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I frutti dello Spirito Santo /4
DOVE C'È LO SPIRITO C'È LA GIOIA INTRODUZIONE La gioia cristiana qualifica la vita L'unica cosa per cui l'uomo è disposto a lottare, fino a dare tutto, è la gioia. Ma il mondo, così pronto a promettere gioie facili dietro ogni angolo, non può garantire la "tenuta" della gioia di fronte alla sfida del limite umano e delle contingenze del quotidiano. Allora è costretto a mentire, a nascondere la morte, ad esorcizzare la fatica. Il cristianesimo non ha mai mentito davanti al cuore dell'uomo ed alle sue esigenze: la gioia vera esiste, ma ha il suo prezzo, perché non è fatta di cose da acquistare al mercato o al supermercato del superfluo, ma è frutto di un incontro con Colui che ha sconfitto la morte. Il prezzo della gioia è la morte a noi stessi per permettere a Cristo di vivere in noi. E questo, per l'uomo così legato a se stesso, è un prezzo davvero alto... La gioia ha un volto, la gioia ha una sua concretezza sperimentabile nell'impatto con Gesù: «Questo vi dico perché abbiate in voi la mia gioia e la vostra gioia sia piena». Gesù è interessato alla nostra gioia e per questo ci dice la verità; e la verità la dice solo chi ama, solo chi ha a cuore la riuscita e la piena liberazione dell'uomo. Allora il nostro sforzo per incontrare la gioia vera non deve essere disperso per mille strade spesso caratterizzate da illusione, ma deve essere canalizzato verso I'unica cosa importante: incontrare Gesù per attingere da Lui la certezza che la morte è sconfitta e che esiste una dimensione diversa e "gustosa" della vita, libera dalla paura e dall'angoscia. Non c'è gioia altrove, perché non ci può essere gioia in situazioni o idee in cui l'uomo non sia assunto nella sua interezza, compresa la dimensione della sua povertà e I'inesorabilità della morte. C'è gioia nelI'annuncio cristiano perché Gesù ha vinto per tutti e per ciascuno di noi. LA RIFLESSIONE La gioia è frutto dello Spirito La vera gioia è la gioia frutto dello Spirito Santo. Dono di Dio, essa presuppone la sua accoglienza da parte dell'uomo in quanto la gioia, più che una «cosa» data all'uomo, è la presenza di Cristo Risorto nel suo cuore. E' la gioia che scaturisce per qualcosa di grande, che riempie il cuore fino al punto in cui questo non è più in grado di contenerla e la lascia trasparire all'esterno. «La gioia brilla negli occhi e nello sguardo> nella conversazione e nel comportamento. Non potete nasconderla nel vostro intimo, perché essa trabocca al di fuori. Vedendo la felicità nei vostri occhi, gli altri prenderanno coscienza della loro condizione di figli di Dio. La gioia è molto contagiosa... » (Madre Teresa di Calcutta). Non è rumorosa ed invadente, la gioia... ma, come una sorgente, sgorga dal cuore abitato da Cristo, trasuda da ogni atteggiamento e rende nuove e vive tutte le realtà che incontra, perché veicolo dello Spirito che l'ha generata. Poiché nasce da una presenza, essa è frutta di dialogo, di comunione e, come ogni intervento di Dio nella nostra storia, appunto perché è frutto d'amore, presuppone l'accoglienza libera e totale da parte dell'uomo. Dio, volendo operare in noi con il suo Spirito chiama l'uomo all'attiva partecipazione perché l'uomo nuovo che ne risulta sia frutto di questo dialogo d'amore unificante. Se gioia significa serenità di vita, tale serenità si può attuare solo in un individuo che, alla luce di Dio, compia un cammino di integrazione. La gioia è infatti una realtà spirituale che accompagna l'uomo come tale e quindi è in relazione stretta con la sua vita interiore. In questo senso l'uomo che non conosce la via verso l'interiorità, difficilmente troverà il sentiero che lo renda felice e lieto. Illuminata e guidata dallo Spirito, essa è legata al nostro spirito, al nostro intimo, alla coscienza di vivere correttamente. La vera gioia sta al di dentro e si regge sulla base di motivazioni interiori, che offrono alla nostra esistenza un'alta ragione di essere. La serenità dell'anima sarà il frutto della fedeltà alle proprie convinzioni più profonde e all'impegno di andare avanti accogliendo la vita come dono di Dio; di un cuore indiviso e dunque unificato nei suoi desideri e nei progetti di donazione a grandi e nobili cose. La gioia spirituale ha la sua sorgente in Dio, si nutre di preghiera, vissuta come colloquio di amore e di amicizia con Dio; di carità vissuta come servizio e comunione con gli altri; di lavoro, fatto bene e con cuore come leale partecipazione alla condizione umana e alla responsabilità verso di essa. La gioia del cuore va anche difesa e cercata perché rinvigorisca ogni giorno. Difesa dalla tentazione della tristezza che tanto facilmente entra silenziosamente dalla porta di servizio, per fare la sua comparsa quando ci si ritrova soli. Quella tristezza che spesso sembra non avere ne nome ne origine ma che torna per cercare dimora stabile. Quella che spegne ogni entusiasmo e fiducia, demolendo le forze migliori del cuore e dell'intelligenza. Nasce così la battaglia della fede, umile ma sincera e ferma. «In verità vi dico: se avrete fede e non dubiterete, anche se direte a questo monte: "levati di lì e gettati nel mare" ciò avverrà» (Mt 21,21). È la gioia di « non essere più soli, come nella morte, ma parte di un Tutto». Johnny Libbi LA SCHEDA BIBLICA «I discepoli gioirono al vedere il Signore» Luca 2,9-10: «Un angelo del Signore si presentò davanti ai pastori e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento. Ma l'angelo disse loro: "non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore che è Cristo Signore!"». Filippesi 3,4-6: «Gioite nel Signore, sempre: ve lo ripeto ancora, gioite! La vostra affabilità sin nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino. Non angustiatevi per nulla...». Luca 1,46-48: «Allora Maria disse: L'anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva». Giovanni 20,19-20: «La sera di quello stesso giorno (di Pasqua)... venne Gesù e si fermò in mezzo ai discepoli e disse loro: Pace a voi!... e i discepoli gioirono al vedere il Signore». 2 Corinti 7,4: «Sono molto franco con voi... Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione». I testi che abbiamo riportato sono solo alcuni, ma in realtà per parlare di gioia cristiana bisognerebbe citare l'intero Nuovo Testamento: poiché in ogni pagina traspare un senso profondo di gioia e di letizia. Tale gioia ha un nome: è Gesù, ha un orizzonte di vita: è il suo Vangelo. La gioia del cristiano è frutto dello Spirito Santo perché nasce dall'amore e dalla capacità di irradiare tale amore in tutto e in tutti. Il nostro cuore è fatto per amare: quando ama veramente, perché è posseduto dallo Spirito Santo che è amore, allora è invaso da un sentimento profondo di gioia nella serenità e nella pace. La gioia, come frutto dello Spirito è il risultato della sua presenza nel cuore del credente. Il nostro cuore è lieto e sereno quando ha in se lo Spirito di Dio, il dono di Cristo risorto. Il contrario della gioia è la tristezza: essa nasce dal peccato, dall'egoismo, dall'essere chiusi in se stessi, dal non essere capaci di guidare le cose, gli avvenimenti, le persone con occhio liberante dell'amore, dello Spirito di Dio che è la sorgente del vero ottimismo. L'invito alla gioia e quindi il superamento della tristezza, nasce dalla nostra vicinanza con il Signore (secondo testo). Quando siamo uniti a Lui e Lui è unito a noi, mediante l'ascolto della sua Parola e i sacramenti, non ci si angustia di nulla... Angosce, preoccupazioni, sofferenze vengono quasi interamente assorbiti dalla presenza dell'amore e dalla consolante vicinanza del Signore. La figura di Maria (terzo testo) è, in questo senso, tipica per il recupero della gioia cristiana nella nostra vita. il Vangelo ci fa assistere all'incontro gioioso tra Maria ed Elisabetta, fra una fanciulla luminosa ed una donna di età avanzata, ambedue ispirate da Dio, ambedue portatrici di una promessa. Ed è li che Maria canta la sua gioia lodando e magnificando Dio. Una gioia che Maria conserverà, come serva il Signore, anche ai piedi della croce, nel momento più cruciale della sofferenza, quando il dolore divenne acuto: si poiché la gioia non è assenza di dolore ma il frutto di una pace interiore che sa vedere in tutto la Volontà di Dio a cui nella pace ci si abbandona... L'origine della gioia è il mistero della pasqua. I discepoli gioiscono nel vedere il Signore (quarto testo). Il Signore risorto riempie infatti di speranza il cammino della vita di ogni uomo: tale cammino può essere difficile a volte, tribolato, irto di difficoltà, va incontro a tante illusioni, si trova esposto a tanti fallimenti: ma guardando alla luce del mistero Pasquale, il cuore può e deve rimanere sereno: una serenità composta, sobria che è dono, grazia di Dio, appunto dono e frutto dello Spirito che abita nei nostri cuori. Si tratta allora di una gioia che può esistere anche nelle tribolazioni (quinto testo), perché è sorretta dalla speranza della luce pasquale che si proietta al di là delle cose: «non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno perché le cose di prima sono passate...e Dio verrà a tergere ogni lacrima dai nostri occhi...» (Apocalisse 21,3-4). * Non potrai mai essere nella gioia se non ami! Stai veramente dichiarando guerra spietata contro il tuo egoismo? Se pensi a te stesso e solo a te stesso, se rimani chiuso nel tuo mondo, non conoscerai mai la gioia di vivere. * Nei momenti di tristezza e di scoraggiamento senti il bisogno di avvicinarti di più al Signore, fonte della gioia? * Quando ti incontri faccia