Fra Noi

La Pira

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view post Posted on 10/2/2016, 14:36

Fra Noi

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Staccare la grazia dalla natura, separare, facendone due mondi senza vicendevole comunicazione, l'ordine soprannaturale da quello naturale significa compiere qualcosa di scardinante: un'operazione destinata a sovvertire tutto l'ordine teoretico e pratico sul quale si era edificato il corpo universale della cristianità. Qualcosa che può essere paragonato alla disintegrazione dell'atomo ed al venir meno della forza di gravitazione regolatrice delle orbite dei pianeti.
D'ora innanzi l'azione umana non avrà più, come rettificante ed elevante, l'alveo della grazia: si svolgerà autonomamente nel suo irrimediabile processo di peccato, incapace come che sia di redenzione.
La nuova epoca - l'età moderna! - sarà l'epoca della natura senza la grazia, dell'uomo senza Cristo, della filosofia senza la teologia, dell'arte senza la religione, del diritto, dell'economia e della politica senza, la morale, dello Stato senza la Chiesa, della terra senza il Cielo!

La piramide dei valori così sapientemente costruita nel corso di quasi un millennio e mezzo di storia è ormai tragicamente spezzata: comincia un'epoca di rivolta. Le conseguenze? Gli sviluppi dell'azione umana (azione politica, economica, culturale) pur non potendo radicalmente sottrarsi alle influenze anche indirette dell'Evangelo - nessuno potrà mai staccare dal cuore dell'uomo certe « orientazioni » nuove e certe intime fermentazioni di bene poste definitivamente dalla grazia di Cristo! - non avverranno più sotto il controllo e dentro l'alveo della Chiesa Cattolica. Da qui la conseguenza che le vaste crescite dell'azione umani nell'età moderna - si pensi alla nascita del mondo industriale e capitalista, alla formazione di una potente borghesia, al moto culturale dell'illuminismo inglese e francese e all'Enciclopedia che ne è l'espressione più tipica, alla genesi della nuova Europa a struttura nazionale e, infine, ai movimenti di vasta portata ispirati all'ideologia socialista e comunista - saranno ineluttabilmente costituite sopra basi metafisiche e religiose diverse da quelle cristiane: tutto l'ordine naturale dell'uomo tenterà di costruirsi come «l'ordine dell'autonomia», disancorato dall'ordine soprannaturale di Cristo e di Dio. Sta qui l'essenza della civiltà contemporanea e sta qui pure, l'essenza della sua smisurata crisi: perché il problema è proprio questo: saranno solide le basi ideologiche, diverse da quelle cristiane, sopra le quali riposa questo tipo «nuovo» di civiltà? O avremo una applicazione di quella semplice, ma così poco meditata eppure così eloquente, parabola del costruttore stolto che edificò sopra la sabbia anziché edificare sopra la roccia?
La risposta non è dubbia per chi voglia con animo aperto dare un giudizio complessivo sulla crisi gigantesca che attraversa l'Europa ed il mondo: l'ordine naturale dell'uomo - l'intera scala dell'azione umana: economica, familiare, politica, culturale, religiosa - non ha saldezza se staccata dall'ordine soprannaturale di Cristo: questo è un complemento indispensabile di quello: solo con l'inserzione del primo nel secondo si solidifica e si gerarchizza il secondo: "Senza di me non potete far nulla".
Operare entro l'orbita della grazia di Cristo, a quindi, entro l'orbita della Chiesa di Cristo, significa agire in conformità all'unica legge di gravitazione che è regolatrice della totalità dell'azione umana: fuori di quest'ambito l'uomo si trova nella posizione di un astro esorbitato: le costruzioni che egli tenta, per quanto cariche di prudenza, sono destinate ad ineluttabile rovina.
Siamo qui in presenza di una legge di costruzione che non può mai essere impunemente violata. Il dramma dell'uomo è posto in questo inflessibile dilemma: o costruire con Cristo, componendo nell'alveo della dottrina di Cristo, della grazia di Cristo e della Chiesa di Cristo l'equilibrio sempre rinnovantesi delle forze umane in crescita nel mondo; ed in questo caso la costruzione avrà una solidità intrinseca capace di sfidare il tempo e le avversità; o costruire senza Cristo e contro Cristo; in questo secondo caso l'equilibrio delle forze umane diventa precario e momentaneo; l'edificio costruito non può sottrarsi ad una paurosa rovina.
