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Redenzione

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view post Posted on 23/6/2017, 17:17

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La cultura
Redenzione
I - IL PROBLEMA NELLA CULTURA MODERNA
La cultura contemporanea è una cultura della crisi: facendo dell'uomo il redentore di se stesso e, d'altra parte, registrando le sue continue sconfitte, essa non sa offrire speranza e accentua le ragioni dell'insicurezza, del disorientamento, del dubbio. Diventa persino cultura nichilista. Il grande filosofo marxista eterodosso E. Bloch ha disegnato la figura dell'uomo della crisi nel suo "eroe rosso", così descritto: « Confessando sino alla morte la causa per la quale ha vissuto, egli avanza chiaramente, freddamente, verso il Nulla cui gli si è insegnato a credere in quanto spirito libero. Perciò il suo sacrificio è diverso da quello degli antichi martiri: questi morivano, quasi senza eccezione, con una preghiera sulle labbra, credendo così di aver guadagnato il eie-Io. Mentre l'eroe comunista, sotto gli zar, sotto Hitler o sotto un altro regime, si sacrifica senza speranza di risurrezione». L'eroe rosso è l'uomo adulto, razionale, disilluso, ma anche nichilista della cultura moderna che lotta per un mondo più giusto e umano, sapendo di andare verso il Nulla. È l'uomo che pretende di redimere se stesso, qui e ora, e non di attendere la salvezza da un altro.
La 'redenzione', di cui indaghiamo il senso biblico, è invece l'azione liberatrice di Dio che ci raggiunge qui e ora, affidandoci il dono-compito di testimoniare, con una prassi rinnovata, i cieli nuovi e la terra nuova che sono già germinalmente presenti in speranza, ma troveranno pieno compimento alla venuta del Signore Gesù.
All'eroe rosso blochiano si contrappone la speranza dell'apostolo Paolo: «Se avessimo speranza in Cristo soltanto in questa vita, saremmo i più miserabili di tutti gli uomini. Ma invece Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che dormono. Poiché se per un uomo venne la morte, per un uomo c'è anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, cosi tutti saranno vivificati in Cristo» (ICor 15,19-21). Dall'uomo viene la morte, da Cristo viene la vita; dall'uomo non viene la speranza, ma Cristo da motivo di sperare anche al di là della morte, perché egli ha vinto la morte. Di fronte alla sfida della cultura moderna, il cristiano è chiamato a rispondere della propria fede nel Redentore. La fede cristiana, infatti, non crede soltanto in un Dio che dona, come anche Aristotele ammetteva, ma che perdona! E dal perdono redentivo di Dio nasce la speranza del cristiano. Ma Dio redime attraverso l'evento storico, particolare e singolarissimo della morte-risurrezione di Gesù: da quell'evento scaturisce la salvezza per tutti. È una redenzione divina attuata attraverso la mediazione umana e storica della vicenda di Gesù, per la cui comprensione occorre interrogare tutta la Bibbia.

II - TEMA E METODO — 'Redenzione' è un vocabolo che trascina con sé un grappolo di altri termini appartenenti alla stessa area semantica: liberazione, riscatto, salvezza, espiazione, acquisto, giustizia, giustificazione, purificazione, ecc. La varietà e la ricchezza del vocabolario biblico, che interessa questo campo semantico, mette in guardia dall'assolutizzazione di una sola categoria o termine o immagine ed è anche indizio dell'inesauribile e proteiforme misteriosità dell'inafferrabile, eppure realissima, azione di Dio per l'uomo peccatore. È appunto l'uomo peccatore che viene redento, ma qui non approfondiremo il concetto biblico di peccato.
Più che inseguire la varietà terminologica con l'intento filologico dell'esatta determinazione dei differenti aspetti dell'approccio biblico alla 'realtà' della redenzione, scegliamo di lasciarci guidare dall'idea che è soggiacente e comune. Intendiamo, quindi, per 'redenzione' l'azione con cui Dio, direttamente o per mezzo di mediazioni/mediatori, viene in soccorso dell'uomo e lo libera dalla colpa/peccato, inteso ultimamente come rifiuto dell'offerta divina di farci partecipare alla sua vita. In altri termini, redenzione è il sì vittorioso e perennemente valido di Dio nella assoluta e definitiva dedizione per la vita dell'uomo, il quale si oppone, in quanto peccatore, al suo Dio con la chiusura e il rifiuto.
Dal punto di vista terminologico per l'AT studieremo soprattutto ì testi dove appare il verbo redimere (ga'al e padah) e salvare (js'), mentre per il NT seguiremo i diversi modelli interpretativi messi in atto da un lessico diversificato e proporremo brevi sintesi.

III - ANTICO TESTAMENTO - 1.
I VERBI "GA'AL" E "PADAH": SOLIDARIETÀ E REDENZIONE - Due radici verbali ebraiche, ga'al (118 volte) e padah (70 volte), hanno una funzione peculiare nel determinare il concetto veterotestamentario di redenzione. In ambedue i casi, comune è l'idea di 'riscatto' da una situazione giuridica di schiavitù, di debito, in generale di necessità. Ma mentre padah non è tipico ed esclusivo di un determinato settore del diritto, ga'al nasce e si sviluppa soprattutto nell'ambito del diritto di famiglia, del clan, della tribù. Trattandosi di verbi 'giuridici', siamo rimandati al contesto della legislazione israelitica e perciò alla 'liberazione' o al 'riscatto' oneroso di proprietà o di persone per opera di altri uomini in vista della libertà o per salvare la vita stessa.
