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Le Crociate, Chesterton in Breve storia d'Inghilterra

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view post Posted on 9/9/2014, 16:53

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L'Età delle Crociate
L'ultimo capitolo ebbe inizio, con apparente irrilevanza, col nome di Sant'Edoardo; e questo potrebbe benissimo iniziarsi col nome di San Giorgio. La sua prima apparizione, come si racconta, quale patrono del nostro popolo, avvenne per istanza di Riccardo Cuor di Leone durante la sua campagna di Palestina,
Laddove il Confessore è un personaggio nella storia inglese, San Giorgio, a parte il posto che occupa nel martiriologio come soldato romano, non può considerarsi un personaggio né nella storia inglese né in nessun'altra. Ma se noi desideriamo comprendere la più nobile e la più negletta delle rivoluzioni umane, dobbiamo prendere in considerazione il paradosso per cui molto progresso e molta luce di civiltà si ottennero col passaggio dalla cronaca al romanzo.
In qualsiasi angolo intellettuale della modernità si può leggere qualche frase analoga a quella che mi è capitata di recente in una polemica giornalistica: « La salvazione, come molte altre buone cose, non deve venirci dal di fuori »; chiamare esterna e non interna un'entità spirituale è la principale maniera che usano i modernisti per lanciare la loro scomunica. Ma se il nostro oggetto di studio è medioevale e non moderno, dobbiamo opporre a questa evidente banalità l'idea completamente opposta; vale a dire, dobbiamo metterci nella posizione di uomini che pensano che quasi tutte le cose buone vengono dal di fuori, precisamente come le buone notizie.
Devo confessare che in questo argomento le mie simpatie non sono imparziali, e che la frase di giornale sopra menzionata mi colpisce come una mazzata in quelle che sono le mie opinioni circa la natura stessa della vita. Per quanto mi consti personalmente, un bambino non ricava il miglior cibo materiale succhiandosi il pollice e del pari un uomo non ritrae il miglior cibo morale succhiandoci l'anima e negando la sua dipendenza da Dio. Io sosterrò sempre che il ringraziamento è la più alta forma di pensiero, e che la gratitudine non è altro che una felicità raddoppiata dalla sorpresa.
Questa fede nella recettività di cose che sono al di fuori di noi, viene qui messa avanti al solo intento di spiegare ciò che ogni interpretazione di questa epoca dovrebbe sempre rendere chiaro. In nessuna cosa il tedesco moderno è più moderno, o più pazzo, che nella sua mania di trovare un nome tedesco per ogni cosa; si mangia il vocabolario, ovverossia, in altre parole, si morde la lingua. Di contro gli uomini del Medio Evo in nessuna cosa erano più liberi e assennati che nel far propri nomi e emblemi che venivano da oltre i loro più cari confini.
I monasteri non solo accoglievano spesso lo straniero, ma anche quasi lo canonizzavano; un autentico avventuriero come Bruce fu fatto salire sul trono e ringraziato, come se fosse realmente un cavaliere errante. Del pari, comunità appassionatamente patriottiche assai sovente assunsero uno straniero per santo patrono; e così moltitudini di santi erano irlandesi, ma San Patrizio non era tale. Così pure, via via che gli Inglesi s'avviavano a diventare nazione, si lasciarono dietro gli innumerevoli santi sassoni, trascurarono non solo la santità di Sant'Eduardo ma anche la sicura fama di Alfredo, e si misero ad invocare san Giorgio, un eroe per metà mitico che era andato a combattere in un deserto orientale contro un impossibile mostro.
Quella transizione e quel simbolo non sono altro che le Crociate. Nel loro essere contemporaneamente romanzo e realtà, esse furono il primo esperimento degli Inglesi per istruirsi non solo dall'esterno, ma anche dal remoto. L'Inghilterra, come tutto ciò che è cristiano, aveva prosperato su cose esterne senza vergognarsene. Dalle strade di Cesare alle chiese di Lanfranco, aveva chiesto e ottenuto il suo cibo da Dio.
