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Papini, NOTOMIA DEI PROTESTANTI

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view post Posted on 18/4/2017, 10:58

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NOTOMIA DEI PROTESTANTI
Da “La pietra infernale” di Giovanni Papini (1934)
Combattere il Protestantismo ‑ come fanno ancora certi cattolici attardati e inesperti ‑ dimostrando che Lutero era un epilettico e Calvino uno schizotimico, non serve a nulla e può esser pericoloso. Anche i cristiani dei primi secoli furori detti pazzi e la psichiatria da un bel pezzo pretende di ridurre a malattia mentale il genio e la santità. Vecchi archibugi che bisogna lasciare sulle spalle gobbe degli ultimi scamozzi di Lombroso.
Affermare, poi, che la Riforma fu principalmente dovuta all'ingordigia degli appaltatori d'indulgenze o a quella dei principi, vogliosi di arricchirsi coi patrimoni ecclesiastici, é un cascare nelle fallaci escogitazioni del materialismo storico. Il quale é valido soltanto per alcuni ordini di accadimenti e, nella maggior parte dei casi, non é che un elemento (e tutt' altro che il primo) nel complesso delle cause.
Può meglio servire la polemica teologica purché si riesca a far accettare dall' avversario certe premesse e un comune metodo d'esegesi biblica e di ricerca metafisica.
La storia delle teorie può aiutarci a smantellare certe casematte dei protestanti: si può, col Bossuet, mettere in chiaro che neppur loro si sottraggono all'accusa (o alla necessità) delle variazioni dottrinali; si può, col Denifle, portar le prove che Lutero non ha inventato nulla, neanche gli errori. Ma si può tentare anche un'altra via: vedere cosa c'è dietro le dottrine. Cioè i significati psicologici e i sottintesi morali (o immorali) della grande rivolta anticattolica. Invece della psichiatria la psicologia; invece della metafisica l'etica; invece della storia il catechismo. E del catechismo una pagina sola, e la meno contestata: la lista dei peccati capitali. Fare in pace il porco in terra senza perdere affatto la speranza di fare il beato in cielo: questo, in parole finalmente chiare, il segreto di Martin Lutero. Se nell'uomo c'è una bestia che recalcitra e un angelo che trasogna il Luteranismo li contenta tutt'e due: il bruto pigro e carnale in questa vita, lo spirito desideroso in quell' altra. Basta lasciar fare a Gesù. Finché siamo nel mondo presente a peccare è Lui che si carica d'ogni nostra colpa; dopo morti, fatti candidi dal suo sangue, ci accoglierà nel suo Regno.
Teologia luterana: peccato franco e paradiso gratis. Una dell'opere più famose di Lutero è il De servo arbitrio. Non staremo a riferire i suoi ingegnosi ed eloquenti sofismi: c'importa soltanto la conclusione e le sue conseguenze. Se non esiste libertà non si può parlare di colpa, e non c'è peccato. Cioè quel che si chiama peccato non è peccato ma semplice effetto dell'inguaribile infermità umana o astuzia del diavolo. Si può peccare, dunque, senza essere accusati, senza esser puniti, senza perdere la speranza della beatitudine eterna.
Comodissima teoria, come si vede, ispirata dalla repugnanza a ogni sforzo di riforma interiore e dalla paura delle responsabilità. Dottrina, sia detta passando, fanciullescamente contraddittoria. Se l'uomo, qualunque casa faccia, è schiavo, perché rifiutare di sottometterlo a una servitù ragionata (disciplina morale, ascesi) che può diminuire i danni evidenti della servitù maggiore (concupiscenza)?
L'opinione di Lutero intorno alle «opere» ha variato attraverso gli anni, con ondeggiamenti e ritorni, ma quella che meglio concorda colla sua «scoperta » teologica iniziale si riduce al rifiuto. E Calvino è ancor più reciso di lui: l'uomo non può aver nessun merito, se Dio non gli accorda un atomo del suo. Le «opere» comandate dal Vangelo e dalla chiesa non consistono, come certi protestanti vorrebbero far credere, soltanto nelle devozioni e nei riti. Sono, prima di tutto, opere di carità, opere d'amore, opere di misericordia e, non separate da queste e anzi a queste necessariamente unite, quelle opere di perfezionamento interno che giovano ad avvicinare l'anima, attraverso i fratelli, al Padre.
