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La preghiera cristiana, don Divo Barsotti, in "La presenza del Cristo, ed. Vita e pensiero"

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view post Posted on 8/2/2016, 11:26

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PREGHIERA CRISTIANA
Fin da quando l'uomo è stato creato, non vi è altro rapporto tra lui e Dio se non quello che nasce da una onnipotenza di amore che si offre incondizionatamente alla miseria, al desiderio, alla preghiera dell'uomo. Dio non ci avrebbe creato se non ci avesse voluto; e il fatto che ci ha voluto precede ogni nostro peccato e da una speranza anche al peccatore. Egli mi ha amato prima che io fossi: potrebbe nel suo immutabile amore dimenticarsi di me, ora che ho bisogno di lui?
Eppure noi tutti pecchiamo verso il Signore non per temerità, ma per timidezza: non sappiamo mai chiedere abbastanza, perché non sappiamo mai credere fino in fondo al suo amore infinito. Era necessario che Dio si facesse uomo e morisse per gli uomini perché finalmente l'uomo riuscisse a credere che Dio realmente lo amava. Noi tutti speriamo qualcosa da Dio, ma non sappiamo sperare tutto, non sappiamo chiedere tutto, non osiamo sperare di ottenere l'infinito suo amore.
La proporzione fra quello che Dio vuol dare e la preghiera dell'uomo può essere veramente vissuta solo quando l'uomo ha sperimentato sino in fondo, o almeno ha avuto una conoscenza più chiara della realtà, della grandezza dell'amore di Dio. Ora, l'uomo sa che tutto può chiedere a Dio, non perché la risposta dipenda dalla sua preghiera — o piuttosto, non perché l'ottenere quanto chiede, sia una risposta di Dio — ma perché di fatto Dio ha già donato, prima ancora che tu chiedessi, infinitamente più di quanto tu possa a lui domandare. Ti ha dato se stesso: non può esservi per te alcun dubbio, alcuna esitazione di ricevere tutto, dal momento che tutto è già tuo. Non si tratta per noi di ricevere: si tratta di prender coscienza di quello che è già nostro. Dio è immutabile nel suo volere: ci ha dato se stesso; sarebbe infedele a se stesso, non sarebbe più Dio, se ci facesse mancare quello che già abbiamo nelle nostre mani. Quando tu preghi, la tua preghiera, in fondo, non manifesta tanto il tuo bisogno, quanto piuttosto quello che hai ricevuto. Non dice quello che tu speri di ottenere, ma quello che già possiedi. E tu non puoi aver dubbio alcuno che questa proprietà è inviolabile: nessun ladro te la può sottrarre e Dio non te la toglie perché rimane fedele a se stesso.
L'incarnazione del Verbo, la morte di croce è il dono infinito di Dio a ciascun'anima. Ed è grande il dono di Dio in me, quanto è grande la mia speranza. E il dono, notiamo, non è rimandato a domani, perché la mia speranza non è altro che la traduzione sperimentale ma imperfetta di quanto io già posseggo, di quanto è già mia proprietà, anche se di questa proprietà non ho ancora l'uso. Traduzione imperfetta perché, siccome noi possediamo, sì, il dono divino, ma non ne possiamo ancora godere pienamente, ne deriva che questo possesso invece di essere per noi godimento, diviene solo assoluta certezza. E la speranza è questa assoluta certezza di godere un giorno quello che è già nostro.
La speranza, infatti, non implica un atto divino che debba rispondere al mio atto di preghiera. Dio non risponde mai, perché prima ancora che io domandi mi ha già risposto; e poiché egli ha l'iniziativa di tutto, fin dall'eternità mi ha ascoltato e ha risposto alla mia preghiera: egli mi ha donato ogni cosa. Perciò, la mia preghiera nel tempo altro non è per me che il prendere coscienza di questo dono che egli già mi ha fatto, perché io ne entri definitivamente in possesso, anche se ora non posso goderne pienamente.
Anzi, vorrei dire molto di più: tutta la nostra vita non è che il prender progressivamente coscienza di un dono che egli ci ha fatto fin dall'eternità, ma che noi riceviamo solo nel tempo, precisamente attraverso la nostra fede, la nostra speranza, il nostro amore. Quindi, tutta la vita dell'uomo praticamente si riduce, quaggiù, alla preghiera; non perché Dio debba poi rispondervi, ma perché la preghiera è per l'anima stessa, in qualche modo, l'esperienza di quanto Dio è per essa: non di quanto vuol essere, ma di quanto effettivamente per essa egli è.