La storia umana dei rapporti sociali crea condizioni di schiavitù, di ingiustizia, di miseria dalle quali il diritto israelitico sprona ad uscire mediante una serie di obblighi giuridici. In particolare, due principi ispirano il diritto d'Israele: a. la libertà dell'individuo suppone un minimo di indipendenza economica; b. soltanto in un armonico rapporto con la comunità (famiglia, clan, tribù) l'individuo è in grado di realizzare la propria libertà. La 'redenzione' è dunque restituzione della libertà in un contesto di armoniche relazioni con la comunità.
Ad esempio, l'utopica legislazione sull'anno sabbatico e sull'anno giubilare (Lv 25) tende a garantire la proprietà familiare che, con il giubileo, torna alle famiglie di origine: Se un tuo fratello si trova in difficoltà e vende una parte dei suoi possedimenti, venga il suo parente più prossimo (go'aló haqqarob) a esercitare il diritto di riscatto (ga'al) su quanto vende il suo fratello» (Lv 25 25). Dunque, la famiglia israelitica vive liberamente soltanto sulla base di una proprietà terriera. L'istituto giuridico del go'el (= parente prossimo che riscatta) - che ritroviamo nello stupendo raccondo di Rut - si fonda sia sulla solidarietà familiare sia sul principio del radicamento della famiglia nella proprietà terriera. La redenzione è quindi un atto di solidarietà in vista della restituzione della libertà dalla miseria, dalla schiavitù o, in una parola, dall'emarginazione sociale dalla comunità degli uomini liberi con pieni diritti.
Non soltanto le proprietà, ma le persone stesse possono essere vendute e perciò aver bisogno di riscatto: «Se un ospite o un residente presso di te raggiunge l'agiatezza e un fratello si trova in difficoltà nei suoi riguardi e si vende schiavo a tale ospite o residente presso di te o a un membro della famiglia dell'ospite, dopo che si è venduto avrà possibilità di riscatto (ge'ullah); uno fra i suoi fratelli lo può riscattare, o suo zio o suo cugino o qualche altro membro della sua famiglia lo può riscattare; o, se ne avrà i mezzi, si può riscattare da sé» (Lv 25,47-49). È sempre la solidarietà familiare che fonda il diritto-dovere del riscatto, anche nel caso della "vendetta del sangue" (cf. Nm 35,9-29).
Il senso della 'redenzione', nei rapporti sociali, può essere definito come «liberazione dal potere estraneo di ciò che appartiene alla famiglia» (K. Koch). Se poi la grande famiglia è la nazione, allora il go'el di tutti gli oppressi è il re: «Sì, egli libererà il povero che grida aiuto, il misero che è senza soccorso. Avrà pietà del debole e del povero e porrà in salvo la vita dei miseri: dall'oppressione dalla violenza egli riscatterà la loro anima, che prezioso sarà ai suoi occhi il loro sangue» (Sal 72,12-14).
La proprietà, la libertà delle persone, la vita umana sono beni fondamentali che impegnano tutti i membri della comunità (famiglia, clan, tribù, nazione) nella reciproca corresponsabilità e solidarietà. Sulla base della solidarietà di tipo familiare che unisce gli israeliti tra loro, nasce e si afferma il diritto-dovere della redenzione.
Presenti soprattutto nei testi giuridici, compresa la legislazione cultuale (cf. per es. Es 34,19-20 sul riscatto dei primogeniti), le due radici verbali suddette sono usate anche nel linguaggio religioso per designare il riscatto da parte di Dio. Poiché il diritto israelitico è di carattere religioso, cioè è considerato legge divina, è logico che Israele abbia considerato la redenzione interumana come riflesso e imitazione dell'azione redentrice di Dio. Storicamente, tuttavia, è dimostrato che alcuni costumi di affrancamento di cose o persone (cf. per es. Es 21,30), per mezzo di una somma di riscatto, corrispondono alle leggi babilonesi di Esnunna (par. 54) e del codice di Hammurabi (par. 251).

2. IL DIO LIBERATORE IN ESODO
- L'uso religioso del termine/concetto di 'redenzione', espresso oltre che dai verbi ga'al e padah anche da jasa' (= far uscire), jaSa' (= salvare) e nasal ( = sottrarre), perde la sua connotazione giuridica e soprattutto lascia cadere l'idea di un pagamento di un controvalore per il riscatto. Dio libera e salva gratuitamente, senza essere debitore di nulla a nessuno. Anche nell'uso religioso dei verbi indicati, rimane invece l'idea della solidarietà quale ragione dell'intervento liberatore.
Nell'ambito religioso, l'evento fondamentale di salvezza-redenzione è la liberazione dalla schiavitù d'Egitto finalizzata alla 'formazione' del popolo di Dio. È nelle tradizioni eso-diche, infatti, che ricorre con frequenza il lessico della redenzione.
La liberazione esodica è totalmente libera e gratuita iniziativa di Dio: «Perciò di' ai figli di Israele: "Io sono il Signore, li farò uscire (js') dalle fatiche dell'Egitto, vi libererò (nsl) dalla loro servitù e vi riscatterò (g'l) con braccio teso e con grandi castighi. Vi prenderò per me come popolo e sarò per voi Dio, e saprete che io sono il Signore vostro Dio, che vi ha fatto uscire (js) dalle fatiche d'Egitto" » (Es 6,6-7). Qui la liberazione dall'Egitto è paragonata, in forza dell'uso dei verbi indicati, a un riscatto dalla schiavitù, ma non c'è alcun pagamento di prezzo: Dio agisce da 'padrone', con grande forza e potenza, prendendo quel che è suo. Al v. 5 — «Mi sono ricordato della mia alleanza » - si afferma esplicitamente che Dio trova in se stesso, nella sua libera promessa di salvezza, la ragione del suo intervento redentivo. Precisamente perché ha voluto impegnarsi con Israele, sceglierlo come sua 'famiglia' o '"popolo" ('ani), stabilendo così una solidarietà familiare indissolubile, Dio è diventato il go'el di Israele. Jhwh è il redentore perché è il 'creatore' di Israele, ossia ha scelto e benedetto Israele perché da sempre egli pensava, nel suo piano redentivo, di prenderlo come suo popolo e di essere il suo Dio. La comunione o alleanza con Israele è il fine di tutta l'azione redentiva divina.