Ora le aquile avevano spiegate le ali, fiutando un più lontano massacro: esse cercavano le cose estranee invece di riceverle. Gli Inglesi erano passati dalla recettività all'avventura, dando principio all'epopea delle loro navi. Se si volesse esporre la storia del grande movimento religioso che travolse l'Inghilterra insieme con tutto l'Occidente, si dovrebbe dilatare questo libro fino a fargli assumere proporzioni immense; tuttavia, sarebbe più opportuno fare ciò che disfarsene con quel tratto distante e freddo che usano di solito gli scrittori di brevi sammari. L'inadeguatezza del nostro metodo insulare nella storia popolare trova la sua conferma più evidente nella maniera come viene trattato Riccardo Cuor di Leone; la sua storia è raccontata dando per implicito che la sua partenza per la Crociata fu qualcosa di simile alla scappatella di uno scolaretto che monta su una barca e si allontana dalla riva. Fu, da questo punto di vista, una perdonabile ed anche amabile birichinata.
La verità è però che Riccardo va paragonato ad un inglese dei nostri giorni che, con piena coscienza di ciò che fa, si avvii verso il fronte di battaglia. La cristianità era presso che una nazione, e il fronte erano i Luoghi Santi. Che Riccardo avesse un temperamento avventuroso e anche romantico, è vero, per quanto non sia una cosa arbitrariamente romantica per un soldato nato compiere il suo lavoro come meglio può.
Quindi, niente scappatelle, niente birichinate. L'ingiustizia di questa tesi, che tenta di diminuire la parte avuta dalla storia inglese in quella più generale dell'Europa, risalta a prima vista se si tien conto dell'assenza abituale di paragoni con il Continente. In effetti ci basta attraversare lo Stretto di Dover per scoprire tutto il lato sofistico di tale tesi. Filippo Augusto, il contemporaneo di Riccardo in Francia, aveva fama di essere uno statista particolarmente cauto e di mente fredda; pure, anch'egli parti per la stessa crociata. La ragione è, com'è ovvio, che le Crociate venivano considerate da tutti gli Europei riflessivi imprese della più alta politica e da affrontarsi col più puro senso della cosa pubblica.
Un seicento anni dopo la nascita del Cristianesimo in Oriente e il suo diffondersi verso Occidente, un'altra grande fede era sorta quasi nelle stesse contrade orientali e si era messa a seguire il cristianesimo come fosse la sua gigantesca ombra. Come un'ombra, era nel contempo una copia e l'opposto. Noi gli abbiamo dato il nome dì islamismo o religione di Maometto, e forse la sua caratterizzazione più esplicativa si ha definendolo l'ultimo rigurgito dell'accumulato orientalismo,
o forse dell'accumulato ebraismo, sempre più rigettato indietro via via che la Chiesa diventava europea e il cristianesimo si mutava in cristianità. Il motivo animatore della nuova religione era l'odio contro gli idoli, e dal suo punto di vista l'Incarnazione era in sé stessa un'idolatria. Le due cose che più perseguitava erano l'idea di Dio fattosi carne e quella del suo posteriore mutarsi in legno o pietra. Un esame dell'elemento che covava sotto l'avanzata, simile ad una prateria in fiamme, della conversione cristiana, suggerisce l'ipotesi che questo fanatismo contro l'arte o la mitologia fosse nell'istesso tempo uno sviluppo e una reazione alla conversione, una specie di difesa del diritto delle minoranze fatta dagli Ebrei.
In questo senso, l'islamismo può considerarsi un'eresia cristiana. Le prime eresie erano state rigurgitanti di reversioni ed evasioni dall'Incarnazione, proponendosi esse di salvare il loro Cristo dalla realtà del suo corpo, sia pure a spese della sincerità della sua anima. Cosi, per esempio, gli iconoclasti greci si erano riversati in Italia, facendo a pezzi le statue del popolo e denunziando l'idolatria del papa, finché furono messi in rotta, in una maniera assai simbolica, dalla spada del padre di Carlomagno. Furono tutte le deluse amarezze lasciate da queste repressioni che s'incendiarono a contatto del genio di Maometto e lanciarono dalle ardenti terre una carica di cavalleria che fu quasi sul punto di conquistare tutto il mondo.
E se a questo punto qualcuno fa osservare che non vale la pena spendere parole su una questione orientale in un libro di storia inglese, ebbene, c'è da rispondere che questo volume può sì contenere delle digressioni, ma non è in se stesso una digressione. È assolutamente importante tener fermo che il dio ebraico perseguita il cristianesimo come uno spettro; e ciò dovrebbe essere ricordato in ogni angolo d'Europa, ma specialmente nel nostro. Se qualcuno mette in dubbio tale necessità, che vada a farsi una camminata, entro un raggio di trenta miglia, qualunque sia il posto d'Inghilterra che abiti, e visiti tutte le chiese parrocchiali; s'informi poi perché quella Vergine di pietra è decapitata o manca quel vetro colorato: non mancherà di apprendere allora che non molto fa, anche nei luoghi che gli sono più familiari, ritornò l'estasi dei deserti, e che la sua pallida isola nordica si riempi della furia di nuovi iconoclasti.