Ma perché questo avvenga, bisogna che la nostra preghiera abbia quei caratteri di cui parla san Giacomo; anzitutto essa deve esser fatta senza esitazione, senza alcun dubbio nell'intimo, perché ogni dubbio fa sì che la nostra preghiera non sia più preghiera. Se ho una qualunque esitazione in quello che domando, vuoi dire che io non mi rivolgo a un Dio che è Amore, a un Dio che tutto mi ha dato; parlo a uno che è avaro dei suoi doni, a uno che vuol dare, ma può anche negare, a uno cioè che non risponde agli attributi fondamentali di Dio: la misericordia, l'amore infinito, la benignità, la generosità senza fine.
Ora, questa preghiera senza esitazione, che è propria del cristiano, è precisamente l'esperienza di un dono già fatto. Tu non esiti, proprio perché non puoi più dubitare di Dio; ma, nella misura in cui non dubiti di Dio, vuoi dire che veramente Dio è per te quello che chiedi, che cioè egli si fa presente nell'anima tua secondo la misura della tua speranza.
Per questo, non solo non possiamo avere esitazione, ma dobbiamo cercare di vincere ogni timidezza nella nostra preghiera e renderci conto che porre un limite ai nostri desideri, alle nostre richieste, è in qualche modo un voler coartare Dio negli stretti limiti di una nostra speranza umana. Noi possiamo, anzi dobbiamo, chiedere tutto a Dio. Per quanto ci riguarda potremmo anche contentarci di raggiungere la santità di questo o quel santo, ma è Dio che non si contenta. Perché egli vuoi essere grande in te, come grande egli è nell'Essere suo infinito, e tu devi chiedere tanto quanto egli è; infatti Dio non realizza la nostra salvezza che in quanto ciascuno di noi realizza la sua infinita santità, la sua infinita misericordia, la sua grandezza assoluta. E la nostra preghiera deve in qualche modo tradurre precisamente questa volontà di Dio di essere in ciascuno di noi se medesimo, infinito: la vocazione dell'uomo non è quella di realizzare una sua perfezione di vita, è quella di realizzare Dio stesso, perché Dio stesso vuol vivere nell'uomo. E allora, che cosa puoi chiedere a Dio se non una infinita santità?
Pertanto, non è presunzione chiedere molto: è sempre, piuttosto, peccato di timidezza, d'incredulità nell'amore, il chiedere meno che lui, il voler meno che lui. D'altra parte, fintantoché si chiede meno di lui, Dio può anche non ascoltarci, perché qualunque altra cosa tu gli chieda, potrebbe non rientrare nei piani divini. Ma se gli chiediamo lui stesso, egli non potrebbe mai negarci quello che gli chiediamo. Perché è precisamente questo il fondamento di ogni nostra speranza, anzi di ogni nostro rapporto con lui: l'amore suo infinito per il quale egli tutto si è dato e vuol comunicarsi, perché l'uomo viva in lui e lo possegga come suo bene, come sua ricchezza, come sua eternità.
La preghiera è dunque una grande cosa: l'unica cosa grande che esista quaggiù. Non vi è proporzione, infatti, fra quello che noi siamo e quello che dobbiamo essere, ma vi è una proporzione fra quello che chiediamo e quello che Dio vuole per noi, perché la preghiera può avere come suo contenuto Dio stesso. Quaggiù l'uomo può proporzionarsi a Dio, solo in questa speranza che tutto lo chiede, che tutto lo implora, che tutto l'ottiene.
Ecco perché molto spesso Dio ci lascia poveri come siamo; perché qualunque ricchezza apparente di cui oggi ci colmi non farebbe altro che illuderci, ingannarci, impedirci di realizzare quello che dovremmo essere. Anche noi, come già anche Teresa di Gesù Bambino, dobbiamo godere di essere imperfetti, perché qualunque perfezione quaggiù c'inganna e ci tradisce, fintantoché la nostra gioia non si pone soltanto nella speranza, nella preghiera.
La preghiera del cristiano di fatto è partecipazione alla preghiera del Cristo, sempre vivente dinanzi al volto del Padre a intercedere per noi: preghiera che, non dico, implora, ma esige ed ottiene tutto dal Padre. È vero: nella sua natura divina il Figlio unigenito non dipende dal Padre così da poter pregare. Egli è. Non ha nulla da ottenere, perché possiede col Padre un'unica natura divina. Ma egli vive nella natura umana precisamente come esigenza infinita di Dio a una comunione totale, perché è la persona del Figlio che prega nella natura umana assunta. È in tutti noi questo Figlio di Dio che implora dal Padre tutto il dono dell'infinito suo amore, tutta la pienezza della sua santità, tutta la ricchezza gloriosa della sua eternità.
La nostra preghiera non è diversa dalla sua. In tanto, infatti, possiamo pregare oggi e in tanto la nostra preghiera è veramente cristiana, in quanto è inserita nella sua, è una sola cosa con la sua ed ha perciò lo stesso suo contenuto e la stessa sua efficacia.
