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LA PICCOLA ARABA, Vita di MARIAM BAOUARDY

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view post Posted on 17/5/2015, 09:00

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SANTA MARIAM BAOUARDY - LA PICCOLA ARABA
TRATTA DAI RITRATTI DI SANTI DI ANTONIO SICARI - JACA BOOK
(che se li acquistate fate un piacere a voi stessi)

Ci sono poi epoche storiche particolari in cui gli uomini aggrediscono proprio la fede nella potenza miracolosa di Dio: la deridono, ammirano le proprie opere, le proprie conquiste, le proprie “invenzioni” vantandole come cose mirabili, e negano che Dio c'entri con la vita e ancor più che egli possa regalarci i suoi miracoli.
Allora è come se Dio decidesse di mostrarci tutta la sua divina fantasia: i miracoli e i doni più eccezionali non solo accadono a confortare l'esperienza di qualche Santo, ma sembra che questo viva proprio per permettere a Dio di operare prodigi, e per essere strumento della sua azione divina.
Ci sono Santi davanti ai quali gli increduli possono solo negare, negare, negare e basta: contro ogni evidenza, contro decine e centinaia di testimoni oculari. Perché accettare anche solo la possibilità di quel che viene raccontato scardina ogni loro scientifica certezza.
Così accadde in quella seconda metà del secolo XIX in cui molti falsi profeti sostenevano che “il futuro apparteneva oramai alla scienza”.
Ernest Renan nel suo Avénir de la Science affermava con incredibile sicumera: “Non è solo da un ragionamento, ma da tutto l'insieme delle scienze moderne che scaturisce questa importantissima conclusione: il soprannaturale non esiste”.
E Jules Simon rincarava: “La scienza poggia sulla stabilità delle leggi della natura. Dio non può nulla contro di essa. Se egli esiste non può che somigliare a un satellite che ruota attorno al cosmo, senza alcun influsso”.
Per ambedue, e molti altri con loro, la Scienza era la nuova Religione che intendevano offrire all'umanità, e potevano anche documentarne i vantaggi.
Basta pensare che tutte le “invenzioni” che hanno reso comoda la nostra esistenza, in quest'ultimo secolo, fiorirono a ritmo serrato in quegli anni: dalla bicicletta all'automobile, dal tram elettrico all'aereo, dal telefono alla radio, dal frigorifero all'ascensore, dalla lampadina alla macchina fotografica …. e si potrebbe continuare ancora per molto.
Intanto, proprio in quegli stessi anni, i “maestri” che avrebbero sradicato la fede di interi popoli e intere generazioni (Marx, Freud, Nietzsche) elaboravano le loro ideologie materialistiche e dichiaratamente anticristiane.
A Dio restava dunque solo la risposta dei Santi.
La risposta conclusiva, più travolgente e geniale, Egli la darà per mezzo di Teresa di Lisieux, con il messaggio del “ritorno all'infanzia”. Come ha scritto Jean Guitton: “Non l'infanzia che sta all'inizio della vita ed è soltanto una immagine della meta, ma l'infanzia che indica la semplicità del compimento ...quella specie di ritorno dell'essere maturo verso la sua fonte”..., un ritorno realizzato con il più totale e amoroso e commovente abbandono nelle mani di Dio Padre, in ogni circostanza della vita.
Ma la risposta della carmelitana di Lisieux – proprio perché affidata alla sua assoluta semplicità e a una “quotidianità” vissuta nell'amore, senza manifestazioni straordinarie – avrebbe lasciata impregiudicata la questione dei miracoli, cioè del diritto di Dio di mostrarci tutta la fantasia del soprannaturale.
Per questa così caratteristica risposta venne scelta un'altra Carmelitana, vissuta solo qualche decennio prima (quando ella muore, Teresa ha poco più di cinque anni): Mariam Baouardy di origine araba, che passò i suoi trentatré anni di vita tra la Palestina, l'Egitto, la Siria, la Francia, l'India e poi di nuovo la Palestina.
Un'orientale dunque, dotata anche psicologicamente e naturalmente per il compito fantasioso a cui Egli la destinava, e non intaccata da nessun influsso cosiddetto culturale, dato che non imparò mai né a leggere né a scrivere, e in monastero si dedicò solo ai lavori pesanti delle “suore converse”.
Proprio con lei, che si definiva “un piccolo nulla” , Dio decise di meravigliare il mondo.
Insistiamo su questo perché, se non si comprende ciò, la narrazione può sembrare perfino troppo strana e incredibile.
Il titolo della prima biografia che le fu dedicata fu significativamente questo: Vita meravigliosa di Suor Maria di Gesù Crocifisso.
E René Schwob, uno scrittore francese di origine ebraica, le dedicò un libro dal titolo: Legenda aurea al di là del mare, in cui definisce la vita di Mariam “una delle vite più meravigliose della storia del Cattolicesimo”, e lascia questo conclusivo commento: “Ci sia permesso auspicare che questa piccola illetterata, quando sarà avvenuta la sua canonizzazione, divenga la patrona degli intellettuali. E' ben qualificata per liberarli dall'orgoglio”.
Un altro celebre poeta romanziere – quel Francis Jammes che si proclamava sempre “entusiasta del miracolo dell'universo” - scrisse di lei: “Era una vera figlia di oriente, che cantava le lodi del Creatore servendosi di immagini belle, “ingenue”, e l'ammirò tanto da spingersi fino a scrivere al Papa per chiederne la canonizzazione.