Nella sublime e pur sinistra semplicità dell'islamismo c'era un elemento che non conosceva confini: la nuova religione non aveva una casa. Era nata in povere terre sabbiose, in mezzo a nomadi, e poteva andare dovunque perché non veniva da nessuna parte. Tuttavia nei Saraceni del primo Medio Evo la natura nomade che è nell'islamismo era nascosta da un'alta civiltà, più scientifica per quanto meno creativamente artistica di quella contemporanea del cristianesimo. Il monoteismo di Maometto era, o tale appariva, una religione più razionale di quella di Cristo; e questa tendenza a soggiornate nelle sfere della ragione prive di terrestri radici si caratterizzava specialmente in cose astratte, una delle quali, l'algebra, è arrivata sino a noi col suo nome originario.
La civiltà cristiana, che era invece largamente e fortemente istintiva, s'indirizzava verso un'altra direzione. Era piena di affetti locali, che trovavano la loro estrinsecazione in quel sistema di barriere e di steccati che si profilava come un disegno attraverso tutto ciò ch'era medioevale, dall'araldica al possesso della terra. In tutti i costumi e statuti degli uomini del Medio Evo vi era una forma e un colore particolari, come può vedersi nelle cotte d'armi e nei blasoni; qualcosa di chiuso e di gaio nello stesso tempo.
Ciò non rappresentava una deviazione dall'interesse nelle cose esterne, ma piuttosto una parte di esso. Lo stesso saluto che le persone spesso rivolgevano a uno straniero da dietro il muro, era un riconoscimento del muro stesso. Coloro che considerano la propria vita sufficiente a se stessa, non vedono il limite di essa come un muro, ma piuttosto come la fine del mondo. I Cinesi chiamavano il bianco « colui che rompe il mondo ». Lo spirito medioevale amava la parte ch'esso aveva nella vita come una parte, non già come un tutto: la sua posizione privilegiata nella vita derivava da qualcosa d'altro. Si racconta una storiella a proposito di un monaco benedettino che soleva volgere il saluto nel comune bisticcio "Benedictus benedicat"; al che una volta un illetterato francescano rispose: "Franciscus franciscat". È quest'aneddoto come una parabola dell'intera storia medioevale; perché se vi fosse stato un verbo "franciscare" non altro avrebbe potuto significare se non ciò che San Francesco ebbe a compiere. Ma questo più forte misticismo individualistico si trovava ancora nella culla, e il "Benedictus benedicat" può considerarsi il motto del Medio Evo più antico. Intendo con ciò dire che non c'è cosa che non sia benedetta dal di fuori, da qualche cosa che a sua volta è stata benedetta dal di fuori, e così di seguito: solo chi è benedetto può benedire.
Ma il punto che da la spiegazione di tutto il fenomeno delle Crociate è questo: per esse il «di fuori» non era l'infinito, come nella religione moderna. Tutti i «di fuori» erano dei luoghi. Il mistero della località, con tutto ciò che ha di presa sul cuore umano, era presente in tutte le cose più eteree del cristianesimo alla stessa maniera come era assente nelle cose più pratiche dell'islamismo: l'Inghilterra derivava una cosa dalla Francia, la Francia dall'Italia, l'Italia dalla Grecia, la Grecia dalla Palestina, la Palestina dal Paradiso. Era più che naturale che il contadino si facesse benedire la casa dal prete della chiesa parrocchiale, il quale era stato investito dei suoi poteri da Canterbury, che a sua volta era stata investita da Roma. Tuttavia non è da credersi che questa stessa Roma adorasse se stessa, come nell'epoca pagana. Roma guardava verso oriente alla misteriosa culla del suo credo, a una località di cui anche l'umile terra diceva santa. E allorché un giorno vi volse gli occhi, vide la faccia dell'Infedele; vide ergersi nel luogo che era il suo paradiso terrestre un gigante vorace emerso dal deserto e che tutti i luoghi considerava eguali.