Non chiediamo poco al Signore e non chiediamo molto: chiediamogli tutto. Non limitiamo la nostra speranza, perché porre ad essa un limite è costringere Dio nelle anguste misure della nostra virtù. Dal momento che in ognuno di noi è Dio che vuol esser glorificato, è Dio che vuol vivere, lasciamo che Dio veramente si comunichi tutto: e la nostra preghiera tanto si dilati, quanto grande è il Bene infinito che dobbiamo ricevere.
In fondo l'esercizio delle virtù non è qualche cosa che si aggiunge alla preghiera dell'uomo viatore: è soltanto un segno che garantisce la verità di questa preghiera. Perché molto spesso le nostre preghiere sono false: si chiede, ma non con assoluta certezza; si chiede, ma con esitazione; si chiede, ma non crediamo di ricevere; si chiede, ma si chiede male; si chiede, ma in fondo noi non siamo in questa nostra preghiera, viviamo altrove da quello che domandiamo. L'esercizio delle virtù, la nostra vita vissuta, è solo la garanzia che la nostra preghiera è vera; ma di fatto tutta la vita dell'uomo quaggiù non è che preghiera. Infatti, come la vita del Figlio di Dio è il colloquio col Padre, così la vita del Figlio di Dio quaggiù, nella sua natura mortale, non può essere che la preghiera: lassù è la lode perfetta, infinita; quaggiù è umile domanda, piena di amore e compiuta con assoluta speranza.
San Tommaso afferma che la vera preghiera dell'uomo è la preghiera di domanda, non perché la lode non sia una preghiera più alta, ma perché ciascuno di noi loda Dio per quello che è, e io son così povera cosa... Quello che loda Dio è la mia preghiera, che gli permette di vivere in me secondo la misura della mia speranza. Quello che loda Dio in me è la mia domanda, che ottiene da Dio — ha già ottenuto anzi da Dio — che egli viva in me secondo la misura del mio desiderio.
Chiedi dunque infinitamente, perché Dio infinitamente possa donarsi e infinitamente in te possa essere glorificato, vivendo nel tuo piccolo cuore.
Ecco - mi sembra - tutta la vita dell'uomo, tutta la vita del figlio di Dio fintantoché vive quaggiù peregrino lontano dalla patria.
La condizione dell'uomo sulla terra è di essere figlio di Dio, ma di non realizzare ciò che tutto questo vuol dire. Il dono che egli ci ha fatto di sé non si manifesta per noi nel godimento di un bene posseduto così pienamente da poterne fruire, ma piuttosto nel sentimento che l'anima ha di quanto essa spera, di quanto essa vuole, di quanto essa desidera da Dio. Certo l'inferno è desiderio, ma è desiderio insoddisfatto e che non potrà mai essere soddisfatto. È quello che dice, in fondo, il buddismo: «La sofferenza dell'uomo dipende dal desiderio. Distruggi i tuoi desideri e tu allora non conoscerai sofferenza ». Ma per il cristiano è vero il contrario: il desiderio del cristiano è l'espressione stessa di un dono ormai ricevuto. Quello che chiedi, tu lo possiedi. Quello che vuoi, tu lo hai. Perché non potrebbe Dio accettare di essere secondo te, di aspettare cioè che tu manifestassi a lui un tuo bisogno, per colmarti di amore. È il bisogno invece che tu provi il segno che egli, non dico, ti vuoi donare, ma ti ha già dato, anche se non lo sai. Tu sai, dunque, quello che hai ricevuto, dall'esperienza che hai del tuo bisogno, dall'esperienza che hai di quello che vuoi, di quello che speri, di quello che desideri da lui. Dio è per te precisamente quello che egli ti fa sentire di voler essere per te.

Tutto questo può sembrare una cosa molto semplice, anche troppo semplice. In realtà, invece, determina tutto un atteggiamento diverso nella nostra vita interiore: la certezza assoluta, cioè, che tutto è già nostro, che la nostra preghiera è sempre vinta dall'amore infinito di Dio, che non soltanto l'ha preceduta, ma ci ha dato di più, infinitamente di più di quanto l'anima crede di dover ottenere ancora.
Hai già ottenuto, e più di quanto tu chiedi.
Ecco quello che è l'atteggiamento dell'anima: nonostante l'esperienza della sua povertà, della sua debolezza, essa sa di essere veramente figlia di Dio, sa di poter contare sull'amore infinito del Padre e nello stesso tempo è consapevole che questo amore già tutto si è diffuso negli abissi creati del cuore umano, che a lui si apre nella speranza.