La stessa ammirazione ebbero Léon Bloy, Jacques Maritain, Julien Green: tutti d'accordo con la definizione che diede di Mariam Baouardy la sua prima maestra di noviziato:
“E' un miracolo della grazia di Dio”.
Era dunque il 1846. Ad Abellin, villaggio a metà strada tra Haifa e Nazaret, vive una famiglia araba di religione cristiana.
E' una buona famiglia, di veri credenti, ma triste, perché i figli che vengono al mondo non riescono proprio a sopravvivere: ben dieci maschietti muoiono tutti in tenera età. Il padre si chiama Giorgio e il cognome che porta, Baouardy, l'ha preso dal mestiere che esercita: il polveraio. Come lui, molti nel paese guadagnano qualche soldo preparando la polvere da sparo nel mortaio di pietra. Sua moglie è una donna amata nel villaggio per la grande bontà e per la operosa solidarietà che dimostra con chiunque sia nel bisogno. Un giorno uno dei due coniugi così duramente provati si mettono in cammino verso Betlemme: un pellegrinaggio a piedi di 170 chilometri per andare a pregare sulla culla di Gesù Bambino e chiedere alla Vergine Santa la grazia di una figlia. Promettono di chiamarla Mariam.
E la bambina nasce nove mesi dopo e viene battezzata e cresimata secondo il Rito Greco-Melchita. L'anno dopo nasce anche un maschietto: Paolo.
Tutto sembra andare per il meglio. Ma ecco che, quando Mariam non ha ancora 3 anni, sono i genitori ad andarsene: prima muore il papà e dopo alcuni giorni muore la mamma di crepacuore. La bambina restò con il ricordo del gesto profetico, pieno d'amore, compiuto dal papà negli ultimi giorni di vita. Sentendosi venir meno, egli aveva preso in braccio la sua piccola e l'aveva alzata verso un'immagine del buon San Giuseppe invocandolo:
“Grande Santo, guarda la mia piccina! La Madonna è sua Madre, sii Tu suo Padre! Veglia su di lei!”.
Alla morte dei genitori, secondo l'uso orientale, i bambini furono portati tra i parenti: Paolo fu adottato da una zia materna che abitava in un vicino villaggio, Mariam venne adottata da uno zio paterno di agiata condizione, che, dopo qualche anno, si trasferirà ad Alessandria d'Egitto. E i due fratellini non si rivedranno mai più. Dell'infanzia di Mariam non sappiamo quasi nulla, solo qualche ricordo che lei stessa racconterà più tardi, da cui traspare sempre una particolare protezione celeste.
L'episodio più delicato e intimo fu certamente quello che le accadde in occasione di un piccolo incidente domestico. Alla piccina avevano regalato alcuni uccellini in gabbia. Lei aveva voluto accudirli, ma non era stata capace: si era premurata di far loro il bagnetto, come si fa con i bambini piccoli, e gli uccellini erano morti.
Mentre li seppelliva si era sentita stringere il cuore dal dispiacere, ma una vocina dentro le aveva detto: “Vedi, tutto passa! Ma se tu vuoi dare a me il tuo cuore, io resterò con te per sempre”.
Era ancora piccola, ma quella voce non la dimenticò più. Un'altra volta, un venerando pellegrino si era presentato in casa ed era stato ospitato secondo l'uso, ed ecco che, al vedere la piccina, quegli era stato preso da una strana emozione e aveva implorato: “Custodite questa bambina, ve ne prego, custodite questa bambina!" .
Quando racconterà il fatto, dopo molti anni, Mariam nella sua sconfinata umiltà spiegherà: “Forse quel sant'uomo, prevedendo i miei peccati, era tanto preoccupato per la salvezza della mia anima!”.
In realtà cresceva come un angelo e il suo più grande desiderio era ricevere la prima Comunione. Riuscì a farla alcuni anni prima del tempo fissato perché, a forza di insistere con il prete, riuscì a strappargli un giorno un sì distratto al quale la piccola, di quasi otto anni, obbedì prontissimamente.
Quando Mariam raggiunse la pubertà – ed era già fidanzata con un lontano parente, secondo l'uso, senza neppure saperlo – le dissero che il momento di contrarre matrimonio era giunto: venne il fidanzato portando ricchi gioielli e la famiglia preparò vesti sontuose e ricamate. Mariam non si dava pace: a quella voce che aveva sentito da bambina (“Se vuoi dare a me il tuo cuore, io resterò con te per sempre”) lei aveva già risposto di sì, ed ora che aveva tredici anni non poteva pronunciare un altro sì.
I parenti non capivano, pensavano a uno di quei capricci da cui ogni tanto si lasciano afferrare le ragazzine. Chiamarono il prete e perfino il Vescovo della comunità perché spiegassero alla fanciulla il dovere di obbedire ai genitori adottivi in materia tanto grave. Il giorno in cui lo sposo si presentò per la cerimonia, e tutti aspettavano che Mariam uscisse dalla sua camera adorna di vesti preziose e di gioielli, ella si presentò con i lunghi capelli tagliati deposti su un vassoio e sui capelli c'erano i gioielli d'oro.