Dall'azione redentrice di Dio Israele impara quindi a conoscere chi è il suo Dio: «Saprete che io sono il Signore, vostro Dio, che vi ha fatto uscire dalle fatiche di Egitto». Dalla soteriologia, cioè dall'azione salvifica di Jhwh, Israele ha accesso al mistero ontologico di Dio: soltanto Jhwh salva, perciò egli solo è Dio.
La redenzione del popolo dall'Egitto è avvenuta « perché il Signore vi ama e per mantenere il giuramento fatto ai vostri padri» (Dt 7,8). Israele è stato salvato perché era l'eredità di Jhwh, che egli ha redento con la sua grandezza (Dt 9,26). L'israelita deve, dunque, fare sempre memoria della redenzione esodica: « Ricordati che tu fosti schiavo nella terra d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha liberato (padah)» (Dt 15,15; cf. 24,18). Per il Dt il verbo preferito per indicare la liberazione esodica è padah: Dio appare così come colui che fa valere i suoi diritti sul popolo che gli appartiene.
L'epopea esodica culmina, ed è riassunta, nel canto di Es 15,2: «Mia forza e mio canto è il Signore: è stato la mia salvezza». Israele farà continuamente 'memoria' dell'esodo per proclamare e affermare la sua fede nel Dio che salva.
La redenzione dalla schiavitù d'Egitto non fu una liberazione soltanto sodale-politica, ma anche 'interiore', nel senso che mirava a creare il "popolo di Dio", cioè la comunità di coloro che credono in Jhwh loro redentore. La schiavitù d'Egitto non è soltanto socio-politica, ma è anche schiavitù dell'idolatria e dei peccati che ne sono il frutto: Dio libera, infatti, dando una legge al Sinai, istituendo una relazione vitale intima con i suoi fedeli (il culto), stabilendo la sua presenza in mezzo al popolo (tenda sacra). Interiormente e socialmente, per dono gratuito di Dio ma anche mediante l'appello divino all'attiva responsabilità e all'impegno generoso, il popolo liberato dalla schiavitù d'Egitto diventa una comunità nuova, integralmente rinnovata e strutturata dall'azione del suo Dio. Il popolo di Dio è, quindi, simultaneamente "mistero", in quanto creatura di Dio che sceglie di abitare in mezzo ad esso, e "soggetto storico", in quanto comunità storica che fa storia. Ciò che caratterizza il popolo di Dio è la permanente e vissuta memoria della redenzione divina che lo ha fatto nascere e, insieme, la missione di testimoniare, di fronte a mondo, le meraviglie del suo Dio.
La redenzione divina non esclude, anzi implica una mediazione umana: « Israele vide la grande potenza che Signore aveva usato contro l'Egitto il popolo temette il Signore e credette a lui e a Mosè, suo servo » (Es 14,31). Così pure Dio, nel deserto dona la legge liberatrice mediante Mosè. Ed ogni israelita credente che osserva la legge sul riscatti diventa, in qualche modo, 'mediatore' e rappresentante della divina redenzione ricevuta per dono.

3 DEUTERO-ISAIA (Is 40—55) E ALTRI PROFETI - Con particolare insistenza, il Deutero-Isaia richiama l'attenzione sul tema di Dio come redentore (go'el), uno dei titoli preferiti insieme con 'creatore'. Anzi, si può riassumere il pensiero dell'anonimo profeta dell'esilio congiungendo l'idea di creazione e di redenzione: «Dalla nuova redenzione di Israele alla creazione dell'intero mondo di Israele; dalla creazione dell'intero mondo di Israele alla creazione del mondo intero simpliciter; dalla creazione del mondo intero alla redenzione di questo mondo» (C. Stuhl-mueller).
Jhwh riscatta il suo popolo perché è il suo go'el, legato da una 'familiarità' generatrice-creatrice: «Così parla il Signore, il tuo redentore, colui che ti ha formato fin dal seno materno: "lo sono il Signore che ha creato tutto, che da solo ho disteso i cieli, ho fissato la terra: chi era con me?" » (Is 44,24). Jhwh è unito a Israele perché egli l'ha creato e redento, ne è come una madre (cf. Is 49,15).
Tuttavia la solidarietà quasi familiare non è per Jhwh una necessità di intervenire: «Per amore di me stesso, solo per amore di me stesso l'ho fatto!» (Is 48,11).
Dio è mosso soltanto dal suo liberissimo e incondizionato amore. Nulla al di fuori di lui lo necessita ad agire. Egli salva perché ama.
Per la redenzione d'Israele, Dio non deve pagare nessun prezzo: «Così parla il Signore: "Voi siete stati venduti senza compenso e sarete "scattati (ga'al) senza denaro"» (Is 52,3). Dio infatti è il padrone sovrano, non è debitore a nessuno. L'azione redentiva equivale a un plasmare, a creare o a chiamare all'stenza: «Ora così parla il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha formato, o Israele: "Non temere perché ti ho redento, ti ho chiamato per nome, tu sei mio". (ls 43,1)
La redenzione conduce al 'matrimonio' con lo sposo divino: «Tuo sposo è il tuo creatore, il cui nome è Sigore degli eserciti; il tuo redentore è il Santo di Israele, chiamato Dio di tutta la terra» (Is 54,5). Un'intima, amorosa, sponsale relazione unisce Jhwh al suo popolo redento. Jhwh infatti 'salva' la vedova Israele sposandola!