Com'è bello camminare in incognito in questo mondo e sentirci i sovrani, e sentire che tutto l'universo è per noi, è come un giocattolo che Dio ci ha dato. Che questa storia — della quale facciamo parte e nella quale sembriamo praticamente scomparire — che questa storia non è nulla nei confronti dell'atto onde l'anima, nella speranza, ha la visione dell'amore infinito di Dio che in lei si effonde. E dobbiamo sentire veramente che siamo questi re che vivono in incognito, questi sovrani che possono gettar via tutta la loro ricchezza, perché quanto più ne gettano tanto più posseggono, pur vivendo sotto le vesti di un mendicante. Noi siamo questo. Viviamo qui e non altrove: viviamo sotto la povertà di una vita comune, a volte anche troppo comune, anche troppo ordinaria, anche troppo misera e imperfetta... eppure tutto il Paradiso è chinato verso di noi, le mani di Dio ci portano, ci sollevano fino a sé, egli ci stringe al suo cuore. Non solo tutto l'universo è per noi, non solo tutta la storia è ordinata a noi, ma Dio stesso tutto si piega come Padre a noi che siamo suoi figli. Ce ne rendiamo noi conto? Questo vuol dire la preghiera cristiana.
La preghiera cristiana è l'esperienza di un dono già ricevuto, che per te si esprime nel desiderio, nella speranza: non c'è dubbio. E d'altra parte è cosa sconcertante che noi dobbiamo chiedere quello che già abbiamo, sperimentare quello che già possediamo, solo nel bisogno, come chi nulla possiede. Di fatto l'esperienza nostra di Dio non è il sentimento della sua presenza, ma della sua assenza; e così l'esperienza più vera dei beni divini non è l'esperienza, il godimento di questi beni, ma il sentire il desiderio di possederli, questa brama che ci brucia, di poter essere colmati da tutta la ricchezza di Dio. La vera esperienza per noi, di questi beni divini, è la loro assenza. Che cosa vuol dire?
Vuol dire che per noi, fintantoché viviamo quaggiù, non è possibile ricevere dono da Dio che in quanto sperimentiamo il vuoto e, nel vuoto della creatura, il desiderio di possedere il vero Bene. Questo Bene si fa presente nel desiderio che accende di sé, si fa presente nel cuore, nella speranza che alimenta. Ma il desiderio e la speranza non rimandano a un futuro, piuttosto sono segni di un passato, di un dono già ricevuto da lui.
Il dono già ricevuto! Perciò, se tu preghi, non devi pensare per questo che il paradiso si apra soltanto domani, né che la santità sia una mèta che raggiungerai soltanto domani, né che la gioia sarà un dono che il Signore ti farà; devi pensare che il paradiso già è il tuo regno, che la santità è già la tua vita, che la gioia divina è già la tua eredità, che Dio stesso tutto è per te, è tuo, è già tuo. Se tu pensi che Dio ti è estraneo, tu l'offendi: tu offendi, infatti, l'amore. Che cosa vuol dire per uno amare, se non donarsi? Se tu pensi che Dio non si sia ancora donato, per te Dio non è ancora l'amore. Se tu vuoi pensare che Dio è Dio, devi immediatamente pensare che egli non è altro da te, perché nella misura in cui rimane altro da te, egli non ha realizzato ancora di essere Amore: Dio cioè non è ancora l'Amore per te. Se Dio veramente è l'amore, egli non lo è che in quanto a te si è donato, che in quanto a te si è comunicato, che in quanto vive nel tuo cuore stesso.
Il vero peccato è quello di non credere all'amore. Dal momento che Dio è l'amore, non si potrà credere in questo amore divino che nella misura in cui lo si accoglie dentro di sé. Come potrebbe Dio essere amore se non si donasse? come potrebbe Dio essere amore se, avaro, mi sottraesse qualcosa dalla sua intima vita? Ma proprio perché è l'amore, egli vive in me; così come io non sono in me, sono in lui. Se io lo penso fuori di me, non offendo me stesso, offendo lui, perché impedisco a lui di essere realmente l'Amore.
La preghiera cristiana è la certezza - che si esprime nella speranza - di questa presenza che colma già tutti gli abissi dell'anima; l'esperienza, nella speranza che invoca, di un dono che è pari all'infinito amore di Dio. Questa è la preghiera cristiana; sotto le vesti, sotto l'espressione di un desiderio che sembra essere il segno della tua debolezza e della tua povertà, devi vivere già la certezza di una pienezza infinita che ti colma, riempie il vuoto della tua anima che tanto più è grande, quanto più grande è il tuo desiderio; ma quanto più è grande, tanto più manifesta anche grande il dono che hai ricevuto da lui.