a faccia con il dolore (malattia, sofferenza, morte di parenti, amici) sai trovare dentro di te risposte di speranza alla luce della resurrezione del Signore? Padre Augusto Drago IN CAMMINO CON MARIA Maria: la donna ricolma della gioia dello Spirito Santo Chiamata dal Padre a realizzare con Cristo la salvezza del mondo, Maria risponde con generosità e costanza, con la consapevolezza che al Dio della gioia non si può rispondere che gioiosamente. Poiché ha «trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30) ed è ricolma di ogni benedizione spirituale (= nello e dello Spirito Santo) in Cristo (cf. Ef 1,3), il kaire di Gabriele (= gioisci, rallegrati, esulta), entra nell'anima di Maria come un invito alla gioia (Lc 1,28). Ma perché Maria si deve rallegrare? Per i privilegi della grazia divina? Perché chiamata ad essere Madre di Dio? Anche, ma soprattutto perché, come canterà lei stessa nel Magnificat, ha fatto l'esperienza di essere salvata da Dio : «Il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore» (Le 1,47). «Ridonami la gioia di essere salvato» (SaI 50,14) cantava Davide dopo aver riconosciuto in gravissimo peccato di omicidio e di adulterio con la moglie di Uria (cf. 2 Samuele 12). Maria, l'Immacolata, la donna tutta pura, tutta santa, sa di essere stata salvata più di tutti, perché in lei la misericordia del Padre e la potenza redentrice del Figlio hanno manifestato tutta la loro forza preveniente. Maria poteva ben dire che Dio ci ha amati per primo (1 Gv 4,10.19) e, capace com'era di riflessione, ha avuto tutta la vita per comprendere e gustare la gioia di questo Amore redentivo, di questo assoluto venir prima di Dio. «Dio ci ha amati per primo»: è lui che ha l'iniziativa, sempre, oggi come allora. Come si può gioire, non esultare, non comunicare a tutti questa «Buona Notizia»? Proprio perché Maria è ricolma di Dio, del suo Spirito, e consapevole che solo da lui viene la sua salvezza, la benedizione, pienezza di grazia e di letizia («Kecharitoméne»), dove passerà lei la gioia nascerà, crescerà, si diffonderà. La troviamo portatrice di gioia ad Ain Karim nella casa di Elisabetta: «Il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,44). A Betlemme, dove ai pastori viene annunciata una grande gioia, per cui, dopo aver trovato «Maria, Giuseppe e il bambino che giaceva nella mangiatoia» (Lc 2,16), se ne tornarono alle loro case, alloro lavoro glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano visto e udito (Lc 2,20). Maria dona la gioia del Salvatore anche ai due santi vegliardi del Tempio: Simeone e Anna, che finalmente possono vedere coi loro occhi Colui che avevano tanto atteso. A Cana la gioia degli sposi e dei presenti si accresce per la preghiera di Maria. A Pentecoste con Maria la gioia esce dal Cenacolo e si sparge in tutto il mondo, per la predicazione e la testimonianza degli Apostoli, ora anche loro ripieni dello Spirito Santo. Maria, che continua ad essere presente nel cammino della Chiesa, non cessa di proclamare il Vangelo della gioia, perché continua a donarsi Cristo, l'autore della gioia e ad accompagnarci verso il Regno della letizia, verso la casa del Padre. P. Kolbe - che aveva ben compreso tutto ciò - non perdeva occasioni per ricordare ai suoi lettori che «Dio è la sorgente della gioia e chi si avvicina a Dio partecipa della sua felicità e già in questa vita pregusta tale gioia» (Scritti 1182). Anche la Milizia dell'immacolata e la sua rivista (Il Cavaliere dell'Immacolata) dovevano aiutare ogni uomo a trovare la felicità vera, cioè Dio. Coloro che fanno parte della M.I., scriveva P. Kolbe, «si sono consacrati senza restrizioni alla santissima Vergine Immacolata, affinché Ella stessa operi in loro e per mezzo loro e riversi, sempre attraverso loro, su altre anime le grazie della luce, della forza e della gioia soprannaturali» (Scritti 1237). Ora che San Massimiliano si trova nella felicità senza fine della comunione trinitaria, ripete a noi con forza lo stesso invito: «Consacrati anche tu all 'Immacolata! Lascia che Ella operi per tuo mezzo e spargerai sulla terra molta felicità anche in questo nostro tempo, e offrirai a molte persone inquiete pace e serenità in Dio» (Scritti 1237). Rossella Bignami CON FRANCESCO «UOMO NUOVO» Dove c'è lo Spirito del Signore lì c'è «perfetta letizia»... «... Il Poverello di Assisi... avendo abbandonato tutto per il Signore, egli, grazie a madonna povertà, recupera qualcosa, si può dire, della beatitudine primordiale, quando il mondo uscì intatto dalle mani del Creatore. Nella spoglianza estrema, ormai quasi cieco, egli poté cantare l'indimenticabile Cantico delle Creature, la lode di frate sole, della natura intera, divenuta per lui come trasparente, specchio immacolato della grazia divina e perfino la gioia davanti alla venuta di sora nostra morte corporale» (Paolo VI, Gaudete in Domino). Tra gli esempi di gioia cristiana che il Papa additò alla Chiesa nel clima spirituale dell'anno santo 1975, il primo ed il più eloquente è il Poverello di Assisi. In effetti «Tutta la spiritualità francescana è pervasa da una vivida letizia; letizia, si badi, non allegria che ha alcunché di infantile e di chiassoso, e nemmeno gioia, che per la sua intensità non può durare abitualmente; la letizia sta all'allegria come l'orizzonte di Assisi sta all'orizzonte di Napoli; sta alla gioia come i colori della valle spoletana ai colori delle valli alpine. La letizia è l'espressione della concezione francescana della vita» (Bougerol). La gioia, la festa, il canto ed uno stile brioso accompagnano costantemente la vita del Santo di Assisi «Per natura, Francesco era allegro ed era dotato di un carattere eccezionalmente festoso e gioviale che conservò sempre ed accrebbe lungo tutta la sua vita. Era convinto che questo era un dono divino e quindi doveva rispettarlo, viverlo e trasmetterlo» (A. Merino). Il dono della conversione, pur essendo un rovesciamento completo di valori e atteggiamenti, non serrò questa sorgente genuina di gioia e di naturale ilarità, né causò in lui alcun mutamento di carattere. La gioia di Francesco non è un sentimento legato a momenti felici e non vive di soli momenti emotivamente carichi. La letizia di Francesco ha un nome, un volto, una voce concreta, quella di Gesù. In lui la letizia è la compagnia di Gesù beneamato e, siccome questa compagnia mai abbandona, Francesco riesce a coniugare insieme tra loro gli opposti: povertà e letizia,; penitenza con letizia; croce con letizia... fino a dire «Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto» (FF. 1897). Dio per Francesco non rappresenta un elemento negativo o triste della vita. Dio è il massimo dell'affermazione umana, il massimo delle possibilità che un uomo possa avere. Dio non è contro la realizzazione dell'uomo, anzi egli viene, muore e risorge per rendere possibile questa piena realizzazione dell'uomo. Dio è una festa, una gioia. Le visite di Dio e la sua compagnia generano nell'animo di Francesco una tale esultanza da sentire una necessità imperiosa di comunicare la sua incontenibile gioia, fino a trasformarsi in «giullare di Dio» per far risuonare «la dolce melodia spirituale che sgorgava dal suo cuore». «Il santo della gioia passava dalla fantasia alla realtà, dalla realtà al sogno, dalla gioco alla penitenza, dal canto al silenzio, dalla solitudine alla compagnia, dal mondo a Dio e dal Creatore a tutto il creato. Ed è in questo andare sereno e gioioso, da una realtà ad un 'altra, che si nasconde la verità e l'incanto di Francesco. Il suo comportamento ludico proveniva dalla convinzione che tutto è gratuito... Solo una vita spoglia di interessi si apre al canto, alla danza e alla vera lucidità. Quando la vita viene ricevuta come dono, l'esistenza umana può cantare una canzone diversa da quella che conosciamo» (A. Merino). Il fondatore della famiglia francescana seppe passare ai suoi questo modo festoso, gioioso ed ottimista. «Si guardino i frati dal mostrarsi tristi esteriormente o ipocritamente accigliati; si mostrino più volentieri gioiosi nel Signore, allegri e opportunamente cordiali». Nel mondo francescano la gioia pasquale, il riso e il sorriso, profondamente umani, sgorgano da una esperienza singolare: la compagnia con Gesù. Il carattere giocoso e festivo della vita francescana rimanda alla speranza teologale che scopre qui ed ora la luce dell'al di là. Il regno è già cominciato. La cultura contemporanea respira una pesante tristezza perché vive nell'oblio del Dio della festa e della gioia; non conosce la strada che conduce alla sorgente della gioia. La gioia francescana è espressione spontanea del suo carattere festivo, ma trova il suo fondamento e la sua giustificazione nella trascendenza, in Dio, come fonte esultante e destino verso cui anela. Il francescanesimo da molto spazio alla celebrazione perché ha vivo il senso e l'esperienza personale che la Pasqua è un mistero non semplicemente da credere in un freddo assenso ad una verità in più, ma da vivere già nell'orizzonte storico della propria liberazione e nella gioia di sentirsi salvati. il francescanesimo ha portato all'esperienza di fede un ringiovanimento della gioia... Non vi è nulla di più odioso e insopportabile di un cristiano triste, che presenta un Dio triste. Se Dio perdesse l'abitudine al riso sarebbe invecchiato e non interesserebbe più. Per questo amico del Dio della vita e delle danze divine non può mostrare spirito di noia né di serietà diabolica. Francesco è profezia di questa gioia divina e tutti vuol coinvolgere in questa danza festosa della vita p. Giancarlo Corsini ALLA RICERCA DI CONCRETEZZA Un "colore" vero e duraturo per la nostra gioia Tutti la cercano, tanti dicono di possederla, altri pretendono di poterla... vendere, ma la gioia vera, quella che è capace di sfidare ogni circostanza della vita e rimanere li, attaccata al tuo cuore, pochi la conoscono e pochissimi la sperimentano fino in fondo. Noi abbiamo una fortuna: l'impatto con un cammino di fede ci porta a verificare continuamente la qualità delle nostre conquiste e mette in crisi ogni tipo di soluzione qualunquista o scontata. O incontriamo la pienezza o sperimentiamo il vuoto totale! Non ci possono essere mezze misure nel cammino con il Signore. Lo Spirito Santo ha il ruolo di illuminare i nostri orizzonti e non permette che ci accontentiamo. Appena ci fermiamo, appena ci sediamo, subito dentro nasce quel tormento che tende a spingere ancora più avanti i nostri occhi verso orizzonti inusitati e davvero coraggiosi. La voglia di cose vere riguarda anche il campo della gioia. Non bisogna aver sperimentato tutto per accorgersi che tutto passa... Basta aver puntato tanto su un nostro sogno, aver giocato alla grande con alcune prospettive semplicemente umane per accorgersi che la delusione è insita in ogni cosa. Allora o ci si arrende o si continua a sognare e sperare. La vera gioia è un dono dello spirito ed è un dono che viene fatto a chi non si arrende, a chi ama il rischio, a chi si butta su strade apparentemente assurde: le strade di Dio che corrispondono alle varie «chiamate» che egli fa personalmente ed ogni uomo perché le sue creature siano felici e libere in Lui, solo in Lui. Lo Spirito Santo ci "provoca", ci sfida, ci invita a giudicare la nostra vita e la qualità della nostra gioia. Ma la sua non è una sfida che tende ad umiliare o svilire, tutt'altro. Lo Spirito vuole la tua autocoscienza, la tua presa di posizione coraggiosa così da poter supplire la tua debolezza, sostenere il tuo sogno vero, garantire ed assicurare la riuscita della tua vita. Con un amico così viene proprio voglia di partire, lasciandosi andare, nella logica della fede, a dimensioni davvero più che umane, in uno stile di vita che ha più del divino che dell'umano: «Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me!» (S. Paolo). A. Giovanissimi La spensieratezza dell'infanzia, con quella gioia limpida che così facilmente si legge sul volto di un bambino, rischia di essere infranta dai primi problemi che intervengono nella pre-adolescenza. Le situazioni si ingigantiscono, il mondo sembra troppo grande, le sensazioni interne rischiano di spaventare... Il ragazzo in fase di sviluppo ha bisogno di punti certi di riferimento, di agganci sicuri per superare i "salti" che la vita chiede di compiere. Il Signore è particolarmente vicino in questi momenti e diventa l'unica garanzia di una gioia che non finirà mai. Solo quando si sente vicino il Signore si è capaci di guardare avanti con la piena fiducia del cuore. La preghiera aiuta ad allargare i propri orizzonti. Nella preghiera il ragazzo "parla" con il Dio della vita e lo sente coinvolto nel suo cammino. Il Signore risponde con amore di Padre e prende per mano chi a lui si affida; allora i passi si fanno sicuri e la vita non mette più paura. * Quali sono le difficoltà del mio crescere che rischiano di farmi perdere l'entusiasmo e la gioia di vivere? Conosco la difficoltà e la loro reale portata, oppure mi lascio prendere facilmente dall'abbattimento e dal pessimismo? * In che misura il mio rapporto con il Signore è capace di serenizzare i miei giorni? Metto tutto nelle sue mani, nella certezza che Egli conosce la mia strada e saprà portarmi lontano? B. Giovani Il giovane che ha incontrato il Signore nella sua adolescenza è capace di sfidare il mondo! Chi, invece, ha portato avanti con fatica i suoi passi e si sente solo davanti alla responsabilità delle grandi scelte della vita, rischia il disorientamento e la dispersione lungo le strade comode preparate dal mondo. Niente è più affascinante di un giovane che vive con serenità la propria esistenza e sa godere delle piccole cose che la vita dona giorno dopo giorno. Ma questo è un dono riservato a chi sa allargare i propri orizzonti, in un confronto attento ed aperto con il disegno del Signore. Ecco perché, a livello giovanile, la gioia coincide sempre con la chiarezza vocazionale. «Cammina l'uomo quando sa bene dove andare», dice Chieffo in una sua bellissima canzone: i passi di chi sa dove andare sono passi nella gioia. Il giovane dovrà mettersi davanti alla vita come mistero sentendosi "appoggiato", tenuto per mano da un Dio-Padre- Provvidenza che ha a cuore più di lui la riuscita di una vita e la sua piena realizzazione. La gioia nasce, e si conferma, grazie alla intuizione che si sta realizzando un progetto, un disegno fatto dall'Amore di Dio fin dall'eternità. * Vedo la mia vita come parte di un insieme, progetto in un grande progetto per la piena realizzazione di un «mondo nuovo»? * Chiedo spesso al Signore quale è il Suo progetto su di me? Trovo pace nella preghiera intesa come dialogo d'amore con Colui che solo conosce il pieno valore di ogni singolo atto della mia vita? * Davanti alle illusioni che la strada mi propone, ho sviluppato dentro di me un profondo senso critico, usando come metro di giudizio la parola di Dio, in particolare il brano delle tentazioni di Gesù (cf Matteo 4, 1-11)? C. Giovani coppie La gioia più grande che l'uomo possa sperimentare sulla terra consiste nel dare la vita per amore, e questo è possibile nell'ambito del Sacramento del Matrimonio dove una persona accetta di «morire a se stessa» perché viva una storia misteriosa e più grande. Le piccole gioie della vita insieme sono un riflesso di questa grande gioia che il Signore ha promesso a chi si affida totalmente ad un disegno d'amore. Purtroppo l'attacco del male al cammino di una coppia, in particolare di una giovane coppia, è molto forte: il male odia l'amore e tenta di deviare il cammino della fedeltà nelle piccole cose, creando l'illusione di facili itinerari che, in realtà, impoveriscono il cuore e svuotano di contenuto un rapporto. La coscienza di questo rischio rende la coppia serena nei propri passi, libera dall'illusione, pronta a superare il limite che quotidianamente è chiamata a vivere. * C'è nel nostro rapporto l'aggancio con la sorgente della vera gioia? Il Signore entra a far parte quotidianamente, fin nelle più piccole cose, del nostro cammino insieme? * Abbiamo sperimentato e fatto tesoro dei piccoli fallimenti che maturano la fede e fanno crescere nella capacità di affidamento alla volontà di Dio? * Guardiamo avanti con gli occhi della fede, oppure siamo vittime della paura e dello scoraggiamento? La coscienza che stiamo incarnando una storia più grande di noi è capace di portarci su un piano superiore da dove è possibile giudicare con serenità le nostre contraddizioni così che non venga mai meno la gioia vera? D. Catechisti Il catechista non è un maestro, ma un testimone. Il nostro mondo, sosteneva Paolo VI, ha oggi più bisogno di testimoni che di maestri; oseremmo aggiungere che il nostro mondo ha bisogno più che mai di testimoni della gioia! Solo chi ha fatto una concreta e vera esperienza di Dio può incarnare un annuncio e farsi strumento di crescita dei fratelli più piccoli. * Quale è la mia esperienza della gioia nel Signore? Posso dire che sto annunciando ciò che ho contemplato e toccato con mano? * In che misura i miei ragazzi percepiscono, dalla mia parola e dai miei gesti, che nella mia vita è avvenuto un incontro che ha qualificato le mie scelte ed i miei passi? * Percepisco il disagio che nasce da uno scollamento tra annuncio e vita? So vivere questa mia incongruenza con umiltà, mendicando dal Signore il dono di essere testimone autentico di una Parola che è fonte di gioia? p. Silvano Castelli PER LA PREGHIERA Camminate secondo lo Spirito e avrete la gioia Acclamate ai Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia, presentatevi a Lui con esultanza (salmo 100) La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena... Nessuno vi potrà togliere la vostra gioia! (Vangelo di Giovanni) I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo (Atti 3,52) Il Regno di Dio è gioia e pace nello Spirito Santo (Romani 14,17). «Il cristianesimo è gioia. La fede è gioia La grazia e gioia. Cristo è la gioia, la vera gioia del mondo. Essa è umana, essa è più che umana. È felicità oggi, nell'attesa della piena felicità di domani» (Paolo VI). Dio, in Gesù, si è fatto vicino ad ogni uomo per diffondere su ogni creatura la sua gioia e la sua vita. Lo Spirito ci è dato come fonte della nostra gioia. Gioia di essere e di vivere nella compagnia di Dio: Dio in noi, pienezza della gioia. La vita cristiana, quando è vera, si traduce in una vita di gioia piena che niente e nessuno potrà mai togliere. Il male, la sofferenza, la povertà, i disagi della vita mettono alla prova questa gioia, ma essa sta, rimane salda perché fede e gioia diventano un tutt'uno. La gioia e la letizia che Francesco sperimentò nella sua vita sgorgano dalla povertà e dall'umiltà ed hanno il loro culmine nella perfetta letizia che è la letizia nella sofferenza, nel dolore. Ad una mentalità mondana tutto ciò è solo follia. Eppure il Poverello ci ripete: «Dov'è povertà e letizia, ivi non è né preoccupazione né dissipazione» (FF 177). La gioia cristiana non è allora un sentimento, una emozione consegnati alla buona sorta di un momento, ma è una persona, una voce, un volto che riempie di sé la vita. La nostra gioia è Gesù! (cf. Sof 3,14; Gv 20,20; Gv 15,11; Gv 16,22; 1 Pt 1,6; Is 30,29). Spirito Santo, amore