Abbiamo ritenuto necessario soffermarci sulle emozioni più intime che animarono le Crociate, perché il lettore moderno è completamante ignaro di quelli che furono i peculiari sentimenti dei suoi padri. La lotta tra cristianesimo e islamismo non fu affatto una semplice lite tra due uomini che volevano ambedue Gerusalemme; fu una faccenda molto più mortale, tra un uomo che voleva Gerusalemme e un altro che non riusciva a capire perché la volesse. Il maomettano, ovviamente, aveva i suoi luoghi santi; però non li aveva mai considerati come un occidentale può considerare un campo o un tetto; non poteva pensare che la santità potesse concretizzarsi in una località. L'austerità che limitava la sua immaginazione, la guerra che continuamente spostava verso altri luoghi e che gli impediva di riposarsi; sono questi i due elementi che lo rendevano estraneo a tutto ciò che prepotentemente erompeva d'ogni parte e fioriva nei nostri patriottismi locali. E questa estraneità se ha dato ai Turchi un impero, non gli ha mai dato una nazione.
Gli effetti di questa avventura contro un nemico possente e misterioso furono di un'importanza semplicemente enorme nella trasformazione dell'Inghilterra, come pure di tutte quelle nazioni che si andavano costituendo fianco a fianco con essa. Anzitutto, molte e straordinarie furono le cose che apprendemmo da ciò che il Saraceno faceva; secondariamente, maggiori e più straordinarie furono quelle altre cose che apprendemmo da ciò che egli non faceva. Vedendo coi nostri propri occhi alcune delle buone cose di cui mancavamo, fummo fortunatamente capaci di imitarlo. Invece, in tutte le nostre buone cose di cui egli mancava, la nostra fiducia in esse venne confermata a tal punto che divenne dura come il diamante. Può dirsi che i cristiani giammai furono così sicuri di aver ragione come quando portarono la guerra ai maomettani. Immediatamente si determinò quella caratteristica e naturale reazione destinata a produrre le cose migliori di ciò che chiamiamo arte cristiana, e specialmente quei grotteschi dell'architettura gotica, che non solo sono pieni di vita, ma anche aggressivamente polemici.
L'Oriente, da un punto di vista ambientale e col suo fascino impersonale, non mancò di certo di stimolare lo spirito occidentale; però lo fece in maniera negativa, determinando cioè una breccia nel comandamento maomettano. In un certo qual modo i cristiani si trovarono nella condizione di caricaturisti, si sentirono cioè costretti a dare un volto a tutti quegli ornamenti maomettani privi dì volto, a dare una testa a tutti quei serpenti decapitati, a posare degli uccelli su tutti quegli alberi senza vita. La statuaria sussultò e si animò del soffio vitale per effetto della proibizione nemica, che cosi diventò una benedizione. L'immagine, solo perché era chiamata idolo, diventò non solo una bandiera ma anche un'arma. Uno sterminato esercito di pietra balzò su tutti gli altari e in tutte le strade d'Europa. In tal maniera gli iconoclasti fecero molte più statue di quanto non ne distrussero.

Il posto che occupa il Cuor di Leone nella tradizione popolare è molto più vicino a quello che gli assegna la vera storia che a quello di un avventuriere senza patria che gli riservano i nostri utilitari testi scolastici. Ma è quasi sempre cosi; ai nostri giorni la credenza volgare è più vicina alla verità storica che non l'opinione cosidetta colta. E questo si spiega facilmente: la tradizione è più vera della moda. Re Riccardo, che fu il tipico crociato, cambiò decisamente l'aspetto dell'Inghilterra andando a coprirsi di gloria nell'Oriente. Il suo genio militare e prestigio conferirono all'Inghilterra qualche cosa che essa poi conservò per quattrocento anni e senza la quale diventa incomprensibile in detto periodo; le dettero la fama di essere all'avanguardia della cavalleria. Il grande ciclo epico della Tavola Rotonda e la devozione dei cavalieri a un re appartengono a questo periodo. Riccardo non fu solamente un cavaliere, ma anche un trovatore; cultura e cortesia vennero per suo tramite a collegarsi all'idea del valore militare degli Inglesi. L'inglese medioevale era anche fiero di essere cortese, il che è, a dir poco, meno peggiore che essere fiero di denaro e cattive maniere; cose queste che gli Inglesi degli ultimi secoli hanno coltivato dando loro il nome di senso pratico,
La cavalleria può esser detto il battesimo del feudalismo. Fu il tentativo di trasferire la giustizia ed anche la logica del credo cristiano in un sistema militare che esisteva di già, di far diventare la disciplina una iniziativa e le ineguaglianze una gerarchla. È allo spirito di rispetto che anima questo nuovo periodo che appartiene l'alto culto della dignità della donna, al quale il significato della parola «cavalleria » viene spesso ristretto, o se si vuole esaltato, Questa fu pure una rivolta contro una delle peggiori lacune della raffinata civiltà saracena. I maomettani erano sotto l'influenza del vecchio sentimento orientale circa la donna e non avevano ricevuto quella speciale ispirazione che era connessa al culto della Vergine. E' falso asserire che il punto di vista cavalieresco sulla donna fosse semplicemente un'affettazione, a meno che non si intenda nel senso che laddove c'è un'affettazione deve necessariamente esserci un ideale.