Da questo dilemma non si esce: è l'unico teorema che dovrebbe essere iscritto sul frontone di ogni palazzo del governo. La regola aurea dell'azione individuale e collettiva, familiare, economica, politica e religiosa, è questa: il metro che valuta infallibilmente le crisi umane è questo: perché questo metro include il mistero dell'Incarnazione.
Se Cristo è Dio il valore del suo insegnamento è assoluto: il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Ma lo strazio è questo: si proclamò l'autonomia dell'uomo e la sua liberazione da ogni vincolo, e da ogni elevazione soprannaturale e si pervenne, invece, all'annientamento teorico e pratico del valore individuale dell'uomo. Le prove non mancano.
Si pensi alla civiltà borghese-capitalista fiorita sopra le basi metafisiche della riforma, dell'illuminismo inglese e francese e della stessa meditazione kantiana.
Si direbbe che apoteosi più alta dell'individuo non potrebbe essere costruita: tutta la corrente di pensiero che va dalla riforma ad Hobbes, a Locke, a Rousseau, a Kant ha per suo nucleo centrale l'individuo ed i suoi diritti: i caratteri della sociologia che ne è derivata non potrebbero essere più marcatamente individualisti. Diritti naturali dell'uomo, contratto sociale, volontà della maggioranza, dignità (kantiana) della persona, sono tutti motivi essenziali a questo illuminismo acceso che domina il Settecento e che si proietta, anche se vivamente contrastato, su tutto l'Ottocento.
Ma in realtà cosa è avvenuto? Sganciato l'uomo da Cristo e dal Corpo mistico al quale, come membro apparteneva, si è spezzato quell'equilibrio di solidarietà fraterna nel quale soltanto possono armonicamente comporsi le forze individuali: così si è determinata la nascita di quella minoranza di oppressori e di quella immensa maggioranza di oppressi che caratterizza l'economia capitalista dell'incipiente Ottocento.
Dove è, per questa gigantesca folla di « poveri », la dignità della persona, la libertà politica, l'eguaglianza giuridica e così via?
La reazione socialista e comunista non è - sotto certi aspetti - affatto priva di fondamento: la critica dell'economìa capitalista e della correlativa « civiltà borghese » — cioè di una economia e di una civiltà generale fuori dall'alveo del Cristianesimo — è legittima.
Ma la critica in nome di che cosa? Con quale metro misurare le essenziali deficienze del sistema?
Sta qui tutto il problema: se la « metafisica » illuminista dell'uomo è incapace di costruire un sistema economico e politico tale da assicurare in concreto la dignità ed il valore della persona, quale altra metafisica sarà sempre capace di fare da base ad un sistema economico e politico nel quale questo valore sia assicurato?
Restando fuori del Cristianesimo non c'è via di scampo: il pendolo che era violentemente oscillato verso destra non potrà che oscillare, con pari violenza, verso sinistra: all'individualismo di Hobbes, Locke, Rousseau, Kant, sarà sostituita la statolatria idealista di Hegel o quella materialista di Marx.
Terrificante « metafisica » dell'uomo quella che sta a base della dialettica hegheliana e marxista; l'individuo è tutto chiuso nei duri ingranaggi di
un processo storico che irrimediabilmente e definitivamente lo schiaccia!
Schiacciato a destra dagli ingranaggi dell'industrialismo che lo riduce al valore di una ruota della macchina produttiva, schiacciato a sinistra dagli ingranaggi di una « dialettica » statale o razziale o economica che si serve di lui come di uno strumento, senza libertà e senza volontà perché fornito di libertà e di volontà soltanto derivate. Il dramma - divenuto attualmente tragedia di proporzioni mai viste! - sembra senza soluzione.
Tutti avvertono che la crisi è di tutto il sistema: che c'è qualcosa di fondamentalmente negativo - pur senza disconoscerne i vasti apporti - all'inizio di questa civiltà che ha fatto formale apostasia da Cristo.
È vero: da qualche tempo la « crisi della persona» costituisce uno dei motivi essenziali della meditazione più vivace e più significativa del nostro tempo.
Non alludo qui alla energica attività di richiamo su questo tema compiuto dai vari settori europei del cattolicesimo contemporaneo: è risaputo, infatti, come intorno alla persona umana, al suo valore, alla sua crisi, ai suoi riflessi sociali, i cattolici di tutti i paesi d'Europa abbiano accentuato vivacemente la loro meditazione.