L'ira dello zio fu tale che la ragazza venne cacciata in cucina tra le schiave di casa e assoggettata alle loro angherie. E il confessore – che non capiva – giunse a negarle l'assoluzione e proibirle la Santa Comunione.
Dopo tre mesi di sofferenze, Mariam si ricordò del fratello Paolo rimasto in Palestina e tentò di mettersi in contatto con lui. Si fece scrivere una lettera e la sera, di nascosto, si recò a portarla a un servo musulmano che aveva conosciuto a casa dello zio e che era in procinto di recarsi a Nazaret. Il servo conosceva le traversie e i patimenti della ragazza: quando ella giunse piena d'affanno, la famiglia stava per mettersi a cena. La moglie e la madre di lui insistettero perché si fermasse a cena, la trattarono con cortesia, le fecero raccontare gli ultimi avvenimenti. L'uomo si incolleriva sempre di più: diceva che i cristiani erano senza cuore, esortava la ragazza ad abbandonare i suoi correligionari, le offriva la sua casa. Allora gli odi religiosi erano violenti e pronti a scoppiare per un nonnulla. Mariam reagì: «Musulmana io? Mai! Sono figlia della Chiesa cattolica e spero di restare tale per tutta la vita».
La risposta fu un calcio dell'uomo che la fece stramazzare a terra; poi costui, ormai accecato dall'ira, sguainò la sua scimitarra e le tagliò la gola. Per disfarsi del cadavere, lo avvolsero in un lenzuolo e lo gettarono in una buia viuzza fuori mano.
Era il 7 settembre 1858.
Che cosa sia poi accaduto lo sappiamo solo da ciò che Mariam narrò molti anni dopo, quando era già diventata una santa monaca carmelitana di clausura: raccontò che le era sembrato di entrare in Paradiso, d'aver visto la Vergine e i santi e i suoi genitori, e la gloriosa Trinità. Poi una voce le aveva detto: «II tuo libro non è ancora tutto scritto» e si era trovata in una grotta, per giorni e giorni, in preda alla febbre, assistita da una giovane donna, simile a una suora, che portava un velo azzurro: costei la nutriva, la assisteva, e la faceva lungamente dormire. Dopo circa quattro settimane quella suora l'aveva condotta alla chiesa dei francescani, e lì l'aveva lasciata.
Di solito Mariam non diceva che era stata assistita dalla Vergine Santa; mostrava solo la cicatrice di dieci centimetri di lunghezza che le attraversava il collo.
Sedici anni dopo il fatto, un celebre medico ateo che la visiterà in Francia, a Marsiglia, constatando che le mancano alcuni anelli della trachea, dirà: «Un Dio ci deve essere, perché nessuno al mondo, senza un miracolo, potrebbe vivere dopo una simile ferita».
Solo durante un'estasi avvenuta il 7 settembre 1874 la si udrà esclamare: «Oggi era con me la Madre mia. Oggi io le ho consacrato tutta la vita... La sera mi avevano tagliato la gola, e il giorno dopo già Maria mi aveva presa con sé».
La famiglia adottiva di Mariam s'era ormai convinta della fuga di quella figlia strana e disobbediente, e Mariam non li cercò mai più.
Aveva appena tredici anni. Divenne una povera serva, prima ad Alessandria, poi a Gerusalemme, poi a Beyruth. Di preferenza sceglieva famiglie povere, e finì per prendersi cura di una famigliola malata e ridotta in miseria, per la quale lei stessa si ridusse a mendicare. Non le mancarono traversie, pericoli, umiliazioni, ma sembrava che qualcuno sempre la proteggesse.
Nel 1863 accettò di entrare a servizio della famiglia Nadjar, siriana, che si trasferiva a Marsiglia. Aveva ormai diciassette anni ed era analfabeta. Continuò a servire in tutta umiltà, ma era già afferrata da una attrazione irresistibile verso il mondo soprannaturale.
A diciannove anni riuscì ad entrare nel noviziato delle suore di San Giuseppe, anche se non aveva altro da offrire che il suo amore per Dio e la sua disponibilità per i lavori più umili. Si offriva con gioia per tutti i lavori più pesanti. «Fare io questo, perché io avere tempo», diceva nel suo francese approssimativo, mentre si sforzava di anticipare le compagne nella fatica.
Se la correggevano diceva: «Perdono, io molto cattiva. Tu pregare per me». Dava del «tu» a tutti: consorelle, superiore, vescovi e cardinali. E questa rimase la sua caratteristica per sempre.
La maggior parte del tempo la passava in cucina o in lavanderia.
Ma tra i fornelli e il bucato spesso cadeva in estasi, e aveva visioni. Dal giovedì al venerdì, sulle mani e sui piedi, le apparivano stimmate sanguinanti, ma credeva che si trattasse di una malattia e nascondeva le ferite con ogni cura: se ne vergognava.
Siccome in Palestina aveva conosciuto dei lebbrosi, credeva di aver contratto la lebbra e diceva alla sua supcriora: «Madre, stanimi lontana, altrimenti prenderai la mia malattia!». E questa, davanti a tanta ingenua umiltà, ribatteva: «Stai tranquilla figlia mia, non è molto probabile che io la prenda!».
Il mercoledì chiedeva di prolungare il lavoro, perché doveva recuperare il tempo che avrebbe perduto «nei due giorni di malattia»: «Madre», diceva alla supcriora, «vuoi darmi qualche suora per aiutarmi a finire il bucato, perché il giovedì e il venerdì sono malata, e vorrei finire adesso?».