Che cosa, perciò, misura la nostra santità? il nostro bisogno. Che cosa misura l'amore di Dio nel cuore dell'uomo? quello che chiediamo. Ecco perché il nostro peccato non è l'osare troppo, non è la presunzione, è la timidezza: chiediamo troppo poco. Noi offendiamo Dio dal momento che non chiediamo di essere più santi dei grandi santi, che pensiamo di doverci contentare di meno che di Dio stesso. Non si tratta di esser santi secondo una nostra misura, ma secondo la sua; se egli è l'Amore non ci dona qualcosa, ci deve donare se stesso; e se ci dona se stesso, ci dona l'infinito.
Non possiamo quindi porre limiti alla nostra speranza, dobbiamo crescere sempre di più nel nostro desiderio che si apre all'infinito amore di Dio, dobbiamo aprirci sempre di più nella speranza che implora, perché è proprio questa speranza la misura stessa del dono. E il dono è Dio stesso...
Se nella nostra preghiera viviamo la preghiera stessa del Figlio, noi allora possiamo capire qual è il contenuto e la natura della preghiera cristiana; e questo è fondamentale. Dice infatti Gesù nel quarto Vangelo : «Qualunque cosa domanderete al Padre in nome mio, egli ve la concederà» (Gv 16, 23).
Che cosa vuoi dire «pregare in nome di Cristo»? partecipare alla preghiera del Cristo? far nostra la preghiera del Figlio di Dio? Una cosa molto semplice, semplice e immensa: Dio si è fatto uomo perché l'unigenito Figlio di Dio, che è uguale al Padre, ottenesse per la natura umana, nella quale egli sussiste, tutto quello che gli appartiene nella sua natura divina, come uguale al Padre dei cieli. Quindi, quello che dobbiamo ottenere da Dio è pari a quello che il Verbo è nella natura divina. Noi lo dobbiamo ottenere, o piuttosto egli ce lo da gratuitamente, e la nostra preghiera dev'essere così ampia, così smisurata nella sua richiesta, come ampio e smisurato è il bene dell'unigenito Figlio di Dio. Perché Dio non potrebbe non essere Dio, e non ricevere tutto dal Padre, anche in quella natura umana nella quale egli sussiste. È il Verbo di Dio, è la seconda Persona della SS. Trinità, che sussiste nella natura dell'uomo - ma sussiste anche nella natura di Dio: uguale al Padre nella gloria, nella santità, nella ricchezza, nell'eternità, sussiste nella natura umana, nella povertà, nel vuoto di una capacità che tutto deve accogliere da Dio. E la preghiera di questo Figlio di Dio, della seconda Persona della SS. Trinità, la quale sussiste nella natura umana, diviene perciò un'efficace, irresistibile esigenza di questa stessa seconda Persona divina, perché il Padre versi, effonda, colmi tutti gli abissi della creazione con le stesse ricchezze della sua natura divina. Nella natura umana il Verbo di Dio deve possedere quello che possiede nella natura divina come Unigenito Figlio del Padre.
Ecco la preghiera che noi viviamo. La preghiera nostra non è che una partecipazione alla preghiera del Cristo, ma la preghiera del Cristo è precisamente questa: « Padre... glorificami nel tuo cospetto con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse » (Gv. XVII, 5). Nella sua natura umana egli irresistibilmente attrae a sé tutta la ricchezza infinita di Dio; e poiché noi siamo questa natura, è nostra quella stessa preghiera. Per tutto quello che Dio è, Dio deve essere in me, deve donarsi a me.
Quello che più colpisce nella santità veramente eccezionale di santa Teresa di Gesù Bambino è che — invece di essere un limite ai suoi desideri — la sua povertà e la sua debolezza divenivano per lei occasione per estenderli ancora di più; e questo perché non commisurava i suoi desideri alle sue capacità, ma a Dio stesso, del cui amore mai aveva dubitato. L'esperienza religiosa di questa giovanissima grande santa - una delle più grandi che abbia avuto la Chiesa - dovrebbe essere anche per tutti noi norma viva. I nostri peccati non sono, non possono essere mai un motivo perché le nostre ambizioni debbano essere meno grandi, perché Dio in noi non deve soddisfare noi stessi, ma deve soddisfare se medesimo infinito.
Tanto quanto Dio è, tanto voglio e nulla di meno. Ecco che cosa è la preghiera. Dio non avrebbe nessuna difficoltà a soddisfare tutte le brame naturali di un cuore umano... Ma, ancora una volta, non si tratta di soddisfare l'uomo, si tratta di soddisfare Dio stesso, che vive in noi, per ottenere per noi quello che egli possiede in sé nella natura divina come Figlio unigenito: non altra gloria, non altra ricchezza, non altra santità, perché in ciascuno di noi Dio deve in qualche modo moltiplicarsi, perché da ognuno di noi possa esser posseduto, perché ognuno di noi possa essere per lui il Figlio nel quale egli pone ogni sua compiacenza, nel quale egli possiede la sua gloria e la sua santità, il Figlio che riflette per lui tutto lo splendore della sua gloria infinita.