Negare ogni valore a quest'opere significa, cioè, cancellare almeno una metà del Vangelo e confessare l'impotenza (o la non volontà) di mutare sé stessi e di combattere il male fuori e dentro di noi. Siamo, anche qui, di fronte a una giustificazione teologica della pigrizia; o, peggio ancora, alla egoistica viltà dell'inazione nobilitata a regola di vita cristiana. L'individualismo anarchico della Riforma viene a combaciare col motto della plebe dei diacci di cuore: Ciascuno per sé e Dio per tutti.
I protestanti hanno dimenticato ‑ hanno voluto e dovuto dimenticare ‑ che la Redenzione implica due attori: Dio e l'uomo. Uno di essi grandissimo, l'altro piccolissimo ma tutt’e due necessari. Senza l'Incarnazione e la Grazia l'uomo non può salvarsi; ma senza una collaborazione attiva, una concreta accettazione da parte dell'uomo non è pensabile la salvezza. La Redenzione è una scala che dal cielo è scesa sulla terra perchè sia possibile la risalita del caduto dall'ali mozze: se la creatura non s'aggrappa alle stagge rimarrà sempre a marcire nelle tenebre inferiori.
Il protestante vuole, invece, che Dio faccia tutte le parti. Non gli basta ch'Egli chiami a sé e insegni la strada; pretende d'esser portato in collo fino alla mèta. Cristo ha versato il sangue per noi ma Lutero non è ancora soddisfatto: esige che Cristo medesimo ci lavi con quel sangue, senza che da parte nostra si faccia nulla per renderci degni di tal miracolosa lavanda. Basta che l'uomo abbia la fede e può tranquillamente poltrire sui guanciali del peccato senza muovere un dito per vincere i suoi istinti e per avvicinarsi a Dio. Cristo non è soltanto Salvatore, ma il facchino che deve prendersi sulle spalle tutti i pesi delle nostre colpe, anche di quelle che si potrebbero, con piccolo sforzo, evitare.
Ma se l'uomo non può salvarsi senza Dio è anche vero che Dio non può salvar l'uomo se l'uomo non vuole. Per motivi di comoda accidia i luterani hanno soppresso la libertà del volere e per conseguenza ogni obbligo di cooperare alla propria salvezza.
I protestanti rifiutano, con un pretesto teologico, di compiere la parte loro, necessaria, nell'opera teandrica. Sono i disertori confessi nella battaglia per il riacquisto del cielo.
Per sfuggire al pericolo di cadere nel pelagianismo ‑ efficacemente allontanato dalla gagliarda polemica di Sant'Agostino ‑ i luterani rischiano di cadere nel quietismo, nel fatalismo. Non per nulla Lutero fu avvicinato da qualche controversista a Maometto. Se l'uomo è un automa del quale Dio e il Demonio tirano i fili, se il destino di ciascuno è segnato ab aeterno, a che pro affaticarsi, con quale fiducia adoperarsi a lavare sé e gli altri ? Se basta la persuasione interna che Cristo provvede a tutto non c'è altro da fare: il vero cristiano è Belacqua.
All'ira ‑ più calcolatrice che generosa - s'ispirò il motivo polemico protestante più adatto a sobillare il popolino: la corruzione del clero.
Che i costumi dei chierici, cominciando dal Papa, fossero, in quel principio di secolo, disgustosi e vergognosi, nessuno nega. Ma non era, purtroppo, cosa nuova. Fin dal IV secolo, dopo la vittoria ufficiale della Chiesa, cominciano le accuse contro sacerdoti e monaci, talvolta esagerate ma più spesso, purtroppo, vere. Decisioni di concili, decreti di papi, rampogne di moralisti, documenti storici, invettive di asceti denunziano l' indegnità d' una parte del clero e cercano di rimediarvi. Si potrebbe fare un'antologia anticlericale del Medio Evo altro non riportando che pagine scritte da Santi e sarebbe terribile. I protestanti, su questo punto, non son riusciti a superare, almeno in violenza verbale, un San Pier Damiani.