Ma nel 1867—in assenza della Madre Generale che la capiva e la proteggeva—venne dimessa dal Consiglio dell'Istituto, perché ciò che le accadeva turbava troppo la comunità.
Le consigliarono di entrare in un Carmelo, pensando che la clausura l'avrebbe meglio protetta dalla curiosità del mondo.
Giunse così al Carmelo di Pau, nei Bassi Pirenei, presentata dalla sua vecchia maestra di noviziato con l'assicurazione che «quella piccola araba era obbediente fino al miracolo». Prese il nome di suor Maria di Gesù Crocifìsso.
L'Apostolo Paolo non aveva forse scritto «di non volere sapere nient'altro se non Gesù crocifisso»? Ebbene, per suor Mariam questo fu vero alla lettera: non sapeva nient'altro.
Aveva ventun anni e ne dimostrava dodici, talmente era minuta. Sapeva solo fare dei lavori materiali: la cucina e il bucato e la cura dell'orto erano i suoi compiti abituali.
Il resto però era un tessuto di cose prodigiose.
Le estasi continuavano, ma bastava che la maestra di noviziato la richiamasse «per obbedienza» che ogni fenomeno straordinario si interrompeva immediatamente. D'altra parte lei se ne vergognava, era convinta di cedere al sonno e l'angustiava il fatto di non sapere resistere. A volte si accusava di non saper pregare.
Diceva alla priora: «Nella preghiera non ho distrazioni, ma non riesco a concludere nemmeno la preghiera più corta. Comincio il Padre nostro e mi fermo su queste due parole senza riuscire a continuare. Penso: 'O mio Dio, tu così grande, così potente, tu sei nostro Padre! Tu che sei in ciclo, mentre noi siamo piccoli vermiciattoli, polvere e cenere... Eppure noi abbiamo il coraggio di offenderti! O mio Dio, abbi pietà di noi...'. E poi mi perdo, e mi addormento».
E continuava: «Se poi recito VAve Maria, e comincio a dire alla Madonna: 'Sei così buona tu, così buona, o Madre mia!, Tu Madre di Dio e Madre degli uomini! E noi poveri peccatori!...', e poi mi perdo, e mi addormento: impossibile continuare... Come devo confessarmi per il fatto che non riesco a continuare?».
Le stimmate riprendevano sempre a sanguinare nel giorno in cui si commemorava la passione del Signore, anzi le si era aperta una piaga sul costato simile a quella di Cristo ferito in Croce. Le mettevano sopra dei piccoli panni bianchi per asciugare il sangue, e sul panno la macchia di sangue da sola prendeva la forma di un cuore sormontato da una croce e a volte si leggevano anche le iniziali di «Gesù Salvatore». Sono reliquie che esistono ancora.
Provava uno straordinario affetto per papa Pio IX che chiamava «Mio Padre» e sembrava conoscere non si sa come tutte le sofferenze che attanagliavano la Chiesa nelle diverse parti del mondo, e prevedeva perfino certi pericoli materiali che minacciavano le persone vicine al pontefice.
Nel 1868, dopo la preghiera, fece avvertire per tre volte il Santo Padre che la caserma più vicina al Vaticano era stata minata. Nessuno le diede ascolto e il 23 ottobre di quello stesso anno la Caserma Serristori di Borgo vecchio saltò in aria in pieno giorno.
Da allora a Roma cominciarono ad ascoltare con attenzione i messaggi che venivano dalla novizia di Pau. Così riuscirono per tre volte ad evitare dei disastri, quando l'anno successivo fece avvertire che, durante la celebrazione del Concilio Vaticano I, tre edifici sacri erano stati minati.
Fu così che il papa e il cardinale segretario di Stato presero a interessarsi di lei, e in seguito Mariam ne approfitterà per ottenere direttamente dal Santo Padre il permesso di fondare due monasteri in Palestina, permesso che la curia romana continuava ripetutamente a negare.
Ciò che colpiva in lei era il candore: proprio il candore di una bambina che non conosce malizia alcuna, al quale univa una generosità senza limiti: non sapeva preservarsi, quando c'era bisogno di lei; la mortificazione le sembrava naturale.
Interiormente invece era come provata da forze disgregatrici. Diceva di sentirsi «un piccolo nulla», ma c'era una lotta costante in lei e Dio la permetteva.
Così il demonio si sforzava in ogni modo di convincerla del suo peccato, della sua indegnità, della sua infedeltà, della sua vocazione mancata, la spingeva fino alla disperazione, a volte la costringeva a comportamenti strani cui non era abituata: allora era un nulla nel senso più umiliante del termine.
Si scatenavano in lei durissime battaglie che duravano alcuni mesi, lotte durante le quali il demonio, infliggendole sofferenze atroci, cercava di strapparle di bocca qualche lamento nei riguardi di Dio, e Mariam ribatteva ostinatamente: «O Gesù, rimpiango di non soffrire abbastanza per te».
E dovettero sottoporla ad esorcismi, durante i quali la piccola araba sembrava abbandonata in preda al demonio che tuttavia non riusciva mai a sopraffarla.
Una volta, si udì Satana gridare con sarcasmo: «Ma sì, informate la veste bianca perché venga a canonizzarla!».