Nella redenzione divina è in gioco la situazione spirituale di Israele peccatore: «E tu, Giacobbe, non mi hai invocato, anzi ti sei stancato di me, o Israele!... Mi hai molestato con i tuoi peccati e mi hai stancato con le tue iniquità. Sono io, sono io che cancello i tuoi misfatti, per il mio onore non ricordo più i tuoi peccati » (Is 43,22.24-25).
L'interesse principale del libro del Deutero-lsaia è quello di proclamare la capacità di Jhwh di salvare dalla necessità, dal pericolo mortale simboleggiato dalla mancanza di acqua: « I miseri ed i poveri cercano acqua e non c'è; la loro lingua è inaridita per la sete. Io, il Signore, li esaudirò; io, Dio di Israele, non li abbandonerò» (b 41,17).
Dio non cessa di essere potente, capace dì aiutare: la polemica del Deutero-Isaia contro l'inanità e vacuità degli idoli (cf. per es. Is 41, 21-29) e il richiamo all'idea di creazione hanno la funzione di rimarcare energicamente l'idea che Jhwh vuole e può realizzare il suo piano di salvezza: «Forse che la mia mano è troppo corta per redimere (padah), non ho io la forza per salvare? » (50,2).
Ciò che fa resistenza alla redenzione divina è il peccato, la ribellione di Israele. Lo stesso esilio non è soltanto una vicenda politica, ma la conseguenza di una condotta peccaminosa: «Parlate al cuore di Gerusalemme e annunziatele che la sua schiavitù è finita, che la sua colpa è espiata, ch'essa ricevette dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati» (Is 40,2; cf. 50,1: «Ecco, a causa delle vostre iniquità voi siete stati venduti »).
Il ritorno spirituale di Israele produrrà anche il ritorno geografico in patria: "la via del Signore" (40,3) è la via sulla quale il Signore viene con potenza a salvare, ma è anche il cammino dì conversione con cui il popolo toglie ogni ostacolo che impedisce la venuta redentrice del Signore. La redenzione del Signore è dunque inseparabile dalla conversione religioso-morale e dal perdono.
Il potere salvifico divino, che non arretra neppure di fronte alla morte, era stato cantato dal profeta Osea in modo da mettere in luce la forza irresistibile di Dio: «Dal potere dello Se'ol li libererò (padah)\ Dalla morte li salverò (ga'al)'. Dov'è la tua peste, o morte? Dov'è il tuo maleficio, Se'ol» (Os 13,14). La redenzione non avviene perché il popolo ne ha bisogno o la invoca, ma perché Dio è il redentore (go'el) del suo popolo. In Os 7,13 è ripetuta la promessa divina: « Io vorrei riscattarli (padah), ma essi dicono menzogne contro di me».
Con il Deutero-Isaia la salvezza di Jhwh si manifesta come redenzione per tutti gli uomini: « Allora ogni uomo saprà che io sono il Signore, tuo salvatore, il tuo redentore, il forte di Giacobbe» (Is 49,26). Così in Is 52,10: «II Signore mette a nudo il braccio della sua santità davanti a tutti i popoli e tutti i confinì della terra vedranno la salvezza del nostro Dio». L'orizzonte universale della redenzione e la sua natura divina in Deutero-Isaia fanno comprendere che non si tratta ovviamente di una liberazione soltanto politica di Israele. È infatti l'intera storia umana che sta sotto l'amore salvifico di Dio che libera l'uomo dal male, non solo politico, in senso radicale.
All'Israele disperso, in esilio, è annunciata la liberazione dal più forte di lui: « Chi ha disperso Israele lo raduna e lo custodisce come fa un pastore con il gregge, perché il Signore ha redento (padah) Giacobbe, lo ha riscattato (ga'al) dalle mani del più forte di lui» (Ger 31,10-11). Il rimpatrio degli esiliati, la riunione del popolo, la liberazione del "più forte" sono il contenuto della redenzione, vista nella prospettiva dell'unità e della vita del popolo di Dio, non tanto della 'nazione' in senso politico.
Il popolo di Dio è costituito da coloro che sono liberati e si convertono alla giustizia divina: «Sion sarà scattata con la giustizia, i suoi convertiti con la rettitudine» (Is 1,27) Soltanto la potenza salvifica divina può infatti stabilire una vita comunitaria armoniosa e solidale cioè la giustizia. Immediatamente la 'redenzione' è politica, ma la prospettiva è ultimamente escatologica, come in Zc 10,8: «Con un fischio li chiamerò a raccolta quando li avrò riscattati (padah) e saranno numerosi come prima». Ancora una volta, la redenzione si attua nella riunione del popolo di Dio.
4. I SALMI - Nei Salmi [IV, 2], soprattutto nelle suppliche o lamentazioni, è invocata con ostinata fiducia la redenzione. Essa da corpo al grido dell'orante: «Riscattami (padah) ed abbi pietà di me» (Sal 26,11); «Avvicinati all'anima mia e riscattala» (Sai 69,19); «Riscattami dall'oppressione dell'uomo» (Sal 119,134).
L'orante non porta ragioni, non pretende e non avanza diritti: « Sorgi in nostro soccorso, riscattaci per la tua misericordia» (Sal 44,27). Egli confida nella misericordia (hesed) divina, che è l'unica ragione cui appellarsi per invocare la redenzione. La misericordia di Dio, ossia la sua capacità e disponibilità a salvare, è il fondamento della fiduciosa preghiera dell'israelita.