E si capisce: come si potrebbe affondare l'occhio indagatore sulla crisi della civiltà contemporanea trascurando, o non mettendo nel dovuto rilievo, quel punto che costituisce il centro nevralgico nel quale la crisi si radica?
Va al riguardo soprattutto citata l'ampia letteratura dovuta ai cattolici di Francia: oltre gli studi del P. Gillet, del P. Garrigou-Lagrange, del Maritain, ed oltre la raccolta delle relazioni delle Settimane di studio dei cattolici francesi, va in modo particolare ricordato il numero speciale degli Archives de philosophie XIV (1938) dedicato interamente alla persona umana.
Non meno approfondita, anche se meno ampia, è la meditazione dei cattolici italiani in proposito: oltre l'ampio studio critico di Gonella, vanno ricordati i lavori del P. Messineo, del Pavan, del P. Brucculeri, ecc. Questa meditazione dei cattolici fu suggellata e riaccesa dal messaggio natalizio 1942 di Pio XII: un messaggio di ampie proporzioni che contiene una dottrina centralizzata dal tema della persona: sotto lo stimolo di esso viene compiendosi un lavoro di analisi che rimette in discussione e fa oggetto di valutazione e di critiche l'intera struttura culturale, politica, giuridica ed economica dell'attuale tipo di civiltà.
Ma le reazioni personaliste che qui ci preme di porre in risalto sono quelle che derivano da altri vasti settori della cultura europea: quelle, soprattutto, che in un modo o nell'altro si richiamano alla « esperienza » di Kierkegaard.
L'accento è qui decisamente posto sull'individuo, sul singolo: la reazione contro l'idealismo hegheliano, il materialismo marxista, ed ogni forma di storicismo svalutatore dell'uomo è qui violentemente espressa.
Il problema, l'unico problema della metafisica e della vita, è il problema dell'uomo: il problema drammatico dell'«esserci» dell'uomo.
Non per nulla c'è un testo agostiniano che viene quasi posto sul frontone di questa costruzione metafisica che rimette in circolazione certi essenziali motivi della meditazione cristiana: la morte, l'angoscia, il peccato, la grazia, la resurrezione. Ego certe labore et labore in meipso, factus sum mihi terra difficultatis et sudoris nimii.
I nomi di Heidegger, Jaspers, Max Scheler, N. Hartmann, Gabriel Marcel, Berdiaeff, Lavelle, K. Barth, Abbagnano, Guzzo ecc., vengono qui necessariamente richiamati: sotto l'impulso di motivi dichiaratamente o segretamente o unilateralmente cristiani la meditazione di tutti ha come centro questa angosciosa domanda: ma l'uomo cosa è? Quale dramma interiore ne costituisce la fatica ed il valore? Cosa è mai la morte che lo colloca in una zona di frontiera fra il tempo ed il nulla o, se si vuole, fra il tempo e l'eterno? Perché quella lacerante dialettica di peccato e di rinascita, di disperazione e di speranza, di morte e di vita, che lo fa diventare una battaglia senza esito ed nn dramma senza soluzione?
Non si può certo negare il singolare valore suggestivo di questa così vivace e dolorante meditazione intorno all'uomo.
Le fonti sono palesi: S. Agostino, Pascal, I'« Imitazione di Cristo», la letteratura di «sinistra» circa la grazia e la predestinazione; un Cristianesimo « torbido»; una fermentazione faticosa, talvolta disperante, della grazia di Cristo; una conversione iniziale dell'uomo a Cristo; il primo atteggiamento di reazione dolorosa della natura peccatrice investita dalla estrema purità della grazia, qualcosa che potrebbe ricordare da lontano le « notti » purificatrici e dolorose di S. Giovanni della Croce.
Ma si tratta, in genere, di un Cristianesimo senza efficacia liberatrice: un Cristianesimo che soltanto agita senza risolvere questa dura inquietudine dell'uomo! Forse che l'angoscia è fine a se stessa? Forse che il valore dell'uomo consiste nel fatto dolorante della morte che attimo per attimo lo consuma e lo aspetta? Che senso ha un dramma che non trova soluzione alcuna? Un peccato che non si redime? Una fede che non riesce a spezzare i confini del tempo e che non riesce ad elevare effettivamente l'uomo dal piano del dolore e della morte a quello della gioia e della resurrezione, che fede è mai?
Altra cosa è l'aver coscienza della presenza di questo dramma e di questo dolore durante tutta la vita terrena dell'uomo, ed altra cosa è far di questo dramma, e di questo dolore la via senza uscita nella quale l'uomo è ineluttabilmente posto.