sostanziale e forza vivificante, dispongo il mio spirito alla tua luce sfolgorante e al tuo calore bruciante. Il mio cuore è buio e freddo, povero e debole. Tu sei amore personale, tu sei dono incomparabile, tu vita e comunione profonda. Introducimi alla scuola del tuo amore e avrò la gioia: illumina, conforta, incoraggia, risplendi, insegna, infiamma. In me tu sei tutto! Tu sei pienezza, tu sei gaudio, tu sei difensore, tu sei conforto, tu sei calore e sovrabbondante letizia, tu sei luce di sapienza e del discernimento, tu sei fortezza e maestro di tutte le virtù. Fiducioso ti invoco. Vieni a portarmi la tua gioia, brucia le tristezze e le malinconie. Dammi amore, pace e gioia. Amen! In ascolto della Parola di Dio - Luca 19, 1-10. La gioia nasce dall'accoglienza del dono di Dio. Essa germina come frutto dalla Pasqua di Cristo e dalla pasqua dell'anima che accetta di entrare in un cammino di conversione. È gioia della vita ritrovata. È gioia del perdono. Pausa di silenzio - Canto o canone. La parola di S. Francesco - Dalle Fonti Francescane 1793, 3027. Francesco e Chiara sono maestri di letizia cristiana. Essi ti propongono non una letizia qualunque, ma quella dello Spirito. La loro è l'esultanza dell'anima che vive con trasparenza e gratitudine la presenza di Dio e la sua familiarità. Mio Dio e Signore, ti riconosco e adoro qui presente. Comprendo: questa è per me un'ora di grazia. Tu mi ricrei, ed io mi rinnovo. Tu mi illumini, ed io entro nella tua luce. Tu mi sei vicino, ed io godo la tua ineffabile presenza. Ma soprattutto tu sei Parola, ed io mi faccio ascolto. L'irradiazione del tuo Spirito Santo crei in me una disposizione interiore e la libertà del cuore, perché in me possa risuonare la tua parola di vita. Possa portare in me frutto di salvezza e di crescita nella fede e nell'amore. Amen, Alleluja! p. Albino Tanucci I frutti dello Spirito Santo /5 LO SPIRITO SANTO POTENZA DI CRISTO RISORTO INTRODUZIONE La potenza di Cristo Risorto Si parla tanto di Dio ma raramente è dato di incontrare gente che possa affermare: «Io ho sperimentato la potenza di Dio che cambia la vita... Ero così, ora sono un'altra persona!». Una affermazione di questo genere non ha nulla a che fare con un incontro teorico o con una fede che possa essere confusa con una idea della vita... Questa affermazione mette in ballo tutta la potenza di un Dio vivo, presente, operante concretamente nella vita di ogni uomo. In questa scheda abbiamo la gioia di poter presentare una testimonianza-catechesi che nasce da una esperienza concreta della potenza di Dio che è lo Spirito Santo. Il confronto con questa esperienza può mettere in cammino la nostra vita su una strada di concretezza. E credo che tutti abbiamo bisogno di recuperare in concretezza! La vita può cambiare! E non c'è bisogno che la nostra storia registri esperienze drastiche o drammatiche per invocare un cambiamento di rotta: ogni giorno sentiamo il bisogno di ritrovarci attorno all 'Essenziale per non sperperare energie ed non vagare per strade di illusione. La testimonianza che riportiamo ci indica una strada per recuperare la luminosità della vita e diventare «segni credibili» per le strade del mondo: questa strada è la purezza, parola ardua per la mentalità corrente, così corrotta su questo campo. Eppure dentro ognuno c'è una grande nostalgia di poter tornare a guardare il mondo, la gente e le cose con una ritrovata libertà del cuore. la purezza è frutto di una dura lotta, e forse questo è il primo campo in cui ci è chiesto di sperimentare l'azione liberatrice dello Spirito Santo, Potenza di Dio, forza di Cristo Risorto. CATECHESI - TESTIMONIANZA Lo Spirito Santo, potenza di Cristo che salva (Paolo) Da molti anni ero alla ricerca di Gesù Cristo, l'ho cercato dentro e fuori dalla Chiesa: l'ho cercato nei corsi a livello teologico e biblico, e conoscevo tante cose su di Lui sul piano intellettuale, però tutto questo non mi diceva niente. Sapevo tutto su Gesù, sullo Spirito Santo, sulla Bibbia,.., ma la mia conoscenza toccava la mia mente, non il mio cuore e la mia vita in modo pieno. Leggevo la Bibbia e non mi diceva quasi niente, però mi affascinava, perché percepivo che, sotto sotto, voleva dire qualcosa di particolare a me, personalmente. Vedevo che il personaggio Gesù Cristo, come me lo presentava la Bibbia, non lo riscontravo nella vita dei cristiani vicini a me, nella comunità in cui vivevo: i riti che celebravo in Chiesa erano vuoti, uscivo con il cuore inquieto, ancora alla ricerca di qualcosa che il Signore voleva veramente dirmi. (Eliana) E quando imbattevamo in quella parola che dice: «Perché io possa conoscere la potenza della sua resurrezione» non capivamo cosa volesse dire. La capivamo a livello intellettuale, ma non capivamo cosa volesse dire, in una esperienza diretta di vita, cosa volesse dire sperimentare la «potenza» di Gesù risorto. Abbiamo sempre avuto molta fame e sete di Dio, ma non lo trovavamo; abbiamo trovato tante idee su Gesù, su Dio, ma non abbiamo mai trovato concretamente la sua presenza. Allora abbiamo lasciato la fede e la Chiesa, pur non rinunciando a dire al Signore: «Se ci sei, batti un colpo!». (Paolo) Volevamo mettere alla prova il Signore, perché nella Bibbia avevamo letto che Dio era l'Onnipotente sempre presente accanto all'uomo, un Dio amico. Ecco perché lo sfidavamo dicendogli: «Fatti incontrare, fatti vedere!». Con questa decisione sentivamo di aver rimesso la palla in mano al Signore, ora la cosa riguardava Lui, se non ci si faceva incontrare, era davvero un problema che riguardava Lui! (Eliana) Siamo passati attraverso molte difficoltà di salute, matrimoniali e familiari (abbiamo perso dei figli), e siamo stati costretti a guardare in faccia la realtà, ponendoci le domande che certamente ognuno di voi si è già posto: che cos'è la vita, che cos'è la morte, che senso abbia il vivere, che ci sia o non ci sia Dio... E in questa nudità in cui in certi momenti della vita ci si ritrova, abbiamo intensificato la nostra preghiera: «Signore, se ci sei, batti un colpo!». In quel periodo eravamo molto lontani dalla Chiesa, e nonostante questo, il Signore ci ha visitati. Passando davanti una Chiesa (certamente non vi entravamo in quel periodo), ha fatto brillare davanti ai nostri occhi un avviso in cui era scritto un invito ad mi incontro di preghiera. Si trattava di un foglietto molto semplice, scritto a mano. Siamo andati, e solo il Signore sa il perché. Abbiamo preso parte a quella giornata con molta attenzione, e siamo usciti con una sensazione che qualcosa di diverso stesse avvenendo. Vi siamo tornati altre volte, proprio alla ricerca di questa sensazione che non capivamo. A quel tempo non sapevamo nulla di movimenti ecclesiali, di esperienze di questo genere, e questo anche perché eravamo molto chiusi e molto inquadrati a livello mentale. Che cosa ha fatto il Signore per noi? Una cosa molto semplice, ma molto importante. Alcuni giorni dopo ci trovavamo in una Chiesa a pregare (in verità non ricordo che cosa facessimo in quella Chiesa, perché non è che sapessimo pregare...), ed è avvenuta una esperienza molto strana: io e Paolo abbiamo fatto in un incontro con Qualcuno, abbiamo incontrato Qualcuno che, da quel momento in poi, ha cambiato la nostra vita. La cosa è molto difficile da spiegare, più facile da vivere: da quel momento in poi abbiamo avuto la certezza che Dio c'era, che non era una invenzione, che c'era e chi amava personalmente. Da quel momento la nostra vita si è rovesciata, perché si confrontava e poggiava su una esperienza che diventava vitale. Non immaginate nulla di strano, non si è trattato di niente di mistico. Posso paragonare quello che ci accaduto al disarcionamento che buttò giù Paolo da cavallo sulla via di Damasco... Il Signore ci ha dato un pedatone e ci ha buttato giù dal cavallo delle nostre sicurezze, donandoci la certezza della sua presenza. (Paolo) Se siete innamorati potete capirci meglio. Cosa succede quando ci si innamora? Quella ragazza o quel ragazzo diventa importante per la tua vita: vedi solo lui o lei, e nessun altro! Se a te piace biondo, lo vedi biondo, se sogni gli occhi azzurri, lo vedi con gli occhi azzurri, anche se li ha scuri... Faresti qualsiasi cosa per lui o per lei; trovi il tempo per stare con chi ami il più possibile. L'incontro con il Signore è come l'innamoramento: cambia e colora la tua vita. Quando mi sono innamorato di Eliana, c'erano tante altre ragazze, e non è che Eliana avesse qualcosa di diverso, eppure io vedevo solo lei. Parlo di innamoramento, non di cotta, perché è l'amore che porta i frutti buoni della gioia, della serenità e della pace. (Eliana) Così, all'incirca, è avvenuto per noi. Quando ci si innamora si "scopre" una persona che magari hai già incontrato altre mille volte e non ci avevi fatto caso... Ad un certo punto scaturisce una luce diversa, una prospettiva diversa: questo è frutto dell'amore. E come ci siamo accorti che era scoccata la scintilla dell'amore tra noi e Gesù? Dal fatto che le cose acquistavano un significato, soprattutto la Parola di Dio e la Liturgia. Dopo quell'incontro che ha rivoluzionato la nostra vita, siamo stati incapaci di dormire alcune notti.. proprio come quando ci si innamora sul serio. Tra le nostre mani solo la Bibbia; e questa Bibbia continuavamo a sfogliare, a leggere e rileggere, con quella gioia dentro (ma anche a livello epidermico) che son tutti segni dell'innamoramento. Tutte le cose che conoscevamo prima di incontrare il Signore, e che non ci dicevano niente, hanno cominciato a brillare di una luce diversa e ad essere "significanti" per la nostra