È la peggior sorte di superficialità non intendere l'influenza di un sentimento generale solo perché è sempre vinto dagli eventi; la stessa Crociata, per esempio, è più potente e presente come sogno che come realtà. Dal primo dei Plantageneti all'ultimo dei Lancasteriani signoreggia una determinata visione dei re d'Inghilterra: come sfondo alle loro battaglie s'intravede un miraggio della Palestina. Non diversamente una devozione come quella di Eduardo I alla sua regina era un motivo assolutamente vero nella coscienza della moltitudine dei suoi contemporanei.
Tuttavia sarebbe un madornale errore storico supporre che le Crociate concernessero solo quella parte superficiale della società per la quale l'araldica era un'arte e la cavalleria una etichetta. Si tratta precisamente del contrario; la prima Crociata specialmente fu un sollevamento popolare assai simile a quei rivolgimenti del popolo che vanno sotto il nome di sommosse o rivoluzioni. Le gilde, i grandi sistemi democratici di quel tempo, videro spesso aumentare il loro prestigio per il fatto che riunivano in corporazione le forze combattenti per la Croce; ma di ciò dovrò occuparmene in seguito. Spesso non si trattava di una leva di uomini, ma piuttosto di un lungo sentiero di famiglie intere, zingari di una nuova specie che si spingevano verso oriente; ed è diventata una nozione comune che dei bambini spesso si organizzavano, così come ora fanno per una scampagnata o un gioco. Ma forse tutto ciò diventerà più chiaro se immagineremo ogni crociata come la Crociata dei Bambini.
Gli uomini allora erano pieni di tutte quelle cose che il mondo moderno adora nei bambini, appunto perché le ha represse negli adulti. Le loro vite erano impregnate, come lo attestano anche i più rozzi resti della loro arte più popolaresca, di ciò che noi tutti da bambini crediamo di vedere al di là della finestra, di qualcosa che rende familiari le terre più distanti e che fa sì che si abbiano sempre a portata di mano i più sconfinati orizzonti. Gli uomini allora sistemavano negli angoli di piccole case i confini del mondo e gli estremi lembi del cielo. La loro prospettiva è primitiva e disordinata, ma pure è prospettiva; non è la piatta uniformità decorativa dell'Oriente, Insomma,il loro mondo, come quello di un bambino, è pieno di raccorciamenti delle distanze, di scorciatoie per i paesi incantati. Le loro carte geografiche sono più stimolanti delle pitture; i loro animali semifavolosi se da una parte sono mostri, dall'altra hanno tutta l'aria di amabili cuccioli. È impossibile descrivere con parole questa vividissima atmosfera; e poi non era solo un'atmosfera, ma anche un'avventura, Queste visioni esotiche andavano effettivamente a visitare ciascuno nella sua casa, mentre invece concili reali e liti feudali restavano comparativamente lontani. I Luoghi Santi erano molto più vicini alla casa di un uomo qualsiasi dello stesso Westminster e incomparabilmente di più di Runymede. Fornire un elenco di re e parlamenti inglesi senza soffermarsi per un momento su questa prodigiosa presenza di una trasformazione religiosa nella vita d'ognuno, è un'insulsaggine la cui enormità può
desumersi sia pure in proporzioni molto minori da un paragone tratto dai tempi moderni e nel quale secolarità e religione figurino in posizioni inverse: immaginiamo infatti che uno scrittore clericale o realista compili un elenco degli arcivescovi di Parigi dal 1750 al 1850 annotando che questo morì di vaiolo, quello di vecchiaia, quell'altro per uno strano accidente occorsogli sotto la mannaia e così di seguito, senza mai menzionare nemmeno una volta la natura, o sia pure soltanto il nome, della Rivoluzione Francese.
 
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