Durante l'ultima e decisiva battaglia, i presenti vedevano solo Mariam, ma udivano questo dialogo, dato che il demonio parlava dal di dentro di lei con voce terribile e lei rispondeva soffrendo, ma con gioia e certezza. Satana gridava: «Dio non c'è!».
E Mariam reagiva: «Ma io lo vedo nella creazione, vedo come crescono gli alberelli...».
«Non c'è alcuna Chiesa!».
«Ma io vedo la sua immagine in ogni frutto. Se apro il frutto c'è il seme. Se apro il tabernacolo c'è Gesù nell'Eucaristia».
«Non c'è amore!».
«Ma io vedo la legge dell'amore in tutti gli animali... Vedo la chioccia che raccoglie i pulcini sotto le ali...».
Non era un gioco, era l'antica lotta tra Satana e Dio, che coinvolgeva questa figlia d'Oriente (come un tempo il vecchio Giobbe) ed ella—senza cultura, semplice come una bambina—rispondeva col suo più facile catechismo: quello della natura e quello dei sacramenti.
Poi, dopo la lotta, Dio la cullava come una bambina.
Mariam diceva allora: «II pensiero che io sono un niente mi fa trasalire di gioia. È così bello essere un nulla... L'umiltà è felice di essere un nulla, non si attacca a niente, non si infastidisce mai. È contenta, felice, ovunque felice, soddisfatta di tutto... Beati i piccoli».
La chiamavano spontaneamente così: «la piccola araba».
A volte aveva ripetutamente questa visione: vedeva una bambina di tre anni adagiata tra le braccia di Gesù, una bambina simile a lei, ma anche completamente diversa, e Mariam diceva a Gesù: «Come è felice questa piccina, tu l'ami tanto!». E Gesù rispondeva: «Sì, l'amo, guarda come la tengo tra le braccia, ma lei non lo sa». «Lei non lo sa», riprendeva Mariam. «Ah, se fossi io, ti prometto che lo sentirei e sarei felice». Poi raccontava alla maestra con un senso di invidia: «Quella piccina nemmeno mi vedeva. Non guardava nessuno all'infuori di Gesù. E Gesù la guardava sempre!».
Era il modo con cui Gesù le spiegava l'evangelico «se non diventerete come bambini...».
Ella aveva inoltre una devozione struggente per lo Spirito Santo, cosa a quei tempi piuttosto rara. Usava anche una preghiera tutta sua, molto bella, che le era nata in cuore durante la meditazione: «Spirito Santo ispiratemi / Amore di Dio consumatemi / Nella vera via conducetemi / Maria Madre di Dio guardatemi / Con Gesù beneditemi / Da ogni male e da ogni illusione / Da ogni pericolo preservatemi». E diceva che il mondo andava male perché i cristiani da tanto tempo non pregavano più lo Spirito Santo. E anche i preti sembravano essersene dimenticati!
Il 21 agosto 1870, assieme a un piccolo gruppo di altre cinque consorelle, Mariam fu inviata in India per fondare in quello sterminato paese il primo monastero carmelitano, a Mangalore.
Due monache morirono durante il lungo viaggio. Poi, a Calcutta, morì anche colei che era stata designata come priora. Delle tre superstiti, Mariam era ancora novizia e ottenne di poter ridiventare «conversa», cioè addetta ai lavori più pesanti, incapace com'era anche solo di leggere in coro il breviario!
Le sue straordinarie esperienze continuavano con lo stesso ritmo e la stessa intensità, ma ciò non le impediva di affrontare tutti i travagli che sono sempre legati a una nuova fondazione, soprattutto quando ci si trova in una poverissima regione.
In cucina, quando la vedevano col volto raggiante tutte capivano che era, come usava dire, «in compagnia con Colui che ha creato il ciclo e la terra».
Durante le estasi continuava a partecipare in spirito a ciò che accadeva nella Chiesa: Mariam era spiritualmente là dove scoppiavano persecuzioni, dove certi missionari venivano uccisi (in Cina, ad esempio), ed ella descriveva, come se fosse presente, gli avvenimenti più dolorosi che trovavano perfetta corrispondenza nelle notizie che i giornali riferivano alcuni mesi dopo.
Ma vennero le incomprensioni: sia la supcriora che il vescovo cominciarono a dubitare di questa sorella che alternava manifestazioni straordinarie di grazia a momenti in cui si aveva l'impressione che il demonio prendesse possesso di lei: un'alternanza che Dio permetteva per purificarla completamente, e mantenerla nella piena coscienza del suo nulla. L'accusarono di essere una visionaria, di procurarsi le stimmate da sé ferendosi con un coltello, di avere una troppo fervida immaginazione orientale, di non essere abbastanza trasparente con la supcriora. Il vescovo maturò la convinzione che certamente non era una santa. E forse era soltanto una indemoniata.
Ed era vero che spesso il demonio tornava a tormentarla, quasi per costringerla a rinnegare Dio mentre Dio era certo dell'amore della sua figlia. Satana le faceva commettere, ma solo esteriormente, serie mancanze contro la Regola, proprio a lei che era sempre un prodigio di obbedienza.
A Mariam, Gesù diceva in anticipo: «Io ti vedo e basta. Rimani lì senza dir nulla».