vita. La scoperta più bella è stata quella della preghiera. Avevamo tanto sentito parlare di preghiera, ed avevamo anche provato a pregare, ma per noi era una esperienza pesante, legata ad un senso di dovere; poi abbiamo scoperto la preghiera proprio come la gioia del parlare, dialogare, confidarci che c'è tra me e Paolo (e questo anche se siamo oramai insieme da tanti anni). La preghiera è diventata un rapporto di dialogo e di amore con il Signore, qualcosa di estremamente bello, senza la quale si perderebbe il rapporto d'amore con Lui, come senza dialogo finisce ogni rapporto d'amore tra due persone. La Liturgia ci sembrava una lettera morta, senza vita e senza senso; avvenuto l'incontro con il Signore si è animata ed è entrata a far parte della nostra vita come qualcosa di essenziale. E, nell'ambito della celebrazione, uno spazio tutto particolare l'ha acquistato il Sacramento della Riconciliazione: da Sacramento misconosciuto e quasi del tutto abbandonato, è diventata per noi una esperienza di autentica gioia, esperienza vitale dell'amore di Dio personale per ciascuno di noi. (Paolo) Abbiamo capito che la fede non è qualche cosa che va vissuta in alcuni momenti della nostra giornata, ma entra a far parte dei tutta la giornata e di tutta la vita. La fede non è quel cappotto che metto quando vado in Chiesa e che quando rientro riappendo all'armadio; la fede è qualcosa che tocca ogni aspetto della mia vita, ogni piccolo angolo della mia storia. Oggi, davanti ad una persona che mi dice di non credere, io sento di poter dire: «Tu sei una persona libera e puoi pensarla come vuoi, ma io debbo dirti che, nell'esperienza della mia vita, io Dio l'ho incontrato, e so che è sempre con me, in ogni situazione, in ogni attimo, in ogni circostanza della mia vita». Per me il Signore è una presenza attiva che tocca nell'intimo la mia vita. Ho capito che il cristianesimo non è una esperienza per povere vecchiette (senza nulla togliere alle vecchiette!), ma è forza per vivere in pienezza la vita. Il cristianesimo non è qualcosa di cui vergognarsi, ma qualcosa di cui essere santamente orgogliosi per il fatto di aver individuato in Gesù risorto il senso della vita. Qual'è, allora, il senso della vita? Oggi sento di poter dire: è Gesù Cristo. (Eliana) Sono santamente orgogliosa di essere cristiana e di appartenere a Gesù Cristo, un Signore così potente! Gesù Cristo non è bacchetta magica che cambia come per incanto la vita... No. E' come quando ci si innamora: tutto è fatto, ma tutto resta ancora da fare! Incontrarsi è il momento più importante, ma sarebbe anche il meno importante se su quell'incontro non avessimo incominciato a costruire una vita. L'incontro con Gesù è importante se, un po' alla volta, si incomincia a convertire la vita a sua dimensione, lasciando che la nostra vita venga cambiata dalla sua parola e dalla sua azione. Mai potrò dire di essere convertita, anche se oggi posso dire di essere più convertita di dieci anni fa. Conversione vuol dire che in tutto il mio essere, in tutto il mio vissuto ed in tutti i miei compiti deve entrare lo Spirito di Gesù Cristo e la potenza del suo Vangelo. Questo non si improvvisa da un momento all'altro, ma è frutto di un lungo cammino e di un costante impegno. La Parola di dio ed i Sacramenti cambiano la nostra vita, un po' alla volta, verso la meta che è l'essere trasformati in Gesù Cristo, acquisendo i suoi stessi sentimenti, il suo stesso modo di guardare, il suo stesso modo di amare... Con le nostre forze non ce la fanno mai, ma con la Sua forza sì. Ecco allora che cos'è esperienza concreta della potenza di Cristo che cambia la vita! Vuoi conoscere la potenza di Cristo? (Paolo) Non vorremmo che voi pensaste: «Mah, questi due sotto stati davvero fortunati. Piacerebbe tanto anche a me incontrare Gesù Cristo così... ma come faccio?». Vuoi incontrare Gesù Cristo e conoscere la sua potenza? E' semplice: chiedilo, chiedilo con tutta la forza, grida questo tuo bisogno da profondo del tuo cuore, mettiti in ginocchio e dì: «Signore, tu vuoi essere il Signore della mia vita; io ho scommesso la mia vita sulla tua Parola: fa' quello che dici!». Ma chi ti fa incontrare il Signore? E' lo Spirito Santo e la sua potenza. Quando Gesù nasce non succede nulla, predica, le folle vanno attorno a lui, ma non succede altro che qualche miracolo; Gesù muore, non succede nulla, risorge, non succede nulla; i discepoli si richiudono nel Cenacolo e sprangano le porte par paura... Forse Maria e Pietro riescono a far fare lo qualche preghiera... Ma in quel Cenacolo, attraverso la potenza dello Spirito Santo, gli apostoli, da vigliacchi che erano, si trasformano in coraggiosi, testimoniando la verità di Gesù Cristo. E' lo Spirito Santo che tocca i loro cuori; non li ha toccati in modo sentimentale, ma in modo vivo, li ha toccati talmente che la vita per loro non contava più nulla: per l'annuncio della Buona notizia si fanno picchiare ed uccidere... Ecco cosa opera la presenza dello spirito Santo quando si riversa nel cuore dell'uomo con la sua potenza. Possiamo anche conoscere Gesù Cristo, ma se non abbiamo sperimentato la potenza dello Spirito Santo, la nostra vita non cambia! (Eliana) Vi assicuro che quando si fa una esperienza viva di Gesù vivo non si riesce più a tacere! Come quando ci si innamora si ha la voglia di scrivere la notizia sulla prima pagina di tutti i giornali..., così quando si incontra la potenza del Signore si sente il bisogno di gridarlo ai quattro venti, non si può tacere che Gesù c'è ed è vivo! Le prime persone che ci hanno incontrato, in particolare i nostri amici, hanno percepito dall'esterno che qualcosa era accaduto, e ci hanno presi per pazzi! (Paolo) Dice un Padre della Chiesa che lo Spirito Santo è l'Amore tra il Padre e il Figlio, è il bacio tra il Padre e il Figlio, è l'Amore. La nostra vita su cosa la giochiamo? Tutta sull'amore. Dobbiamo avere nella vita il senso dell'amore. Qual'è la nostra principale vocazione a livello universale? La vocazione all'amore, e quindi alla santità. Forse questo è un termine un po' vecchio e che facilmente buttiamo in un angolino, ma amore è santità. Dobbiamo preoccuparci di scegliere l'amore, e scegliere l'amore è scegliere la sequela di Gesù. Scelgo Gesù concretamente nella mia vita perché Egli mi fa sperimentare l'amore. Se io non ho l'amore di Gesù non amerò mai nessuno. Scegliere Gesù è trovare del tempo per stare con Lui; scegliere Gesù è scommettere la mia vita per Lui, obbedire alla Sua Parola, accettando la Chiesa, che a suo nome mi parla, così come è, santa e peccatrice. Tanti giovani oggi dicono: «Gesù sì, ma la Chiesa no»; chi vi allontana dalla Chiesa vi inganna. Martin Lutero diceva ad Erasmo da Rotterdam: «Come puoi sopportare la Chiesa con tutta la sua corruzione?». Erasmo rispondeva: «Io sopporto la Chiesa in attesa che diventi migliore, dal momento che anche la Chiesa è costretta a sopportare me nell'attesa che io diventi migliore Scegliere Gesù vuol dire essere uomini forti, acquisire una personalità, non lasciarsi andare. I cristiani con i musi lunghi non sono testimoni. Cristiani con i! muso lungo non testimoniano Gesù risorto. Il Signore chiede molto, è un Dio geloso, dice la parola: non possiamo vivere con un piede da una parte ed uno dall'altra, vivremmo male e non realizzeremmo la nostra vita. Bando nella nostra vita ad una immagine "costituzionale" di Dio, come se fosse la regina d'Inghilterra... Cosa fa la regina? Firma le leggi che altri fanno. Così spesso accade anche a noi: ci facciamo le nostre leggi, prendiamo le nostre decisioni e poi andiamo dal Signore e pretendiamo che le firmi, avallando nostre prese di posizione... La scuola e il tirocinio dell'Amore (Eliana) Chiamati alla santità ed all'amore; dall'imparare ad amare dipende tutta la nostra vita. Ma non si impara ad amare da un giorno all'altro; è un qualcosa che somiglia all'arte... Questa arte d'amare cozza terribilmente con la mentalità corrente che molti giovani si portano dentro: «Tutto, subito e senza fatica!». Questa impostazione della vita porta i frutti che possiamo vedere tutti. Imparare ad amare oggi è ancora più difficile, perché il termine «amore» è stato corrotto nel suo significato e non si sa più cosa significhi. Cosa vuoI dire amare? L'amore è soltanto un sentimento svanito, soggetto ai mutamenti ed alle mode? Su concetti sbagliati dell'amore trova la spiegazione il naufragio di tantissimi matrimoni. Io credo che chi ci dice veramente che cosa è l'amore è solo la Parola di Dio. Riprendiamo in mano quel brano in cui San Paolo parla dell'amore nella prima lettera ai Corinzi (1 Cor 13). Imparare ad amare è imparare a discernere tra egoismo ed amore: se il centro sono io, questo è egoismo, se il centro è l'altro, allora si tratta di amore vero. Anche se si trova il ragazzo o la ragazza giusta e si gode di una forma di euforia, questo rischia di essere momentanea se non mette in luce la dimensione vera dell'amore che è dare, non ricevere. Si arriva al matrimonio o ricchi di amore o ricchi di egoismo, ed è quello che si ha che si dà all'altro. La felicità e l'armonia della coppia si costruisce nella palestra della vostra età dove siete chiamati ad imparare ad amare, imparando a dare la vita. Il problema non è quindi "trovare" la persona giusta per amare, ma essere" la persona giusta. Occorre allora tener presente che oggi, nella mentalità in cui viviamo, il termine cristiano di "amore" è esattamente in contrapposizione con quello del mondo. Cristianamente amare vuoI dire volere, desiderare il bene dell'altro, spostando il termine del discorso da come lo pone