Ma ci son diversità profonde tra i denunziatori santi e gli accusatori luterani. Importanti queste due: i primi si proponevano di correggere i fratelli caduti in peccato e non già di prevalersi di quell'esempio per far del peccato necessità legittima e per distruggere la gerarchia ecclesiastica.
Inoltre non collegavano le dolorose lamentazioni sulla marciosità chiericale con novità dogmatiche: lo stesso Savonarola che i luterani, grossolani o subdoli, pongono tra i precursori della Riforma, non pensò mai di mutare una virgola sola della dottrina ortodossa.
C'è un'ira giusta, ardimentosa e vangelica che si propone il disbarbicamento del male ed é quella dei cristiani veri che vogliono, per spirito di carità, servirsi anche del fuoco per stagnare le piaghe. C'è poi un'ira di compiacimento e di malanimo, che vuol distruzione e non correzione, ed è soltanto un pretesto per rifuggire dalle discipline e dalle leggi, per negare ogni autorità ‑ ed è quella dei luterani.
Nella terrena città di Dio s'era sparsa la peste e la lebbra. I pretesi riformatori (non riformati) non pensano a curar gli infermi e a vincer la pestilenza. A somiglianza dei dieci del Boccaccio abbandonano la città infetta per creare un accampamento fuor delle mura. E per colmo di cristiana carità scagliano contro i lebbrosi e gli appestati, nel posto di medicine, sassi d'ingiurie e freccie avvelenate. Non si capisce bene, poi, su quali principi poggiasse la virulenta riprovazione dei costumi romani.
Secondo Lutero gli uomini hanno perso, dopo Adamo, il libero arbitrio: come si può condannare uno schiavo perchè fa quel che non può fare a meno di fare? La concupiscenza, sempre a dar retta a Martino, è invincibile: se fosse vero ne deriverebbe, nientemeno, la riabilitazione di Alessandro VI.
Diranno che il salvacondotto per commettere impunemente peccati è la fede nel Cristo: ma chi può mai sostenere e provare che, anche nei più laidi chierici, codesta fede fosse del tutto rinnegata e spenta? Lo stesso papa Alessandro di tutto fu accusato meno che d'incredulità. Vari atti del suo pontificato testimoniano che, pur sopraffatto dalla carnalità, preservò e difese la purezza della dottrina e tanto poco aveva perso la fiducia in Dio che scelse a suo motto le parole del Salmo: Ad Deum cum tribularer clamavi: et exaudivit me.
Non asserì lo stesso Lutero che una fede viva può esistere in colui che pecca secondo la legge anzi che il molto peccare è una sfida al demonio?
Non per soli motivi nazionalisti ed economici i protestanti son contro Roma: da Lutero fino ai luterani razzisti dei nostri giorni. Roma antica è la legge civile, la legge dell'uomo; Roma cattolica è la legge teocratica, la legge di Dio. La Riforma è, nel suo spirito, anarchia: e dev'essere per forza contro ogni forma di legge e, per cominciare, contro l'eterna capitale della legge, contro Roma.
Il luteranismo dichiara l'uomo schiavo per concedergli, senza timore di sanzioni, tutte le libertà ‑ e principalmente quella più cara alla carne della bestia non doma: la libertà del peccato.
La famigerata «libertà d'esame » ‑ che non tutti i protestanti ammisero: basti l'esempio di Calvino ‑ proviene, com'è chiaro, dall'orgoglio. Supporre che ciascun fedele, anche ignorante, possa intender meglio il senso delle scritture colle sole sue forze, sdegnando i risultati di almeno quattordici secoli di riflessione e di esegesi, sovrapponendosi ai padri, ai santi, ai dottori, ai concili, é atto di superba demenza. Eppoi : se l'uomo é così profondamente caduto come Lutero afferma, devono essere in lui ottuse e ferite anche le potenze intellettuali: come sarà capace d'intendere, senza il soccorso d'una tradizione, il senso della Bibbia e dei dogmi? Se le Scritture sono ispirate da Dio é chiaro che il primo venuto non può intenderne sicuramente i misteri; se invece sono opera umana perché voler tutto fondare, vita e fede, sopra di esse?