La preghiera cristiana è, dunque, il gemito dello Spirito che già vive nel cuore dell'uomo, attestando perciò il dono che Dio ha fatto di sé all'anima umana; ma il dono si esprime per noi in un gemito. Il carattere proprio della vita presente è tutto qui, come è qui il carattere, per esempio, della presenza di Dio: Dio è presente sotto i veli di morte, sotto un abito esterno di morte, nell'Eucarestia. Il segno dell'umiltà, della debolezza, della nostra stessa povertà, del nostro bisogno, non sono che veli in prestito che nascondono, ma anche garantiscono la presenza dell'ineffabile Regno.
Il nostro desiderio, perciò, non è segno di sofferenza; o, se è tale, è una sofferenza che maschera ma anche garantisce l'ineffabile gioia di una Presenza immutabile di amore. Il nostro desiderio, la nostra speranza, non rimandano dunque a un domani; già noi viviamo, sotto i veli esterni di una condizione umana di pena, il possesso, la presenza, l'ineffabile dono di un Dio che a noi si è comunicato e vive nell'anima nostra.
Dio è mio. Dio, in quanto è l'Amore, tutto io lo posseggo. Egli in me e io in lui: la nostra vita è già una. Sia la nostra preghiera davvero l'esperienza di una vera presenza divina, il segno di una ineffabile, misteriosa, ma reale unità con Dio, perché la preghiera è la partecipazione a quel dialogo che è del Figlio col Padre, del Padre col Figlio, dialogo che suppone l'unità di una stessa natura. Per quanto riguarda noi, è solo l'unità di quell'amore che, pur lasciando distinti l'Amante e l'amato, non sopporta divisione fra loro e fa dell'Amante e dell'amato un essere solo, una sola carne, dice il Vangelo, un solo spirito dice san Paolo, una sola vita, una sola gloria, una sola santità, dice l'esperienza cristiana.
Il Verbo di Dio chiede, per la natura umana assunta, quanto egli è nella sua natura divina. Questa preghiera è la norma ultima, il contenuto supremo, e anche il risultato della preghiera del Cristo come della preghiera cristiana. « Glorificami tu, Padre, presso di te, con quella gloria che io ebbi presso di te prima che il mondo fosse » (Gv 17, 5). Non può rifiutare il Padre al Figlio di donarsi totalmente, di comunicarsi totalmente. Ma questa comunicazione che il Padre fa di se stesso al Figlio nella generazione eterna, ora, per la preghiera del Cristo, diviene il traboccare infinito di Dio nella natura umana in cui il Verbo stesso sussiste. E la natura umana siamo tutti noi, è tutta quanta la creazione. Dio non può negar nulla di sé dal momento che è il Figlio che prega, perché nulla il Padre può sottrarre al Figlio suo unigenito, anche se egli sussiste ora nella natura umana, oltre che nella natura divina.
Di fatto, al Figlio di Dio che sussiste nella natura divina, egli non soltanto non sottrae, ma neppure potrebbe sottrarre nulla: egli è il Padre soltanto in quanto si comunica al Figlio; ma il Figlio ora vive, nella natura umana, come preghiera che implora per questa natura il dono totale di Dio in se medesimo. Così in questa preghiera noi abbiamo la norma della preghiera cristiana e il suo contenuto. È una preghiera che non ha, non può avere altra forma che questa: che Dio sia Dio. Per tutto quello che egli è, egli è l'amore che si dona; per tutto quello che egli è, egli è l'amore che io debbo accogliere in me.
Ma tutto questo che cosa implica? Che cosa esige? Esige che noi siamo il vuoto, siamo pura capacità che lo accoglie. Non abbiamo più nome, non abbiamo più nulla, perché tutto quello che abbiamo è una misura che opponiamo per non essere investiti, per non essere colmati dalla pura e indivisibile presenza di Dio. La nostra preghiera dunque, se suppone qualcosa in noi, suppone precisamente il nostro morire, il nostro venir meno a noi stessi; la dimenticanza totale di ogni virtù, come di ogni nostro peccato, di ogni merito come di ogni demerito, di ogni piccolo desiderio come di ogni piccolo timore.