la nostra società. C'è stato inculcato dai mass media l'idea che l'amore è qualcosa che va e che viene... L'amore è sentimento, ma soprattutto volontà; senza volontà non si costruisce nulla di duraturo nella vita, soprattutto decisione di vivere e di morire per l'altro. Ma come ci si prepara ad amare? Vivendo bene il quotidiano: niente di più facile e di più... terribile! Perché il vivere bene il quotidiano comporta il recupero dei rapporti con i genitori, con gli amici, con il Signore, da cui solo possiamo attingere l'amore, con noi stessi, con il proprio lavoro. Se durante l'adolescenza si vive in maniera oziosa e sfarfalleggiante, domani si sarà il prodotto esatto di quando si è seminato. Questa è la dinamica della vita; dice la Parola di Dio che «chi semina vento, raccoglierà tempesta»! Da questa dinamica non scapperà nessuno. Se non si imposta bene il discorso oggi, nella palestra della giovinezza, mancheranno le fondamenta al domani, e la casa vi cadrà addosso. (Paolo) C'è una decisione da prendere: vivere oggi, subito, tutta la vita. C'è un legame pericoloso che ci porta al disimpegno, ed è costituito dal «se»: se avessi altri genitori, se avessi altri compagni, se il mio parroco fosse diverso, se il professore... se il datore di lavoro! I «se» minano la nostra vita ora e la renderanno infelice un domani. (Eliana) C'è un segreto per rendere bella la vita: cercare sempre la gioia dell'altro, dimenticando se stessi. Chi è proteso a dimenticare se stesso per il bene dell'altro, nell'ambito di un rapporto nasce la gioia. Ma a questo bisogna educarsi, perché la rinuncia a se stessi non la si improvvisa; bacchette magiche nella vita non ce ne sono... Solo l'intervento del Signore cambia il quotidiano, orientandolo alla costruzione consistente del domani. La gioia cristiana è la migliore testimonianza del Signore; ma questa gioia è un dono dello Spirito Santo. La gioia vera non è qualcosa che appare dalle labbra, ma qualcosa che è parte costituzionale di una persona che ha incontrato Gesù risorto. (Paolo) Quando si incontra il Signore non è che tutte le cose si risolvono... Ma il Signore dona una gioia al di là dei problemi e delle difficoltà della giornata. Il Signore dona l'equilibrio per affrontare le cose difficili della vita. Il tuo cuore diventa un cuore di pace perché ha fatto l'incontro che illumina e trasforma il modo di vivere e di vedere la vita. Allora diventi una persona piena di benevolenza, una persona che, anche non parlando, solo con lo sguardo porterà un messaggio di amore, di serenità e di pace. (Eliana) Ma questa luminosità nasce da una qualità ben definita del cuore: la purezza. Questo termine forse rappresenta un colpo nello stomaco perché oggi è un termine ritenuto obsoleto, superato. Parlare oggi di purezza comporta tanto coraggio... Ma senza purezza non c'è amore, non ci possono essere «testimoni luminosi» di Cristo risorto. Ma cosa vuoI dire purezza oggi? La nostra società oggi è estremamente materializzata sul problema della sessualità: tutto, dagli spot pubblicitari in poi, poggia su una strumentalizzazione della sessualità. Dobbiamo essere affascinati dal recupero di un significato originario della sessualità. Dio, creandoci uomini e donne, aveva un grande progetto di pienezza: essi sono stati fatti per essere somiglianza di Dio e, diventando una carne sola, fossero ancora di più a somiglianza del Creatore ed il loro amore venisse divinizzato, assunto nella Trinità così che fosse altamente qualificato. La nostra società ci bombarda costantemente con una mentalità che corrisponde a quanto dicevamo prima: tutto, subito e senza sforzo. Il mondo ti dice che se non vivi tutte le esperienze, se non "consumi" anche che cose più preziose, sei un rincitrullito; tutte le esperienze a livello sessuale sono giustificate con la scusa che non è possibile fare delle scelte se prima non si è sperimentato... Vi viene poi detto, soprattutto, che la sessualità è una cosa "naturale", da vivere nella più assoluta spontaneità, nella più grande libertà (quando a "libertà" equivale sempre, nella mentalità del mondo, il "fare quello che si vuole"). Noi guardiamo ai frutti che questa mentalità del mondo genera, perché Gesù ci ha insegnato che un albero lo si giudica dai frutti. I frutti di questa cultura materialistica e consumistica sono frutti marci e frutti di morte. Mai come in questi anni psicologi e sessuologi sono stati bombardati da problematiche di disarmonia e di insoddisfazione che nascono da un cattivo uso della sessualità. La sessualità funziona bene solo quando, per "usarla", si fa riferimento alle indicazioni del "manuale" fornito dal Costruttore! La Parola di Dio ci rivela il progetto di Dio sull'uomo e sulla donna: seguire queste norme porta ad una vita armoniosa e serena. Il cristiano non è un castrato, ma una persona che vuole camminare discernendo ciò che è menzogna e tenebra da ciò che è luce e verità. L'armonia e purezza: frutti dello Spirito Nessuno dice a voi giovani la verità sul mistero della sessualità. Tutti parlano di sesso, ma nessuno vi dice che l'armonia sessuale non è frutto di avventura, ma frutto e dono dello Spirito. La fusione di corpo e spirito è dono dello Spirito, e questo non si improvvisa e non nasce dal farfalleggiamento che porta a cambiare esperienze una dopo l'altra. Quello che sarete oggi sarete domani. La sessualità è una realtà preziosa che va educata, come tutto nella vita deve essere educato; ciò che nasce e si sviluppa allo stato brado non produce frutti! Dall'educazione che date oggi alla vostra sessualità dipende la vostra felicità futura, qualunque sia la vostra scelta di vita. Nessuno vi dice che dalla capacità di continenza (termine... terribile, che non si usa più!), dal saper aspettare, dipende la felicità della vostra vita di coppia di domani. Anche quando sarete sposati dovrete sapere aspettare... Nessuno vi dice che se date oggi sfogo a tutte le vostre pulsioni, non vi state educando certamente ad essere dono per l'altro. Nessuno vi dice che da come vivete e vi educate oggi dipende la pienezza della vostra felicità futura. Vi pregherei di riflettere sul valore della vostra sessualità e sul valore della purezza: da questa riflessione dipende il colore di gran parte della vostra vita di domani. La purezza non è passata di moda; essa non è un valore in negativo, ma un valore positivo nella vita del cristiano. Se durante questi anni voi non cominciate a difendervi da esperienze sessuali schiavizzanti (sia da soli che con altri), e questo potrete farlo solo con l'aiuto del Signore, voi finirete dentro una dinamica di morte che tarperà le ali alla vostra vita ed alla vostra capacità di amare. Cosa possiamo fare se ci accorgiamo di aver preso tendenze o abitudini sbagliate? C'è una possibilità di vivere in libertà, senza essere schiavi di niente e di nessuno? Con la potenza di Gesù Cristo, che è lo Spirito Santo, questo è possibile. Se nel vostro cuore sta nascendo un desiderio di pienezza e di gioia, secondo quel progetto con cui siete usciti dalle mani di Dio, questo desiderio può concretizzarsi mettendosi nelle mani del Signore per vivere liberi da una certa cultura di massa, non affittando la testa a nessuno, ma, nella meditazione, recuperare la gioia di pensare e di tagliare con le tendenze di egoismo che sono insite nella nostra vita fin dal peccato originale. Il mezzo privilegiato per riprendere il cammino con gioia è il Sacramento della Riconciliazione: dono di gioia. Questo Sacramento è la gioia di Dio e la gioia dell'uomo. In esso troviamo la forza per guarire dalle nostre schiavitù e dalle devianze che possiamo trovare dentro di noi. In esso troviamo la guarigione totale, sia sul piano spirituale che morale. Dobbiamo sperimentare la potenza di Dio che ci recupera alla libertà vera. Questo chiedo al Signore per voi: che non vi lasciate narcotizzare la mente e che vi faccia scoprire in potenza e pienezza la gioia della Riconciliazione, con la quale non solo ci viene rimesso il peccato, ma ci viene anche donata tutta la forza di cui abbiamo bisogno per poter vivere una vita di pienezza. (Paolo ed Eliana Maino, comunità «Shalom», Riva del Garda.) L'esperienza di Cristina: l'incontro con Dio che salva la vita La mia testimonianza nasce dal fatto che o g gi posso dire di essere una persona completamente diversa a come ero sei anni fa, quando incontrai la comunità «Shalom». La mia testimonianza la debbo innanzi tutto al Signore, a Lui, infatti, promisi che un giorno, se avessi sperimentato la sua presenza in me, avrei proclamato pubblicamente ciò che aveva fatto per la mia vita. Provengo da una famiglia cristiana, i miei genitori mi hanno comunicato la fede e gli insegnamenti cristiani, però, appena ho voluto, me ne sono andata dalla Chiesa: non ho più frequentato e non mi sono più interessata alla fede, perché la fede non mi dava nulla. In quel momento, avevo sedici anni, ho deciso io cosa volevo dalla vita. Avevo sete solo di novità, e per sperimentare sensazioni che mi facessero sentire viva ero disposta davvero a tutto. Credo che il mio obiettivo finale fosse quello di conoscere e sperimentare l'amore. Il panorama che mi si offriva davanti era quello che ancora oggi è sotto gli occhi di tutti: la libertà in ogni senso. Ero davvero convinta che potessi fare tutto quello che volevo, senza essere sottomessa a niente ed a nessuno. Ho deciso di fare la mia strada e le mie scelte: era solo questo che mi interessava. Ho incominciato a fare quello che facevano tanti giovani della mia età, magari con un maggiore accanimento, perché io volevo sperimentare l'amore. Ma