La vita cristiana è certamente dinamica, drammatica, angosciata; ma al di là del moto c'è la dolcezza della immobilità riposata in Dio; al di là del dramma, c'è la pace santificatrice di Dio; al di là dell'angoscia, c'è la gioia rasserenatrice di Dio! Ut gaudium meum in vobis sit, et gaudium vestrum impleatur. La Croce, va benissimo; segno inconfondibile di Cristo; ma dopo la Croce c'è la resurrezione: se Cristo non è risorto, anche il valore della Croce è evacuato.
La grazia non è senza efficacia sanatrice per la natura corrotta nella quale si inserisce: sta qui la radice dalla quale germogliano indissociabili il dolore e la gioia, la morte e la resurrezione, l'impotenza e la forza; questi due aspetti del Cristianesimo sono inscindibili; c'è la lotta, c'è la fatica, c'è l'asprezza; ma c'è anche la vittoria, c'è la conquista, c'è la dolcezza; per chi sale con energià di scalatore, la cima di Dio è assicurata. La grazia è trionfatrice perché Cristo ha vinto — ego vici mundum! —: la vera dialettica interiore del Cristianesimo fiorisce nel gaudio eterno e nella eterna beatitudine.
Torniamo, come si vede, ai problemi cruciali della riforma.
È un bene, certamente, che settori così vasti e così qualificati della cultura umana rifacciano a ritroso, con ardimento, le vie percorse dalla cultura moderna; superati di colpo il « collettivismo » annientatore dell'uomo e l'illuminismo senza mistero e senza calore; c'è nel singolo un valore, anzi in certo senso, il massimo valore; c'è nell'interiorità dell'uomo un mistero di cui sono insondabili l'essenza e la vastità: bisogna tornare all'uomo.
Riecheggia quasi il monito socratico: conosci te stesso.
Ma si va più in là; perché il Cristianesimo è qualcosa di ineluttabilmente inserito, come elemento di cui non si può più fare a meno per decifrare in qualche modo questo intimo mistero di cui l'uomo è portatore: la grazia, coi suoi problemi così gravi, è presente in questo dramma di colpa e di redenzione; più che a Sacrate il posto spetta ad Agostino ed a Pascal; qui è in giuoco tutta la problematica dei rapporti fra l'uomo e Dio, fra l'uomo e Cristo.
Siamo, quindi, su terreno essenzialmente cristiano: il problema dell'uomo è essenzialmente legato col problema del Cristianesimo.
È un bene, certo, l'avere riportato entro i confini dell'Evangelo l'essenziale della meditazione metafisica, l'avere posto tutta l'attenzione sul valore dell'uomo e sul problema della sua destinazione.
Ma giunti a questo punto bisogna avere la forza di fare un altro passo «indietro». Forse che la teologia cattolica, con le sue solide strutture sostenute dalla meditazione di santi e di dottori, non abbia qualcosa di decisivo da dire su questa totale problematica dell'uomo? Non potrebbe darsi che le Summae medioevali — quella di San Tommaso in specie — contengano qualche solido pilastro capace di sostenere ancora l'edificio naturale e soprannaturale dell'uomo?
Poiché ogni concezione storicista o idealista o materialista va respinta (ciascuno di noi non è davvero « un'onda » destinata ad esaurirsi nel divenire storico o in quello dell'idea o della materia), poiché va pure respinta ogni concezione illuminista e naturalista (l'uomo non è chiuso entro i termini della natura; c'è un mistero in lui che ne sopraeleva il valore e che gli da accesso al piano soprannaturale di Dio) — poiché non può neanche soddisfare una concezione soltanto problematica, drammatica, angosciosa, della vita e del suo valore (il problema, il dramma e l'angoscia dell'uomo esigono una soluzione ed una pace; il Cristianesimo non è soltanto « inquietante » ma anche e soprattutto portatore di gioia eterna) la conseguenza è ovvia: bisogna ritornare — figlioli prodighi! — alla dimora dalla quale siamo partiti!
Le arcate semplici e luminose della teologia cattolica sono la casa del Padre; la casa riposante della verità che ci aspetta: qui soltanto, dopo essere andati raminghi, dispersi, affamati, per le vie dell'errore potremo alfine trovare la verità che illumina e che armonizza; l'equilibrio che rappacifica; la delicata composizione, sul piano di Dio, di tutti i valori individuali e sociali dell'uomo.
Tornare, dunque, a S. Tommaso?
La domanda può irrigidire qualche spirito moderno abituato alla complessità dialettica di toni e di problemi che caratterizza, rendendola certamente suggestiva, tanta parte della meditazione contemporanea.
C'è nella architettonica lineare della Summa qualcosa di scheletrico, di freddamente esatto, che
 
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