La preghiera nostra dunque suppone già la Presenza: si prega per quello che abbiamo già ricevuto, non per quello che dobbiamo ricevere; nella nostra preghiera già prende forma una certa coscienza di quello che Dio è per l'anima nostra. E allora è necessario che la preghiera veramente si traduca nelle parole del Cristo, e sia la preghiera che tanto chiede quanto Dio è. Nulla di meno! Ma se la nostra preghiera deve chiedere quanto Dio è, nulla di meno, s'impone per questo che la capacità che accoglie questo Dio sia una capacità grande quanto è grande Dio. Ora, che cosa è proporzionato a Dio che è il Tutto, se non il nulla? Che cosa dunque possiamo offrire a Dio perché egli ci ricolmi di sé? Un'anima che sia vuota di ogni desiderio personale, di ogni senso di proprietà, di ogni ricordo di sé. È bello che non abbiamo virtù, ma è ugualmente bello che dimentichiamo anche i nostri peccati, perché tanto i nostri peccati quanto le nostre virtù non sono mai un titolo per accogliere Dio, né tanto meno potranno mai misurare la sua misericordia, la sua infinita giustizia, per quanto riguarda il peccato, per quanto riguarda le nostre virtù. Conviene dunque che al dono di Dio si offra un'anima che è vuota totalmente di ogni ricordo di se stessa. Non che si debba vivere sperimentalmente questa morte: è non solo difficile, ma addirittura impossibile per l'uomo vivere costantemente la sua morte, cioè il pieno oblio di sé - a questo oblio non si giunge se non per specialissima grazia di Dio - ma dovremmo sforzarci di dare il minimo d'importanza a tutto quello che facciamo, a tutto quello che siamo, così da perdere il più facilmente possibile il ricordo di ogni nostro merito o di ogni nostro peccato. La cosa più importante per noi è che, almeno abitualmente, a questa preghiera che invoca tutta la ricchezza di Dio, non siamo impediti dal ricordo di quello che siamo, di quelle che possono essere le nostre piccole necessità, o le nostre aspirazioni sia pure grandi. Che in noi non è l'uomo che aspira, in noi non è l'uomo che prega, ma il Figlio di Dio. Glorifica me tu Pater apud temetipsum... È Dio stesso che chiede e non chiede che Dio. Ma Dio diviene preghiera quando si fa uomo, perché a questa natura umana egli vuole far affluire tutti i torrenti di grazia, tutto lo splendore della gloria, tutta la pienezza della santità che è propria del Padre.
Vivere in un costante oblio di noi stessi: questo lo possiamo fare cancellando ogni ricordo di tutto quello che siamo.
Che cosa siamo noi per opporre questo fragile schermo all'infinito oceano dell'amore divino che vuol sommergere ogni cosa? Che cosa mai sono tutti gli eroismi dei santi? Che cosa mai sono tutti i peccati degli uomini? Conviene dunque che tanto il peccatore quanto il santo dimentichino totalmente se stessi per accogliere Dio, che è infinitamente più grande e dell'abisso dell'umana colpa e della povertà dell'umana virtù. Dovremmo vivere in un costante oblio di noi stessi e mantenerci aperti ad accogliere questa immensa ricchezza di Dio che tutta vuol travasarsi nel mondo, anzi nel nostro piccolo cuore.
Il mondo infatti non sarebbe capace di accogliere Dio: lo accoglie soltanto colui che può rivolgersi a lui in un dialogo di amore. Perché Dio è essenzialmente persona e il mondo non accoglie Dio che in quanto diviene persona nell'uomo, che come il Verbo di Dio e nel Verbo di Dio si fa dinanzi al Padre — pros ton Theon — e lo guarda e lo prega. Può sembrare che in fondo sia sempre lo stesso argomento quello che noi trattiamo, ma è proprio questa la grandezza dell'insegnamento spirituale. Se dovessimo dire tante cose, vorrebbe dire che siamo ancora alle pendici del monte. Dice Dionigi il Mistico: «È quando noi siamo lontani da Dio, è in una teologia che guarda soltanto Dio dal di dietro, che l'insegnamento diviene lungo e disteso, e ha bisogno di moltiplicare i suoi simboli, i suoi argomenti e i suoi trattati... Così quando trattai, nella teologia simbolica, di Dio, dovetti scrivere tanti e tanti volumi. Poi, quanto più mi sono avvicinato a Dio e ai nomi divini, tanto più il mio discorso si è fatto breve. Ma ora poi che debbo giungere a parlare della mia unione con lui, non posso più parlare, tutta la teologia termina nel puro silenzio, o almeno in una sola parola ».
È giusto che tutta la vita cristiana si veda in questa luce di un colloquio, di un dialogo, di un aprirsi dell'anima a colui che, come amore, nell'anima tutto si effonde.
Non preoccupiamoci dunque di grandi cose, non cerchiamo qua e là continue novità per soddisfare la curiosità della nostra ragione, ma chiediamo al Signore piuttosto che la nostra anima finalmente si affisi nella luce abbagliante di questo sole, che si apra all'effusione di questo oceano di grazia che è il Padre celeste.