Il salmista, nelle suppliche, si trova in stato di necessità per causa dei 'nemici', proiezione di tutti in che lo angustiano e lo minacciano. Ed egli grida: « Nelle tue mani affido il mio spirito; riscattami, o Signore, Dio fedele» (Sal 31,6). La menzione dei nemici è chiara nei vv. 9.12 in questo caso probabilmente i nemici sono la proiezione della malattia (cf. vv. 10-11) che l'ha colpito.
Tra la colpa e i mali che si abbattono sull'uomo c'è una segreta connessione, anzi il peccato è il male profondo: «Se le colpe tu custodisci Signore, chi potrà sussistere? Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe (Sal 130,3.8). Perdonando i peccati e liberando dalle colpe, il Signore compie la redenzione radicale che pone termine allo stato di necessità dell'orante. Perciò i suoi servi, che confidano in lui, sperimentano la redenzione vera: «Redime il Signore la vita dei suoi servi; non subiscono alcuna pena quanti in lui si rifugiano» (Sai 34,23).
«Le dichiarazioni di liberazione dei salmi si riferiscono per lo più a stati di necessità concreti e terrestri, tra cui, oltre alla malattia e alla morte sono in primo piano i nemici. Dichiarazioni generali, che vadano al di là del caso singolo, sono rare. Ne troviamo soltanto in Sal 34,23, entro un orizzonte che a malapena si può dire oltrepassi questo mondo, e in Sal 130,7s in una visione timidamente orientata in senso escatologico. Il fatto che sia dominante la situazione concreta e terrestre non costituisce un limite. È conseguenza della consapevolezza che l'uomo in tutto è affidato a Dio, il quale gli va incontro nella fortuna e nella sventura. Anche se in tal modo la sventura, lo stato di bisogno e le ostilità perdono il loro carattere di vicoli ciechi senza speranza, non per questo essi allentano la loro salda presa. Del che da la misura proprio il fatto che la loro rimozione viene presentata non soltanto come un salvare (nasal hifil / molat piel), ma anche come un riscattare o liberare» (J.J. Stamm).
I redenti dal Signore cantano nella preghiera di ringraziamento la misericordia salvante del loro Dio: «Lodate il Signore perché è buono, poiché eterna è la sua misericordia. Lo dicano i riscattati dal Signore, i riscattati dalla stretta dell'angustia» (Sal 107,1-2). La redenzione divina sperimentata storicamente da Israele non solo diventa l'oggetto e la ragioel ringraziamento, ma anche la sostanza della memoria cultuale: "Ed io ti renderò grazie con l'arpa, per la tua fedeltà, o Dio, canterò a te sulla cetra, o Santo d'Israele. Grideranno di gioia le mie labbra cantando a te con la mia anima da te riscattata (Sal 71,22-23). La supplica ha la garanzia dell'esaudimento nel fatto che il Signore già in passato ha riscattato i suoi servi che sono ricorsi a lui con fiducia. E nell'accoglienza e riconoscimento della redenzione divina, l'uomo percepisce concretamente e riconosce il proprio bisogno di redenzione e fa l'esperienza più radicale della sua colpa di fronte all'amore gratuitamente libero, non dovuto e non condizionato, del suo Dio.

IV - IL NUOVO TESTAMENTO — 1. PROBLEMA TERMINOLOGICO - La realtà della redenzione, cioè il perdono e l'autocomunicazione liberatrice e vivificante di Dio all'uomo, è espressa dal NT con una notevole ricchezza di vocabolario, indicante sia l'evento o l'atto della redenzione sia la condizione oggettiva di essere-redento. Limitiamo la nostra riflessione all'evento della redenzione, volendo illustrare - ovviamente nei limiti impostici o rimandando ad altre voci (Liberazione, Giustizia, Fede, Riconciliazione, Peccato, Misericordia) - l'azione e l'offerta di perdono divine alla libertà dell'uomo.
Gli scritti del NT fanno ricorso a schemi o modelli interpretativi differenti:
a. Modello sociale: fa uso dei vocaboli redimere/redenzione (apolytroun), liberare/liberazione (eleutheroùn), comprare (exagoràzein). Il suddetto vocabolario rimanda all'esperienza della liberazione degli schiavi o dei prigionieri, ma è innegabile l'evocazione dell'istituto del go'el dell'AT. Ad es. leggiamo in Rm 3,24: «Tutti vengono giustificati gratuitamente per suo favore, mediante la redenzione che si trova per mezzo di Gesù Cristo». La redenzione (apolytròsis) suppone una condizione di schiavitù, da cui Cristo libera 'gratuitamente', ossia liberamente o per solidarietà amante («per suo favore»). In Rm 6,18 leggiamo: «Liberati dal peccato, foste asserviti alla giustificazione ». Liberazione-schiavitù, peccato-giustizia descrivono ambiti di esistenza opposti.
b. Modello giuridico: fa uso dei vocaboli giustificare/giustificazione (dikaiosyne), giustizia, giudicare, giudizio. Il vocabolario forense è piegato al servizio della logica divina, che non condanna l'empio, ma lo trasforma e lo rende giusto mediante la fede. Così Rm 4,5: «Dio giustifica l'empio»; Rm 3,28: «Noi riteniamo che l'uomo sia giustificato mediante la fede, a prescindere dalle opere della legge». Nel "processo forense" tra Dio e l'uomo non avviene soltanto la condanna dei colpevoli e l'assoluzione degli innocenti, anzi, mediante la fede, la redenzione dei colpevoli, resi giusti dal giudice divino.