Alla condanna del culto dei Santi corrisponde ‑ ma non sola ‑ l'invidia: una delle mille varietà di questo peccato particolarmente attaccaticcio e contumace.
Come i mediocri invidiano il genio e i demagoghi il dominatore e i borghesi gli straricchi, anche i protestanti ‑ plebe democratica insorta contro il capo legittimo ‑ invidiano i Santi, quei beati che il popolo ama, che la Chiesa consacra e incorona.
Il luterano che per astuta poltronaggine ha persuaso se stesso che l'uomo non potrà mai raschiarsi di dosso la crosta stercosa acquistata sullo stabbio delle concupiscenze, doveva per forza negare la superiorità di quei privilegiati che, a forza di amare Dio e Dio negli uomini, eran riusciti a nettarsi, a sollevarsi, a scarcerarsi, a recuperare qualcosa della perfezione perduta, a conquistare qualcosa della beatitudine promessa.
I deboli invidiano, e detestano, gli eroi; i vigliacchi invidiano, e odiano, i forti e i temerari; gli infingardi invidiano, e condannano, gli operosi e i vittoriosi. E i luterani rigettarono, rifiutarono, negarono i Santi. Tanto più che costoro ‑ superbi da quanto invidiosi ‑ non volevan saperne d' intermediari: s'illudevano, ubriacati da un democratico misticismo, di poter trattare con Dio da soli, faccia a faccia. Via i sacerdoti, che sono i mediatori naturali tra i fedeli e la Divinità; via i Santi che sono gl'intercessori misericordiosi tra il dolore dei figlioli e l'amore del Padre. L'invidioso protervo é diffidente; non sopporta aiuti, neanche fraterni: vuol far da sè, per sfuggire a ogni vigilanza e sottrarsi ad ogni gratitudine. Il protestante è disposto a subire Dio ‑ in quanto di Lui si serve ‑ perchè d'altra natura e a tutti superiore. Ma i Santi furono uomini; quel che loro hanno fatto ciascun di noi, se volesse, potrebbe fare. Sono, cioè, un rimprovero manifesto a coloro che non vogliono affaticarsi per collaborare all'opera della redenzione. Per crearsi un alibi non ce che un mezzo: buttarli giú dagli altari.
Questi fracassanti riformatori voglion riformare la dottrina evangelica, l'esegesi biblica, la teologia della Redenzione, la gerarchia ecclesiastica, i rapporti tra la Chiesa e lo Stato, la disciplina e la liturgia. Voglion riformare ogni cosa ‑ eccettuato se stessi. Tutto e tutti voglion riformare ‑ meno l'anima propria. Sono irosi e vogliono sfogarsi contro innocenti e corrotti; sono carnali e permettono ai frati di sposar le monache; son golosi e s'empiono il ventre di vino e di cervogia; sono invidiosi e non vogliono saperne di santi; son superbi e presumono di fare a meno della guida dei sacerdoti.
Storia eterna: è piú facile riformare le istituzioni che l'anime; piú comodo distruggere le cose esterne che cambiare in meglio la vita interiore. Meno faticoso, meno penoso. Seguendo gli istinti si scende comodamente giù per la china; combattendoli si tratta di ansimare su per una salita. Dietro a ogni facciata protestante si ritrova la riluttanza allo sforzo: l'accidia. All'origine della Riforma si scoprono più pretesti che ragioni vere. Pretesto il traffico dell'indulgenze: Lutero fin dal 1514 aveva scoperto la sua teoria; pretesto la corruzione del clero; pretesto di copertura la distorsione operata da frate Martino delle parole di San Paolo e di Sant'Agostino sulla fede giustificante.
C'erano, sotto i pretesti, motivi reali (non ragioni) ma puramente soggettivi, fondati nella natura dei primi riformatori: non sempre confessabili e solo involontariamente e indirettamente confessati. E verrebbe la voglia di cambiare il nome stesso dei Protestanti. Basterebbe un piccolissimo mutamento: e invece di o. Pretestanti: quelli che vanno in cerca di pretesti per fare il comodo loro. Coloro che avvicinano troppo l'uomo a Dio come facevano i pagani e come é avvenuto nel Rinascimento e ne' tempi nostri ‑ sbagliano, cioè non hanno una concezione alta e giusta della divinità.