allora "amore" per me era quello che si cantava nelle canzoni e si leggeva sui giornali o del quale si parlava alla televisione... Non avendo alcuna inibizione, già a sedici anni ho incominciato ad avere rapporti con ragazzi. Ho sperimentato che mi stavo avventurando su un piano inclinato e scivoloso: con una spirale in discesa ho incominciato a vivere di quel piacere sottile che ti gratifica e ti fa sentire che si è importanti per qualcuno e magari considerata come donna. Allora ti spingi sempre più in là e finisci per credere che hai trovato la via dell'amore. Anzi, ricordo che in quel periodo mi sentivo anche orgogliosa e più fortunata di tante mie amiche che non sperimentavano quello che io stavo vivendo. Per alcuni anni ho vissuto davvero... momenti di gloria. Se qualcuno mi veniva a parlare di un mondo diverso, magari di un mondo in cui si potesse vivere di valori, come la purezza, ad esempio, io la definivo subito una persona bigotta ed insoddisfatta solo perché non riusciva a soddisfare le sue voglie. Se qualcuno poi aveva il cattivo gusto di venirmi a parlare di Dio questo discorso provocava in me una chiarezza: io ero il dio della mia vita, perché io avevo scoperto l'amore. È andata bene per alcuni anni... Ed io mi sentivo sempre più matura; addirittura credevo di essere una persona socialmente ed umanamente realizzata, proprio grazie al fatto che ero arrivata a quel punto. Davvero non capivo come tutti non cercassero la mia stessa strada e non facessero le mie stesse scelte. Secondo me quello era davvero il modo migliore di vivere la vita. La mia convinzione mi portò a concludere che ero oramai una persona matura al punto da iniziare una relazione stabile: avevo diciassette anni. Ho puntato gli occhi su un ragazzo ed ho deciso che era l'uomo per me. Non ho cercato di capire se questo fosse giusto; avevo già deciso. Il modo migliore per concretizzare questa mia decisione era quello di mettermi insieme a lui, andando a vivere con lui subito. E' iniziata così quella che io credevo fosse una grande storia. Con orgoglio apparivo davanti ai miei amici, credendo di dare una immagine veramente forte e matura di me: io avevo avuto il coraggio di fare le mie scelte, andando via da casa, contro il parere dei miei genitori, a soli diciassette anni. Ciò che mi spingeva a comportarmi così, oggi posso dirlo, era una mancanza di Amore, davvero con la maiuscola, che io non avevo ricevuto quando ero molto piccola da parte dei miei genitori; questo amore è davvero essenziale per poter crescere, altrimenti si rimane handicappati, mutilati. Questa carenza cercavo di riempirla con una ricerca ossessiva dell'altro, soprattutto sotto forma di esperienze sessuali che mi facessero sentire grande, autonoma, padrona della mia vita, importante per qualcun'altro. L'amore che mi mancava era soprattutto quello di mio padre. Il punto di rottura, infatti, con la famiglia è scattato proprio quando ho cominciato a litigare con mio padre per affermare la mia personalità e le mie idee. Nel contrasto si è andati sempre più in là, fino ad atteggiamenti presi solo per contrasto o per reazione. La relazione con il ragazzo con cui avevo scelto di vivere è andata avanti; socialmente mi sono sentita accettata ed apprezzata per il mio coraggio, e questo mi ha fatto andare avanti anche quando ho incominciato a scoprire che non ero soddisfatta. Non riuscivo a capire perché non stessi bene e non fossi contenta; in fondo io non stavo facendo altro che quello che volevo, quello che avevo desiderato da sempre, qualcosa per cui gli altri mi stimavano matura e coraggiosa... C'era però dentro di me come un tarlo, un morbo interiore, che mi rodeva sempre di più e mi stava rovinando quel rapporto che avevo voluto... Ogni cosa incominciava a perdere gusto e colore. C'era qualcosa che non andava e non riuscivo a definire. La cosa andava avanti perché io ero ancora studentessa e non avevo responsabilità dirette nei confronti della vita. Terminata la scuola sono andata in tilt completamente... Non ero più la bambina che faceva capricci perché sapeva di poter ottenere quello che voleva; ora ero una ragazza che doveva impegnarsi e fare delle scelte personali senza poter più contare su delle scuse o sugli altri. Pensavo di trovare un lavoro e di realizzare definitivamente la mia vita come piaceva a me... Ma sono arrivati i primi problemi. Il lavoro non saltava fuori, ero costretta a rimanere in casa ed a... pensare. E mi chiedevo come mai ero arrivata a quello stadio, come mai non fossi felice pur essendo arrivata al momento clou della mia vita... Non sapevo più cosa volevo da me stessa, cosa mi aspettassi da quel ragazzo, cosa volessi dalla mia vita. Non avevo un lavoro, non avevo un futuro, non avevo un punto di riferimento e non sapevo dove cercarlo. Allora intuii che se avessi avuto qualcuno come punto di riferimento, non sarei arrivata a quella situazione di morte. Ma la mia conclusione fu semplicemente negativa: la vita è una terribile fregatura in ogni senso! Tutte le esperienze che avevo fatto, in particolare quelle sul piano sessuale, lasciavano un terribile amaro in bocca e la vita vuota, che mi facevano vergognare di me stessa e non mi facevano più accettare per quello che ero. Avevo dato tutto di me a quel ragazzo, e magari a tanti altri, ed in cambio non avevo ricevuto niente. La sessualità al di fuori di un vero rapporto d'amore e della stabilità del matrimonio, finisce per essere la sorgente di prestazioni reciproche, senza alcuna parola definitiva. Ero veramente ammalata di insoddisfazione della vita, di me stessa. Pronta a morire, perché non avevo piu in significato a nulla, non avevo un punto di riferimento e non sapevo proprio dove andare a sbattere la testa. E questo non lo potevo ammettere davanti agli altri i quali mi avevano stimato per le mie scelte e davanti ai quali apparivo sempre come una persona brillante. Tra me ed il mio ragazzo non c'era quasi dialogo, per cui non potevo confidarmi: stavo male, e la cosa era solo mia! A questo punto è tornato a galla dentro di me il Signore. Quel seme posto dentro di me il giorno del Battesimo ha incominciato a smuoversi ed a farsi sentire. Ho incominciato a gridare: «Signore, qualcuno mi ha detto che esisti, che tu ci sei e sei vivo, che operi e che agisci: dove sei? Dove sei in questo momento in cui io non so proprio dove sbattere la testa? Se noti ti fai vedere, Signore, può essere troppo tardi!». Ho incominciato a gridare così al Signore, ed Egli non mi rispondeva; voleva che gridassi ancora di pi, e non con la bocca, ma con il mio cuore. Avevo più che mai sete d'amore; avevo sete del Signore, ma non lo sapevo. Comunque incominciai a pensare che fosse l'unica persona che avrebbe potuto darmi una mano prima che fosse davvero troppo tardi... Se il rapporto con mio padre era pessimo, debbo dire che mia madre si è rivelata a questo punto una pedina importante messa davanti a me dal Signore. Lei è stata sempre una persona molto credente e già da anni faceva parte della comunità di cui io ora faccio parte. La cosa che mi ha toccato il cuore è stata la serenità di mia madre: per me era incomprensibile ed addirittura... oscena! Ridotta per una vita a fare la schiava di altri, soprattutto di mio padre che non sopportavo, non riuscivo a capire come mai fosse serena, mentre io, che avevo davvero fatto tutto quello che volevo, fossi la persona piu insoddisfatta della terra... Il Signore mi chiamava attraverso la serenità di mia madre. La mia salvezza è incominciata quando ho incominciato a chiedermi il perché della sua serenità. Quando glielo chiesi, lei mi rispose che tutto nasceva dalla sua esperienza di fede, ma me lo disse con molta delicatezza, senza creare in me alcuna reazione. Il più grande pregio di mia madre nei miei confronti è stato quello di non avermi mai tirata per i capelli verso la sua esperienza di fede o verso la Chiesa. Ho cominciato a chiedere concretamente il suo aiuto; lei mi ha fatto conoscere una sua amica, una dottoressa psicologa, e con la scusa che non stavo bene neppure fisicamente, è iniziato un rapporto di confidenza con questa persona la quale ha intuito esattamente quale fosse la mia carenza. Ho accettato l'invito ad un incontro di preghiera che durava quattro giorni, ho accettato perché era una occasione per tagliare i ponti con il mio mondo disfatto... Non ero spinta da alcun desiderio di fede: nelle condizioni in cui ero, l'unica spinta era un desiderio di sopravvivenza. La persona che guidava la preghiera fece un invito forte ad aprirsi nei confronti del Signore, ed io mi dissi: «Tanto vale. Oramai sei arrivata fin qua..., ti conviene buttarti», e ripetei ancora un'altra volta la preghiera che avevo incominciato a fare: «Signore, se ci sei, mostrati alla mia vita, fatti sentire, fatti vedere, perché io ti voglio conoscere. Non ho altra possibilità che te, Signore!». Quello era il momento che il Signore aveva preparato dall'eternità perché io lo incontrassi! Non ho visto niente, non ho avuto apparizioni... Ho solo sperimentato dentro di me una presenza grandissima d'Amore. Quell'amore che io avevo ricercato per anni in ogni modo, quell'amore che mendicavo come una prostituta dagli altri, in un momento ha invaso la mia persona e me lo sono sentito esplodere dentro! In quel momento ho detto: «Qua è il mio posto! Signore, tu sei vivo, miti sei fatto conoscere, ora sono tua!». Il problema è stato ricominciare tutto da capo... Avevo incontrato l'amore del Signore, ma il mio mondo era tutto da ricostruire... Il Signore è stato tanto buono con me, fin dall'inizio del mio nuovo cammino, e