e. Modello rituale: fa uso dei vocaboli espiare/espiazione (hilàskomai), purificare/purificazione. Riteniamo che con espiazione sia evocata la festa del kippur (cf. Lv 16), cioè la libera iniziativa con cui Dio offre ad Israele la possibilità di uno scambio come gesto di pacificazione con lui. Leggiamo, ad es., Rm 3,25: «Dio lo (Gesù) ha prestabilito a servire come strumento di espiazione [hilastérion] per mezzo della fede». L'espiazione non implica una sostituzione dell'innocente che paghi il fio al posto del colpevole, ma indica la mutazione e la riduzione della pena fino alla sua cancellazione in vista della riconciliazione.
d. Modello interpersonale: fa uso dei vocaboli riconciliare/riconciliazione (apokatallàssein), pacificare/ pacificazione. È un modello che si ispira ai rapporti tra amici, tra marito e moglie, tra gruppi sociali, tra stati. L'iniziativa è di Dio che elimina la rottura, separazione, allontanamento. Leggiamo, ad es., 2Cor 5, 18-20: «Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo, ed ha affidato a noi il ministero della riconciliazione; è stato Dio, infatti, a riconciliare con sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, ed è come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: riconciliatevi con Dio».
e. Modello esperienziale: fa uso dei verbi strappare, sottrarre (rhyomai) e salvare (sòzeiri). Si sottintende la minaccia d'un pericolo mortale dal quale si è salvati. La redenzione è dunque uno sfuggire alla morte totale grazie a un intervento liberatore divino. Si legga, ad es., Ef 2,5-8: « Per quanto morti in seguito ai traviamenti, (Dio) ci ha fatto rivivere col Cristo: foste salvati gratuitamente... Infatti siete salvi per la grazia, tramite la fede: ciò non proviene da voi, ma è dono di Dio». La redenzione strappa alla morte e fa vivere, fa passare dalla morte alla vita (cf. Gv 5,24: «Chi crede... è passato dalla morte alla vita»). Il lessico neotestamentario di vivere, vita, vita eterna rientra esso pure nel linguaggio di redenzione; soprattutto s. Giovanni vi fa ampio ricorso.
La multiforme varietà del linguaggio di redenzione conosce due punti fermi fondamentali: in primo luogo, l'evento redentivo si radica e principia da una libera volontà divina di perdono che muta le condizioni dell'uomo a cui termina; in secondo luogo, l'amore misericordioso di Dio viene incontro ad ogni uomo a partire dalla particolare vicenda storica concreta e singolarissima di Gesù di Nazaret. Di conseguenza, Gesù è dunque la figura storica piena e definitiva di mediatore della salvezza divina per tutti gli uomini. L'intera vicenda storica di Gesù è il 'luogo' particolare e singolare da cui sgorga la divina iniziativa salvifica a favore dell'umanità.

2. GESÙ REDENTORE NEI VANGELI
I vangeli sono il messaggio della salvezza operata da s Gesù, il cui nome significa "Jhwh salva" (Mt 1,21). La persona di Gesù, nei vangeli, si confronta con le varie forme di malattia e di peccato, di miseria e di oppressione, di angoscia e di morte dell'umanità. Gesù viene per cambiare la qualità della vita umana delle persone che incontra mediante la liberazione soprattutto dal peccato: « Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21).
È dunque dalla storica vicenda della vita di Gesù che viene il perdono di Dio: « Coraggio, figliolo — dice Gesù — sono rimessi i tuoi peccati!... Non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,2.13). Non è la storia umana a condizionare o determinare, in qualche modo, la volontà di perdono di Dio, ma la liberissima divina iniziativa d'amore: «Dio, infatti, ha tanto amato il mondo, che ha dato il Figlio suo unigenito affinchè chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,17). L'autocomunicazione vitale di Dio è lo scopo della missione-vita di Gesù: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in sovrabbondanza» (Gv 10,10). Per darci la vita divina, Gesù ha dato la propria vita fino alla morte in croce. Egli è vissuto ed è morto e risorto "per noi"!
La salvezza, dunque, nasce dalla prò-esistenza storica di Gesù; essa è la dedizione di Dio a noi fino a modificare o cambiare le condizioni di vita dell'uomo (malattia, angoscia, peccato, morte). Con Gesù la salvezza di Dio è giunta agli uomini, come viene detto a Zaccheo: « Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Le 19,9).
Con Gesù, il Dio d'Israele «ha visitato e redento il suo popolo» (Le 1,68): alla luce della liberazione esodica (cf. Sal 111,9), Luca vede in Gesù colui che da libertà al popolo di Dio. Gesù, dunque, porta a compimento l'attesa della redenzione di Gerusalemme (Le 2,38; cf. Is 52,3.9): la profetessa Anna rappresentava i poveri di Jhwh che speravano nella salvezza del popolo di Dio. La redenzione, operata da Dio attraverso Gesù, ha di mira non tanto i singoli, quanto piuttosto il popolo. Crediamo di non andare errati se intendiamo questi passi nel senso che Gesù realizza la redenzione riunendo e formando intorno a sé il popolo di Dio, la chiesa.
Il nesso tra redenzione e comunità cristiana è ribadito dal detto di Mc 10,45: « II Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita in riscatto Per molti» (cf. Mt 20,28). Questo detto compare nel contesto della regola comunitaria (vv. 43-44: «Fra voi non è così... »), della quale fornisce la motivazione (v. 45a: gàr = infatti). «La morte espiatrice di Gesù viene indicata come fondamento della comunione di vita e dello stile di vita del cristiano. Lo stesso Gesù compare come il 'grande' (v. 43) e il 'primo' (v. 44), che si è rivelato il servo della comunità e lo schiavo di tutti nella sua missione di Figlio dell'uomo, che ha dato la propria vita in luogo e a favore dei molti, e nel suo servizio caratterizzato dalla morte espiatoria ha indicato il modello di servizio da seguire all'interno della comunità: "In questo abbiamo riconosciuto l'amore, che quegli ha dato la sua vita per noi. Anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli" (IGv 3,16). Non l'affermazione di se stessi nell'emulazione (cf. 8,35-37), bensì l'abnegazione in favore di altri fa della comunità cristiana la nuova società della salvezza» (R. Pesch).