Le sembrava allora di esser tuffata in un lago circondato da serpenti, e anche la Madonna le diceva: «Io sono tua Madre. Ti metto io in quest'acqua. Non ti muovere. Tu non mi vedrai, ma io veglierò su di te».
Sempre, quando sentono parlare di queste possessioni diaboliche, i credenti sono turbati, anche perché ai nostri tempi si è diffuso il sospetto che si tratti solo di proiezioni dei turbamenti psichici di chi si crede posseduto.
Ma poi si scopre con orrore, e sempre più frequentemente, che non mancano uomini che volontariamente servono Satana con riti di impressionante malvagità, e invocano l'esplosione malvagia e distruttiva della sua demoniaca potenza.
Allora si capisce perché Dio chieda a volte a qualcuno dei suoi santi di combattere faccia a faccia contro questo potere che cerca sempre di affermarsi in odio a Dio e agli uomini. E spesso questi santi devono subire non solo i tormenti provocati dal demonio, ma anche quelli inflitti dai benpensanti che credono di aver capito tutto in anticipo, e tutto vogliono spiegare con il loro preteso realismo.
Così Mariam venne rimandata nel suo Carmelo d'origine, in Francia. Tornò umilissima nel monastero di Pau; sapeva che Dio aveva i suoi misteriosi disegni.
Riprese la sua semplice vita di conversa, fatta di tanto lavoro e inframmezzata da episodi prodigiosi.
Amava la natura e ne sentiva talmente l'incanto che a volte, in estasi, lei illetterata componeva bellissime poesie alla maniera orientale, e inventava anche strane e dolci melodie per cantarle.
Una mattina prestissimo, il 28 giugno 1873, la priora la trova in estasi, seduta su un panchettino davanti a una finestra aperta: «Madre», le dice suor Maria, «tutti dormono e nessuno pensa a Dio che è così pieno di bontà, così grande... Nessuno ci pensa. Guarda, la natura lo loda, il ciclo, le stelle, gli alberi, le erbe, tutto lo loda e l'uomo, che conosce i suoi benefici e dovrebbe lodarlo, dorme! Andiamo a svegliare l'universo!... Gesù non è conosciuto, Gesù non è amato!...».
Quand'era triste per la lontananza di Dio, la udivano pronunciare preghiere che sembravano salmi biblici, con lo stesso ritmo, con la stessa bellezza, ma a comporli era lei, che non sapeva né leggere né scrivere.
Ecco alcuni versi di un lungo «salmo penitenziale» da lei composto di getto:
«Signore, la mia terra è arida e bruciata,
inviami la tua rugiada.
La mia carne cade in corruzione,
i miei piedi non possono più portarmi,
e le mie mani non sanno più muoversi.
I miei nervi sono rattratti,
le mie ossa sono disseccate,
il midollo delle mie ossa è come fumo marcito.
Ed ecco un salmo di contemplazione:
«A chi assomiglio io, Signore?
Agli uccelletti implumi nel loro nido.
Se il padre e la madre non portano loro il cibo
muoiono di fame.
Così è l'anima mia,
senza di te, o Signore.
Non ha sostegno,
non può vivere.
A chi assomiglio io, Signore?
A un piccolo chicco di grano sepolto nella terra.
Se la rugiada non lo abbevera,
se il sole non lo riscalda,
il chicco avvizzisce e muore.
Ma se tu doni
la dolcezza della tua rugiada,
l'ardore del tuo Sole,
il piccolo seme,
rigonfio di linfa e di vigore,
emetterà radici
e germoglierà uno stelo
rigoglioso di frutti abbondanti.
A chi assomiglio io, Signore?
A una rosa recisa
che nella mano subito appassisce,
e perde il profumo.
Ma se resta sul suo stelo
rimane fresca e smagliante,
intatta nel suo profumo.
Custodiscimi in te, Signore,
per donarmi la vita!
A chi assomigli Tu, Signore?
Alla colomba che dona il cibo ai suoi piccoli,
a una tenera madre
che nutre la sua piccola creatura».
Dei letterati esperti hanno detto che Mariam sembra diventare, nelle sue poesie, «un abbagliante giocoliere di immagini».
Aveva una vita che grondava da ogni parte di fenomeni straordinari, eppure lei a chiunque raccomandava: «Dio ci liberi da questi stati straordinari, la fede ci basta; nella fede non c'è orgoglio. Stimo più la grazia di essere povera ignorante, perché questo mi fa intendere la bontà, la misericordia di Dio, il quale, sebbene grande, vuole occuparsi di me. Mi sembra che se fossi in uno stato straordinario non vorrei rimanere tre mesi nella stessa città, percorrerei tutto il mondo per non essere conosciuta».
A un vescovo che si mostrava molto curioso di fenomeni eccezionali, disse:
«Monsignore, Gesù mi incarica di dirti: non fermarti allo straordinario.
Se vengono a dirti: la Santa Vergine appare qui o là, in quel luogo c'è un'anima straordinaria... non andarci, non metterti in pena...
Il Signore ti dice: attaccati alla Fede, alla Chiesa, al Vangelo... Ma se vai a consultare qua e là lo straordinario, la tua fede si indebolirà. Io ti dico da parte del Signore: se ti attieni alla Fede, al Vangelo, Lui sarà sempre con te e non ti abbandonerà mai...».
Per conto suo Mariam. non parlò mai di estasi e di visioni, parlava di «sonno» e di «segni», e se ne scusava come di una colpa.
