alla giovane coppia un costante ritorno alla sorgente della propria storia, una storia che non può essere mai "ridotta" ad una dimensione umana, ma invoca sempre l'infinito, il Dio-Fedele che Israele conosce nella propria storia concreta di popolo e la Chiesa vive nella propria esperienza di Salvezza.
* Ci interroghiamo sul significato della nostra storia? Riusciamo ad incontrare il Signore in essa nelle manifestazioni tipiche della Rivelazione (Dio eterno unico e fedele)?
*A volte la fedeltà chiede eroismo perché prende tutta la persona e chiede il tutto anche nei momenti di buio... Non è però in questi momenti che si manifesta che la storia che stiamo vivendo non è nostra ma è del Signore ed è il Signore che opera in essa?
* Cosa vuol dire per noi "santità nell'amore" alla luce di un cammino di fedeltà nel Signore e con il Signore nel piccolo quotidiano?

D. Catechisti

Il catechista è chiamato dal Signore a sperimentare in prima persona l'azione liberante dello Spirito. Solo chi ha incontrato il Signore così nella propria vita potrà annunciarlo in modo affascinante.
* Solo l'amore educa all'amore, è solo la fedeltà offre garanzie ad una vita nell'amore. Educo i miei ragazzi alla fedeltà ai gesti della fede, anche quando non nascono da spontaneità e da entusiasmo?
* Attraverso la storia della Salvezza, riesco a presentare ai miei ragazzi l'immagine del "Dio fedele " che non abbandona mai ed è sempre pronto a tendere la mano ai suoi figli?

La fedeltà qualifica la vita, la rende interessante perché la collega ad una esperienza più grande della semplice dimensione umana, riportandola in seno al Dio-Fedele che edifica una storia attraverso il «sì» libero e fedele dei suoi figli. Solo in questa dimensione ci sentiamo vivi in pienezza e riusciamo a fare della nostra vita un annuncio di pace e di speranza.

p. Silvano Castelli


PER LA PREGHIERA

L'amore dei Dio fedele


La fedeltà, in quanto frutto dello Spirito, merita una attenzione particolare. Essa può avere un senso attivo, indicando colui che dà fede a Dio, si affida a Lui; e un senso passivo, riferendosi a Dio, fedele e leale, che è degno di fede e ispira fiducia, al quale ci si può abbandonare completamente e senza paura di essere ingannato.
La fedeltà a Dio fa sì che i cristiani possono aderire con sicurezza alle sue parole, degne di totale fiducia. Tale fedeltà si pratica prima di tutto nel rapporto con Dio, cioè nell'adempimento della sua volontà. Ma fedeltà come frutto dello Spirito ha anche una connotazione comunitaria. Il cristiano «fedele» sarà propenso a dare fiducia agli altri, a credere in loro ed è disposto alla confidenza fraterna. La fedeltà come frutto dello Spirito è una caratteristica del credente, fedele e fidato, che è radicato nella carità; essa è una forma stessa della carità.

Canto di inizio

Signore, ti riconosco Dio magnanimo. Insuperabile nell'effusione dei tuoi doni al mondo e della tua grazia all'uomo, accogli il mio adorante stupore. La tua bontà lo suscita.
Il mondo l'impronta del tuo essere porta e la maestà rivela di tua grandezza.
Rimanda il creato il riverbero di tua magnificenza.
A chi ti cerca, con cuore sincero, tu doni te stesso: senza misura.
Non i tuoi doni soltanto: te stesso elargisci.
Tu, Signore, il tuo essere a me partecipi lume d'intelligenza. fervore di carità, vigore di volontà.
Tu sei grande. Mandami il tuo Spirito, che è per essere dono; mi educhi alla generosa dedizione di me stesso, al tuo e all'amore dei fratelli.
Il mistero della vita trinitaria. Signore, è amoroso scambio che si celebra ininterrottamente fra te, o Padre, e il Figlio tuo dilettissimo sollecita il mio spirito al dono di me stesso. E non già poi quando mi conviene, mi piace, mi giova, né quando mi aggrada, io cerchi e promuova. Educami Signore, al dono di me stesso agli altri. Mi introduca lo Spirito Santo nello spazio della massima liberalità.
Fino al sangue, Signore! Amen!

Breve pausa di silenzio
In ascolto della Parola di Dio - 1 Corinti 1, 1-16.
La fedeltà di Dio: Dio è fedele. Egli è fedele nelle sue promesse e alle sue promesse, cioè egli non solo promette, ma si dimostra costante in quello che ha promesso.

Breve pausa di silenzio

In ascolto della Parola di Dio -2 Giovanni 1-9.
Dio è fedele e chiede fedeltà a noi. E fedele è colui che stima e pratica la verità, regola abituale di ogni azione, e via sulla quale camminare.

Breve pausa di silenzio

Preghiera di abbandono
Padre mio, io mi abbandono a Te, di me fa' ciò che ti piace, qualunque cosa tu faccia di me, ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto, purché la tua volontà si compia in me e in tutte le tue creature;
non desidero nient'altro, mio Dio. Depongo la mia anima nelle tue mani te la dono, mio Dio, con tutto l'amore dei mio cuore, perché ti amo.
Ed è per me un 'esigenza d 'amore il donarmi, il rimettermi nelle tue mani senza misura. con confidenza infinita, poiché tu sei il Padre mio. (Charles De Foucauld)

Breve pausa di silenzio

Dalle Fonti Francescane, n. 2155
Fedeltà vuoI dire anche perseverare nella verità, fiduciosi che Dio mantiene le promesse fatte. Fedeltà vuoI dire non voltarsi indietro, non dimenticare tutto ciò che Dio ha compiuto per te, in te.

Silenzio di adorazione
Canto, o canone meditativo
Preghiere spontanee Canto del Padre nostro
Breve pausa di silenzio

Preghiera conclusiva
Rapisca ti prego, Signore l'ardente e dolce forza del tuo amore, la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell'amor tuo, come tu ti sei degnato di morire per amore dell'amor mio.
(S. Francesco)

Canto finale
p. Albino Tanucci
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