Anche la comunità cristiana è esposta all'odio e alla derisione, alla calunnia e alla persecuzione, ma essa è invitata ad alzare il capo, « poiché la (vostra) redenzione è vicina» (Le 21,28). Il contesto è quello comunitario, non individuale. La redenzione è connessa con la venuta del Figlio dell'uomo con grande potenza e gloria (v. 27). Luca non lascia capire chiaramente se si tratta della morte-risurrezione di Gesù o degli avvenimenti parusiaci: la venuta di Gesù nella carne e la sua venuta nella gloria non sono indipendenti. Quel che importa qui è l'assicurazione, data alla comunità cristiana, della redenzione come evento unico e definitivo operato dalla venuta di Gesù, Figlio dell'uomo.
3. LA MORTE DI CRISTO È REDENTRICE - L'amore misericordioso di Dio si manifesta e si realizza splendidamente e in modo storicamente irreversibile nella morte di Gesù che da la propria vita: « Il Figlio dell'uomo è venuto... per dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). L'evento storico della morte di Gesù 'compie' il suo servizio e la sua autodedizione incondizionata per la vita degli uomini. La 'verità' di Gesù emerge e rifulge nel suo amore fino alla morte e da 'quella' morte particolare, datata eppure singolarissima, viene la salvezza per tutti.
Gesù è morto in croce come mediatore di salvezza: « Uno solo è Dio e uno solo è il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, il quale ha dato se stesso in riscatto per tutti »(1Tm 2,5-6). È l'uomo Cristo Gesù, è la sua morte in croce che realizza la redenzione, precisamente in quanto è il dono di sé totale e irreversibile. 'Riscatto' non significa 'pagamento' a qualcuno, ma è metafora della liberazione attuata. Gesù ha dato la sua vita in quanto è l'uomo Cristo Gesù, in tutto solidale con gli uomini, eccetto il peccato.
La redenzione ha come risultato l'appartenenza a Dio e la costituzione del popolo di Dio: « Gesù ha dato se stesso per noi, per redimerci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga» (Tt 2,14).
Con la sua morte, Gesù non è tanto colui che 'sacrifica' qualcosa a Dio nel culto, ma è colui che dona se stesso come sacrificio vivente e personale. La morte di Gesù è il sacrificio 'esistenziale', reale, non rituale, perché non viene offerta una vittima diversa dal sacrificatore. È dunque tutta l'esistenza umana di Gesù culminata nella sua morte che, donandosi per noi, ci riconcilia con Dio.
Il dono libero e volontario di sé fino alla morte è un tema sviluppato soprattutto da Giovanni (18,4-8) al momento dell'arresto di Gesù, il quale si consegna con sovrana libertà ai suoi accusatori. L'amore di Dio, incarnato in Gesù, è giunto fino al télos e compimento perfetto (tetélestai) nella morte di Gesù in croce (Gv 19,30). E Gesù muore per amore e per comunicare l'amore di Dio, ossia lo Spirito che sgorga, simboleggiato dall'acqua (Gv 19,37), dal costato trafitto del Crocifisso.
La morte di Gesù è una morte 'particolare', non è soltanto un caso particolare della morte di un giusto; e la risurrezione fa risaltare la singolarità della morte di Gesù. La singolarità della morte di Gesù è messa in luce dalle parole stesse del Crocifisso: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Le 23,34); «Padre, nelle tue mani raccomando il mio Spirito» (Le 23,46). È la morte del Figlio che può gridare 'Abba' a Dio! La morte di Gesù è salvifica, redentrice perché in essa Dio non è assente, anzi è presente e operante come Dio che salva. «Per la grazia di Dio la sua morte fu di vantaggio per tutti » (Eb 2,9). E la risurrezione di Gesù non è soltanto una ratifica successiva, ma lo 'sbocciare' della presenza divina vittoriosa nella morte di Gesù.

4. LA REDENZIONE IN PAOLO - Già si è fatto cenno alla ricchezza terminologica del NT e, in particolare, di Paolo per esprimere il mistero della redenzione. È possibile tentare una breve sintesi del pensiero paolino? Osiamo proporre alcune linee di fondo. Innanzitutto, il protagonista della redenzione è Dio Padre: Gesù Cristo non riceve mai il titolo di 'redentore'. Fuori del corpo paolino sia a Dio (ITm 1,1; Tt 1,3; 2,10) sia a Gesù (Tt 1,4; 2Pt 1,11) è dato il titolo di 'salvatore'. Negli scritti paolini, soltanto in Fil 3,20 Gesù è chiamato 'salvatore'. L'autore della redenzione, che si attua mediante Gesù come 'strumento' o mediatore assoluto di pacificazione (kapporet), è Dio Padre: «(Tutti) sono giustificati gratuitamente per suo favore, mediante la redenzione che si trova per mezzo di Gesù Cristo» (Rm 3,24). Da Dio Padre ha origine la libera iniziativa gratuita di togliere ogni ostacolo alla rappacificazione con gli uomini. E « per opera di Dio (Padre) che (Gesù) è diventato per noi sapienza» (del Padre), che implica per noi «giustizia, santificazione e redenzione» (1Cor 1,30). L'unico desiderio di Dio Padre è di salvarci: « Se Dio (Padre) è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio (Padre) giustifica» (Rm 8,33). Attraverso il dono del Figlio si rivela e si comunica a noi l'amore del Padre: « (Niente) potrà mai separarci dall'amore di Dio (Padre) in Cristo Gesù, nostro Signore (Rm 8,39). la divina redenzione è cristocentrica, ossia si realizza mediante Gesù Cristo, nella cui morte-risurrezione è operante Dio Padre, il Redentore. Come è detto in Rm 5,9 noi siamo «giustificati mediante il suo sangue». Gesù, nostro Signore, «è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione » (Rm 4,25). Morte e risurrezione di Gesù è, per Paolo, il centro dell'evento redentivo. È nell'evento storico della morte-risurrezione di Gesù che la volontà di perdono di Dio entra definitivamente nella storia e si offre ad ogni uomo che crede. Gesù infatti «ha dato se stesso per i nostri peccati, per strapparci da questo mondo perverso, secondo la volontà di Dio e Padre nostro» (Gai 1,4). Coerentemente, Paolo afferma: «Io vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me » (Gal 2,20). La risurrezione di Gesù è il compimento salvifico della morte: l'agire redentivo di Dio, che era presente nella morte di Gesù, si manifesta in forma definitiva e vittoriosa nella risurrezione. Dio ha vinto la morte, «l'ultimo nemico» (1Cor 15,26).