Lottava contro le sue estasi e diceva con semplicità: «Gesù mi tira da una parte e io tiro dall'altra per non lasciarmi andare al sonno».
E ciò le accadeva mentre lavava i piatti, mentre mangiava, durante le ricreazioni, mentre lavava i panni: «Allora si vedeva», raccontò una consorella, «la biancheria che ella strofinava diventare candida a vista d'occhio tra le sue mani».
E qui entriamo in vicende così meravigliose che non possono essere spiegate in alcun modo se non con la volontà di Dio di divertirsi della nostra incredulità, della pretesa che gli uomini hanno a volte di dirgli ciò che può fare e ciò che non può fare, ciò che è possibile e ciò che non deve essere possibile.
Il 22 giugno 1873 le consorelle non vedono Mariam a cena.
La cercano: non è in cella, né nei chiostri, né in giardino.
La odono cantare in alto un canto d'amore a Dio. Alzano gli occhi: è sulla cima di un gigantesco tiglio, alto più di quindici metri, sugli ultimi rami così fragili che non avrebbero potuto sostenere alcun peso. La priora le comanda per obbedienza di scendere, ed ella scende lentamente, senza farsi male, con semplicità e grande compostezza, poggiando semplicemente i piedi di ramo in ramo e continuando a cantare.
L'ascensione si ripete sotto gli occhi di vari testimoni il 9, 19, 25, 27, 31 luglio e 3 agosto del 1873: non sono favole tramandate da tempi antichissimi: sono testimonianze giurate da testimoni oculari, in un'epoca in cui imperano il positivismo e lo scientismo.
La priora la interroga. Lei risponde che Gesù le tende le mani e lei deve salire. Di fatto il fenomeno si produce così: lei tocca con una mano le foglioline ai margini del tiglio, su ramoscelli che si sarebbero piegati sotto il peso di un uccellino, e in breve viene sollevata in alto, quasi scivolando sulla superficie esteriore dell'albero.
Solo una volta accade che, quando la priora le comanda di scendere, lei indugi un po' su un ramo—quasi dispiaciuta di doversi allontanare—e da quel momento deve scendere con le sue forze e con grandi paure e precauzioni, mentre dice con un sospiro: «Se ne è andato. Mi lascia scendere sola».
A volte il fenomeno durava tre o quattro ore: quando finiva l'estasi, lei non ricordava più nulla. Si svegliava ai piedi del tiglio. A volte i suoi sandali o la lunga corona che portava alla cintura restavano appesi, impigliati, ai più alti rami (quasi segno visibile a tutti di ciò che era avvenuto) e lei si inquietava perché non li trovava più. Le sembrava strano che le facessero trovare ai piedi del tiglio un paio di sandali nuovi, ma ogni sorella per obbedienza taceva, e lei non seppe mai nulla di queste ascensioni che avvenivano quando Gesù la faceva sognare.
Sembrava di vivere in un mondo di favola.
Intanto sentì piano piano nascerle in cuore il desiderio di fondare un monastero a Betlemme, proprio là dove Gesù era nato, e dove la mamma sua aveva impetrato la grazia della sua nascita.
Le difficoltà sembravano insormontabili sia per le esitazioni del patriarca di Gerusalemme che per l'opposizione decisa della Congregazione di Propaganda Fide, ma Mariam poteva contare sull'amicizia del pontefice. La partenza delle monache per la Terra Santa fu autorizzata di persona dallo stesso Pio IX.
Nel 1875 Mariam partì per Betlemme dove giunse con otto consorelle. Fu lei a improvvisarsi architetto e direttrice dei lavori di costruzione del monastero: scelse il sito, acquistò i terreni, tracciò il disegno dell'edificio, diresse gli operai, trattò con i fornitori. Era d'altronde l'unica a parlare la lingua del luogo. Ma c'era senza dubbio una guida intcriore che la ispirava.
Già nel novembre del 1876 l'edificio, costruito sulla collina di Davide, fu inaugurato, e iniziò la vita monastica.
Le prove, quelle celesti e quelle inflitte da Satana, continuavano. Il suo padre spirituale diceva che Mariam soffriva «la malattia del ciclo».
A volte il demonio la provava insinuandole i più atroci dubbi di fede, ed ella sembrava struggersi di dolore.
Confidava nel 1876: «Io dicevo: non vedere mai Dio, mai, mai. Non posso rassegnarmici. È un tormento che mi arroventa fin nelle ossa... Allora mi alzo di buon mattino. Comincio a fare il bucato (di tutto il monastero) da me sola. Non so quello che avrei fatto del mio corpo: avrei trasportato le montagne, avrei attinto tutta l'acqua della cisterna, avrei lavato tutta la casa dall'alto in basso, senza accorger-mene, tanto era grande il mio tormento a pensare che non avrei mai veduto Dio.
Ecco chi mi ha consolato: abbiamo un cane da guardia; ha commesso una colpa e l'ho percosso, ed egli abbassava un poco di più la testa. Dopo vado al refettorio e il cane mi segue. Lo scaccio e torna. Lo scaccio di nuovo e si accuccia alla porta, e guardandomi in modo che mi fa tenerezza. Allora gli ho dato un pezzo di pane. E subito sono stata colpita al pensiero della bontà di Dio per l'anima che torna a lui come il cane tornava a me.