Ma quelli che pongono tra Dio e l'uomo un abisso incommensurabile e invarcabile ‑ come tutti i protestanti dell'estrema destra, da Calvino a Kierkegaard e a Barth ‑ fanno forse peggio.
L'uomo è nulla e Dio è l'essere per eccellenza, infinito e perfetto: d'accordo. Ma non bisogna dimenticare che questo tutto ha dato a quel nulla ch'è l'uomo qualcosa di sè, una parte, sia pur minima, del suo Essere. L'ha creato, per cominciare, a sua immagine e somiglianza; ha mandato il Figliolo suo con l'immagine e la somiglianza dell'uomo; gli ha promesso, e permesso, una via per recuperare quella somiglianza: la dottrina della deificazione dell'uomo è insegnata da secoli dal Cristianesimo ed é la contropartita, parlando all'ingrosso, di quella umanificazione di Dio che fu la discesa di Cristo. Vuol dire che, malgrado l'infinita distanza, c'è qualcosa di comune tra l'uomo e Dio: c'è se non altro, quel che Santa Caterina da Siena chiamava il “ponte”. La teoria calvinista, che contrappone Dio all'uomo come l'essere e il nulla, senza comune misura, senza possibilità di rapporti, è un' idea spaventosa, presa alla lettera, e si capisce che Kierkegaard, spirito consequenziario, sia potuto arrivare alla terribile formula: Dio é il nostro nemico. Un passo di più e Proudhon scriverà: Dieu c'est le mal.
Ma se guardiamo l'altro lato, quello delle implicite illazioni, si rivela, in fondo, idea praticissima e vantaggiosa per coloro che rifuggono, come i protestanti, da ogni attività difficoltosa. Dio é talmente d'altra natura che ordina all'uomo cose impossibili: ottima scusa per dispensarci anche dalle possibili.
Dio è talmente diverso da noi, talmente imperscrutabile alla ragione umana, che le sue parole sono indicibilmente misteriose, i suoi pensieri incomprensibili e, per il nostro basso e carnale intelletto, notte profonda: ottima scusa per non accettare nessun dogma.
Dio é talmente altro dall'uomo che la sua giustizia sembra a noi ingiustizia, la sua saggezza é pazzia ai nostri occhi, il suo amore stesso apparisce a noi crudeltà incomportabile. Magnifico pretesto per adagiarsi in un quietismo di semplice attesa, per separare a poco a poco la vita della fede da quella quotidiana, pratica e puramente umana.
Non per caso il capitalismo moderno è nato sotto il segna del Calvinismo. Non essendoci più contatti naturali e diretti tra Dio e l'uomo si pensò che l' unico indizio della benevolenza divina è la riuscita: non riuscita nella santificazione (chè all'uomo è impossibile procacciarsi qualsiasi merito) ma, in mancanza d'altro, nella vita pratica. «La mia azienda è prospera e nelle mie mani si moltiplicano le sterline: vuol dire che Dio, per un capriccio della sua impenetrabile volontà, mi protegge ».
E così, per una di quelle ironie immanenti nella storia degli errori, una dottrina che pretendeva giungere alla massima purezza dell'assoluto ‑ e schifava le “superstiziose devozioni romane” perché troppo materiali e mercantili ‑ a poco a poco diventò il misticismo giustificante dei trafficatori e dei manifatturieri. L'uomo é nato per operare: la condanna delle “opere” di carità portò alla glorificazione delle «opere » di arricchimento.
Finalmente inorriditi i nuovi teologi protestanti d'oggi ‑ Barth, Gogarten, Thurneysen tentano di rinverginare l'assolutezza inumana di Calvino ma è troppo tardi. Nella stessa patria di Lutero il protestantesimo si sfarina e si stempera sotto l'offensiva del risorto paganesimo razzista, male arginato dall'opportunismo d'una chiesa da tempo disseccata nelle radici, povera di linfa, disertata dai fiori, spoglia di frutti, non fusto unico con la sua cima illuminata e dominatrice, ma serpaio di polloni putrescenti e bistorti.

Edited by fra roberto - 18/4/2017, 13:37
 
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