Gli effetti della redenzione sono la liberazione dal peccato (« In lui, mediante il suo sangue, otteniamo la redenzione, il perdono dei peccati, secondo la ricchezza della sua grazia»: Ef 1,7; cf. Col 1,14; inoltre cf. Tt 2.14; Eb 9,12-13), dal diavolo («Egli ci ha strappati dal dominio delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo amato Figlio, nel quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati»: Col 1,13-14; 2,15; cf. Eb 2,14) e dalla morte (« L'amore di Dio è stato manifestato ora mediante l'apparizione del Salvatore nostro Gesù Cristo, che ha distrutto la morte ed ha fatto risplendere la vita e l'immortalità per mezzo del vangelo»: 2Tm 1,10; cf. Eb 2,14-15). Diavolo, peccato, morte sono, nel pensiero paolino e in generale neotestamentario situazioni negative oggettive, potenze di distruzione, dati oggettivi. la redenzione di Gesù — col compimento del suo destino nella risurrezione — cambia radicalmente la 'situazione' storica dell'umanità: ogni uomo, mediante la fede nel Signore Gesù, può far propria la nuova 'situazione' di salvezza realizzata mediante Cristo. Il peccato da cui siamo redenti è la condizione di alienazione da Dio, che ha relazione profonda col diavolo e conduce alla morte totale. La redenzione è dunque 'riconciliazione' con Dio (2Cor 5,18-20).
L'effetto positivo fontale della redenzione è il dono dello Spirito di Cristo: « In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza e aver in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della vostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria» (Ef 1,13-14). Lo Spirito di Cristo è un "marchio di proprietà" posto sul popolo di Dio riscattato: come figli mediante lo Spirito (Gal 3,2-3; 4,6-7; Rm 8,12-17), i redenti formano il popolo di Dio, cioè il popolo che è proprietà di Dio.
Un testo non paolino, la lettera agli Ebrei, in una solenne e profonda meditazione del mistero cristologico della redenzione, dipinge davanti agli occhi dei cristiani la figura di Gesù Cristo sacerdote e l'evento del suo sacrificio sacerdotale come evento di solidarietà con l'umanità: « Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed aver sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova » (Eb 2,17-18). Indubbiamente, anche per Paolo la solidarietà di Gesù Cristo, « nato da donna, nato sotto la legge » (gal 4,4) per riscattarci e farci figli di Dio è l'orizzonte in cui pensare correttamente la redenzione. La solidarietà di Dio con gli uomini peccatori è giunta fino al punto che « colui che non conobbe peccato Dio lo fece peccato per noi, affinchè noi potessimo diventare giustizia di Dio in lui» (2Cor 5,21). Gesù ha solidarizzato anche con gli effetti nefasti del Peccato, la potenza produttrice di morte e rovina. Così Dio «ha condannato il Peccato nella carne» (Rm 8,3) del Cristo, divenuto uomo passibile e mortale come noi peccatori, ma innocente e senza peccato. « La stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per ottenere la libertà della gloria dei figli di Dio... Non solo essa, ma anche noi che abbiamo il primo dono dello Spirito, a nostra volta gemiamo in noi stessi, in attesa dell'adozione a figli, del riscatto del nostro corpo» (Rm 8,21.23). li destino dell'uomo è legato al suo cosmo e, di conseguenza, la creazione intera parteciperà alla redenzione definitiva dell'uomo operata da Cristo. È sintetizzata qui la visione paolina sul futuro dell'uomo e del cosmo.
La salvezza, che riguarda l'uomo solidale con il cosmo, è salvezza nella speranza (Rm 8,24). « È la speranza dell'uomo nella risurrezione (Rm 8,17-18.23.25) che permette a san Paolo di parlare della speranza di tutta la creazione: la speranza cristiana porta l'universo al futuro della salvezza» (J. Alfaro). La redenzione del 'corpo' dell'uomo è già presente e non ancora compiuta e, mediante la corporeità umana, è lo stesso cosmo che è già — sebbene non ancora perfettamente — integrato nel destino dell'uomo.
La redenzione di Gesù Cristo coinvolge tutto l'uomo, sia come individuo sia come comunità, sia come anima sia come corpo legato al suo cosmo, sia nel suo "tempo perduto" nel peccato sia nell'aprire un futuro di speranza. Mediante la redenzione di Cristo, Dio sta facendo nuove tutte le cose per far nascere «un cielo nuovo e una terra nuova» (Ap 21,1).

(A. Bonora, Dizionario di teologia biblica, Paoline 1988)

Edited by Fra Roberto Brunelli - 24/6/2017, 16:00
 
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