E sento che a Dio gli è ancora più impossibile non avere compassione di noi. Allora il mio cuore si strugge, le mie pene spariscono. Restai come in agonia, ma tutto era finito».
La maestra delle novizie del monastero di Betlemme racconta che a volte Mariam le sembrava «la vittima dell'umanità», quasi che Dio le chiedesse di espiare i peccati del mondo intero, come Gesù:
«Noi non possiamo farci un'idea di quanto soffre per certe impressioni soprannaturali che l'afferrano e l'annegano, corpo e anima, soprattutto l'anima, in un mare di amarezza. Ella soffre per ogni nazione che deve soffrire, per ogni individuo, è perfino sensibile a quello che devono soffrire e soffriranno le bestie. In un certo senso ancora compiange la terra troppo arida o troppo bagnata, gli alberi e le piante che risentono in qualche modo il castigo della giustizia divina».
Ciò che in certi grandi poeti è sensibilità verso le lacrime e le sofferenze della natura, in lei era vera sofferenza di espiazione, estesa perfino al mondo animale, vegetale, e alla stessa materia.
Presentiva, soffrendo incredibilmente, guerre che stavano per scoppiare, carestie, stragi. E a volte soffriva perfino la ripulsa che tanti uomini provano verso Dio, il loro rifiuto, le loro bestemmie.
Mariam ormai trentatreenne si sentiva sempre più «perseguitata dall'amore», come diceva.
Viveva addossandosi, come d'abitudine, i lavori più duri, e già co-miniciava a progettare la fondazione di un altro monastero a Nazaret. Ottenne, con nuove fatiche, i relativi permessi e si mise in viaggio per esplorare le possibilità di costruzione.
Fu durante questo viaggio che diede un'altra e più strana prova dei doni particolari di cui era dotata.
Era l'aprile del 1878. La carovana avanzava verso Nazaret, ed era giunta nei pressi di Latroun-Amwas. Quando il carro si ferma per il cambio dei cavalli, si vede la piccola araba correre affannosamente, farsi strada tra le erbacce e le spine, e raggiungere uno spiazzo da cui affiorano delle macerie. La sentono esclamare: «Qui, è questo il luogo dove il mio Signore ha mangiato con i suoi discepoli!». Insomma: sostiene che proprio in quel luogo è avvenuta la cena con i discepoli di Emmaus. A quel tempo gli archeologi avevano identificato altrove il villaggio di cui parla il Vangelo.
Parlano i fatti: un'amica di Mariam compra il terreno, per fedeltà alla parola di lei. Quasi cinquant'anni dopo, nel 1924-25, gli archeologi domenicani cominceranno gli scavi nel luogo indicato dalla piccola araba, e scopriranno i resti di due basiliche bizantine e una successiva basilica crociata che obbligano gli studiosi a rivedere le loro convinzioni su Emmaus: Mariam aveva ragione!
Ma il sogno di costruire un monastero a Nazaret, Mariam non lo potè realizzare personalmente.
Si sentiva sempre più attratta da Dio. Pregava: «Non posso più vivere, o Dio, non posso più vivere. Chiamami a te!».
Il 22 agosto 1878 trascinava per un sentiero scosceso dell'orto due secchi d'acqua per portare da bere ai muratori addetti alla manutenzione del monastero. Cadde tre volte, l'ultima su una cassetta di gerani fioriti, e si ruppe il braccio in più punti tra il polso e il gomito.
Il giorno seguente s'era già sviluppata la cancrena.
Diceva: «Sono sulla via del ciclo. Sto per andare da Gesù».
Soffrì tutto il giorno. Alle cinque del mattino seguente le sembrò di soffocare. Venne chiamata la comunità. Le suggerirono l'ultima preghiera: «Gesù mio, misericordia!». Disse. «Sì, misericordia», e morì baciando il Crocifisso.
Proclamandola beata nel 1983, anno in cui si celebrava il giubileo della Redenzione, Giovanni Paolo II disse: «L'amore di suor Mariam per Gesù Crocifisso era forte come la morte. Le più dure prove non poterono spegnere questo amore. Piuttosto lo hanno purificato e rafforzato. Ella ha dato tutto per questo amore»; e il pontefice faceva notare che la nuova beata apparteneva a tutti e tre quei popoli d'Oriente che ancora si combattono nella terra di Gesù, e che hanno bisogno di pace.
Ad Abellin oggi la venerano cristiani e musulmani: per tutti ella è «la Kedise», la santa; e tanti devoti raccontano miracoli, da lei ottenuti, all'antica maniera biblica.
Ma anche agli occidentali Mariam ha molto da ricordare.
Julien Green ci ha lasciato nel suo Diario questa significativa annotazione: «In un'opera avuta in prestito ho letto la storia di una giovane palestinese che considera con molto dolore degli uccellini morti, uccisi da lei, senza volerlo, immergendoli nell'acqua per un bagno. È cristiana. Sente una voce che le dice: 'Tutto passa così. Vuoi che resti con te per sempre? Vuoi darmi il tuo cuore?'. Questa voce l'ha portata al Carmelo.
Qualcuno di noi ha udito questa stessa voce e non l'ha ascoltata; c'è di che colmare di tristezza una vita intera. Leggo con avidità la storia di questa predestinata» (Diario 1928-1958, pp. 1074- 75).
 
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