Tu sei il figlio di Dio, figlio nel Figlio. Tutti i tesori del cielo sono già tuoi. « Perché ti attardi — diceva san Giovanni della Croce - nei tuoi bassi modi umani, quando tutto è tuo e tutto è per te?». E queste parole rimangono vere: non soltanto per il mistico che vive abitualmente in Dio, ma anche per la più piccola delle anime il Figlio di Dio si è fatto uomo e ha donato il suo sangue; anche per la più piccola delle anime, Dio è veramente l'amore che ama, dunque l'amore che tutto si dona e vuol essere posseduto dall'anima stessa.
Non fondiamo la nostra vita spirituale sulle nostre virtù, o sui nostri peccati, ma sulla grazia dell'amore divino che tanto più è certo quanto più l'anima lo riconosce veramente come gratuito e perciò anche immenso nella sua realtà.
Che Dio sia Dio: altra preghiera l'anima non può rivolgere a lui.
Che Dio sia Dio per me, che Dio sia Dio in me. Dice la Sacra Scrittura che il nome di Dio è Amore. Ma Dio non è l'amore in se stesso; l'amore implica libertà. Dio, se vuol essere amore, si deve donare totalmente. Certo, egli è altro dall'uomo. E proprio perché altro dall'uomo può essere l'Amore: ma proprio perché viene in me è anche l'Amore. Essendo altro da me può amarmi, ma non può essere amore fintantoché in me veramente tutto non s'è versato, effuso, fintantoché in me totalmente non vive.
Nella misura in cui egli può essere in qualche modo fuori di me, ancora non ha realizzato se stesso come amore infinito. È certo che Dio vuol donarsi tutto, è certo che Dio vuole amare secondo l'infinita misura dell'essere suo; ma la misura dell'amore divino non è in Dio che ti ama, è in te che non credi al suo amore, è in te che non ti apri abbastanza ad accoglierlo tutto. Ed è precisamente nella misura in cui noi non crediamo abbastanza a questo amore divino che consiste il nostro peccato, perché impediamo in qualche modo a Dio di essere Dio in noi.
Certo in se stesso egli è Dio, ma egli non è l'amore che si dona che in quanto vive in colui che è amato: e ognuno di noi è la sposa cui egli si da. Notate bene: nelle relazioni divine, nelle relazioni sussistenti in seno alla Trinità non vi è la sposa e lo sposo. Ed è il mistero ineffabile dell'amore quello che lega lo sposo alla sposa e viceversa. È precisamente in questo rapporto che si esprime l'amore. L'amore di una madre non è in certo senso vero amore, perché la madre non ama che se stessa, non ama che la propria carne. Il vero amore implica sempre - come dice Dionigi il Mistico - l'estasi, cioè un uscire di sé. E Dio ama nell'estasi infinita di un amore onde si fa uomo, onde esce di se stesso per comunicarsi al mondo.
Perché questo, in fondo, è la creazione: la condizione per Dio di comunicarsi al di fuori, per moltiplicare in qualche modo l'infinita pienezza dell'essere suo in ciascun'anima che l'accolga. E siccome non vi è mai proporzione fra la creatura e Dio, l'unica condizione per riceverlo totalmente è l'oblio di noi stessi per offrirci totalmente nudi e vuoti di noi, all'ineffabile amore onde siamo amati. Non abbiamo nulla da rimpiangere: basta soltanto essere nulla per poter ricevere il Tutto. Questo ci mette nella condizione prossima di poter ricevere subito tutto il Signore, in questo stesso momento; di essere pronti a morire come a vivere : tanto la nostra preparazione non potrebbe mai essere proporzionata a ricevere Dio... In ogni istante tu devi riceverlo tutto, in ogni istante tu devi aprire l'animo tuo ad accoglierlo interamente, qualunque sia la tua esperienza di debolezza, di povertà, di aridità, di impotenza...
Condizione proporzionata a ricevere Dio è solo una fede che totalmente spoglia di sé si offre all'amore divino, è il vuoto che l'anima fa di se stessa nel puro oblio di sé per offrirsi all'amore: è questa fede umile, viva, che Dio è, e che, per quanto è, egli è l'Amore che ti ama e che vuol essere in te.
Come Cristo Gesù è nel seno del Padre e pur dimora fra noi, così noi siamo un sol corpo con lui, viviamo nel mondo eppure già viviamo nel seno del Padre, già siamo veramente colmati di tutte le ricchezze divine.
Noi dobbiamo essere coscienti di questa nostra condizione: il paradiso non viene domani...

Edited by fra roberto - 8/2/2016, 17:02
 
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