mi ha sempre guidato passo passo, soprattutto attraverso l'amore dei fratelli che mi sono trovata attorno. Il primo segno di questa vita nuova l'ho avuto la sera stessa che sono tornata da quei quattro giorni con il Signore. Appena arrivata, la prima persona che mi è venuta incontro è stato mio padre, con il quale nemmeno ci parlavamo, e mi ha detto (lui che mi aveva sempre imposto la sua volontà): «Tu puoi fare della tua vita quello che vuoi, non sarò certamente io ad impedirtelo». Questo per me è stato un segno del Signore che confermava che stavo intraprendendo la strada buona. Pian piano ho tagliato tutta la mia vita di prima. Ho tagliato con le amicizie, non perché non volevo più vederli, ma perché avevo bisogno di riallacciare un rapporto nuovo con loro.., Ora sono passati già sei anni, e la mia vita è stata completamente ribaltata! Del mio passato cerco di non dimenticare nulla, perché è stato proprio attraverso i miei tanti errori che oggi posso parlare con gioia della presenza viva di Gesù nel mondo, una presenza che aspetta ciascuno di noi! Cristina, comunità «Shalom», Riva del Garda Testimonianze raccolte al XXVII Convegno regionale «Giovani, comunità 2000». I frutti dello Spirito Santo /6 LA PACE FRUTTO E DONO DELLO SPIRITO INTRODUZIONE La pace vera nasce come dono Se dovessimo fidarci delle promesse degli uomini, la nostra pace sarebbe la realtà più frustrata... Per fortuna la sorgente della pace che noi sogniamo e che, a volte ci è dato di sperimentare, è altrove: lo Spirito Santo è il dono di Cristo risorto ai suoi perché essi, in mezzo alle prove ed alle persecuzioni, potessero tenere alta la bandiera della vittoria. La demagogia dominante tende a riempire le piazze di chiacchiere e di masse vocianti che parlano di pace, ma tutto questo non è altro che una denuncia del bisogno esasperato di una pace diversa e definitiva. Ma questa pace non è nelle mani dell'uomo e non può essere frutto dei suoi sforzi: una pace così può essere solo frutto di un dono, può venire solo da «altrove». Lo Spirito Santo opera meraviglie nella storia dell'uomo e fa sperimentare la pace vera e lo fa intervenendo non nelle situazioni di conflitto esteriori, quanto in quelle interiori. Non è possibile, infatti, alcuna pace esterna se all 'interno del cuore c'è la guerra; Gesù ci ricorda in modo molto deciso che è dal cuore dell'uomo che nascono tutte le guerre (cf Matteo 15,19), è lì, allora, che bisogna mettere le mani ed intervenire perché I'albero della vita possa portare frutti buoni. Questo intervento di bonifica del cuore è opera dello Spirito Santo: con la sua luce mette in evidenza le incongruenze e le vigliaccherie dell'uomo e con la sua forza lo aiuta a convertirvi verso una novità che genera pace. Lasciamoci condurre dallo Spirito in una riflessione che potrebbe render la nostra vita luminosa e testimonianza viva di autentica pace. LA RIFLESSIONE La Pace è frutto dello Spirito Gesù, nel discorso di addio ai discepoli (Gv 13,31ss), dopo aver promesso lo Spirito Santo, il Consolatore, mandato dal Padre nel Suo nome, lascia come segno anticipatore di questa futura e perpetua presenza nella Chiesa, la sua pace. Una pace non come quella che può dare il mondo, dovuta cioè ad equilibri tra forze contrapposte, né tantomeno basata sull'avere. Come Egli stesso dirà, è una pace diversa, legata a Lui e fondata su un rapporto. E' lo Spirito Santo, il Paraclito, Colui che guida a questo rapporto d'intimità, dove la creatura si riconcilia con il suo Creatore ritrovando quel giusto posto nell'armonia del creato e quindi nel disegno di Dio. Forte di quest'esperienza di riconciliazione con Dio, l'uomo, che gode dell'Amore del Padre, trova il coraggio di iniziare il cammino di riconciliazione con se stesso e con la propria storia. Non più schiavo del peccato, egli saprà percorrere il cammino di liberazione interiore che porta alla santità. La pace infatti è luce, trasparenza, giustizia, libertà e solo chi si lascia confrontare e vive in essa così intesa, sarà un uomo che vive nella pace ed indica il cammino alla pace. La pace è frutto dello Spirito perché lo Spirito Santo è il Rivelatore della verità (cf. Gv 16,13-15) e solo chi cammina in essa trova pace nel cuore. Infatti la pace di cui parla Cristo, non è intesa come assenza di avversità, ma serenità nelle difficoltà ed in quanto tale, alberga nel più intimo dell'uomo, nel "santo dei santi" di questo tempio dello Spirito Santo che è l'uomo e cioè nel suo cuore. Il cuore infatti è il luogo privilegiato dove Dio comunica e si comunica all'uomo: «Ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» (Osea 2,16). Non essendo del mondo ma legata al cuore dell'uomo, essa diventa parte essenziale della persona stessa: diventa un modo proprio di essere persona. Essendo frutto dello Spirito e quindi dovuta all'intima unione con Cristo, essa trova in Lui la sua continua e rinnovata vitalità. Per questo il mondo non può scalfirla o spegnerla, perché non gli appartiene. E' la pace serena che sta in fondo al cuore come la roccia su cui è costruito tutto l'edificio del nostro esistere. Come dice Gesù (Mt 7,24-27), anche su questa casa come su quella fondata sulla sabbia, si abbatteranno la pioggia, il vento ed i fiumi. Le difficoltà, le calunnie e le ingiustizie, infatti, sono parte del mondo e riguardano ogni esistenza. L'esperienza comune insegna che il vivere non è cosa facile: la vita passa attraverso le contraddizioni e le tensioni della convivenza umana e ne rimane coinvolta e ferita. La pace profonda del cuore permette di scoprire e saper leggere un disegno che sta al di sotto dei singoli avvenimenti e che è frutto di un piano d'Amore. Significa scoprire, cioè, che la vita acquista il suo senso più autentico e profondo proprio nel passare attraverso queste realtà. Il discorso della riconciliazione non si ferma, né potrebbe fermarsi, all'aspetto puramente personale o relazionale con Dio. Perché tale pace sia vera e totale, non può prescindere dalla pace con gli altri, con chi è "diverso da me". Come ci dice S. Paolo (Efesini 2,11-22) Cristo è «Colui che ha fatto dei due un popolo solo... per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia». La pace con il prossimo non significa allora «non fare del male a nessuno», e dunque indifferenza, al contrario significa sentirsi ed essere «uno» con l'altro, in quanto fratello. Con l'avvento di Cristo nella storia, il cristiano è chiamato ad imitare il suo Maestro che prende l'iniziativa e va incontro all'altro. Essere uomini di pace e portatori di pace significa saper riconoscere ad accettare ciò che ci ha ferito e che ha ferito l'altro; lavorare umilmente nella carità e nella verità per guarire tali ferite; arrivare alla contraddizione della croce dove la salvezza passa attraverso la preghiera e l'amore dell'altro. Significa, in definitiva, lavorare concretamente affinché la pace non rimanga un bel principio astratto ma sia testimonianza di un cuore che ha incontrato l'Amore e, in forza dello Spirito, lo vive con sé e con i fratelli. (Johnny Libbi) LA SCHEDA BIBLICA «Beati gli operatori di pace» Isaia 9,5-6: «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità, ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo dominio e la pace non avrà mai fine». Luca 2,14: «E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: Gloria a Dio nell'alto dei cieli, e pace in terra agli uomini che egli ama». Filippesi 3,14-15: «Cristo è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbatte,' do il muro di separazione che ha frammezzo, cioè l'inimicizia... Egli crea dei due un uomo nuovo, facendo la pace...». Giovanni 14,27: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo io la dò a voi...». Matteo 5,9: «Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio». Giacomo 3,18: «Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace». Nella Sacra Scrittura, la pace viene considerata come un dono messianico per eccellenza, vale a dire un dono che Dio effonderà per mezzo del Signore Gesù, Messia e Salvatore. Il primo testo del profeta Isaia già annunzia questo dono: il Messia sarà principe della pace, con lui la pace non avrà mai fine. Il testo di Luca di riferisce all'annunzio degli angeli dato agli uomini nel giorno del Natale del Signore: con Gesù è giunto il momento in cui gli uomini saranno gratificati dal dono della pace. Ma cosa è questo dono di pace? In che cosa consiste? Noi oggi siamo abituati a considerare la pace come semplice assenza di guerra. Certo, anche questo è pace, ma non è la Pace! Perché prima di tutto la pace evangelica, quella che Gesù è venuto a portarci è riconciliazione con Dio, prima di tutto, poi con se stessi e con gli altri. E' Gesù che è venuto a distruggere l'inimicizia che a causa del peccato l'uomo aveva contratto con Dio: ora siamo riconciliati con Lui, ora siamo in pace con Lui! Questa riconciliazione porta come frutto la riconciliazione con se stessi e con gli altri. Non potrà dunque mai esserci pace duratura senza prima aver accolta la pace di Gesù. Egli, quasi a prevenire le contraffazioni della pace che gli uomini avrebbero potuto - e di fatto hanno compiuto - perpretare, dice chiaramente: <vi lascio la pace, vi do la mia pace...». La pace è allora legata alla persona di Cristo e alla venuta del Regno di Dio. Essa ha uno stretto legame con il tema dell'alleanza, quella Nuova, quella definitiva di cui già aveva parlato il profeta Ezechiele: «Farò con essi una alleanza di pace che durerà in eterno..» (Ez.37,26). Non si tratta di pace quindi solo in opposizione alla guerra, né al limite della semplice e personale pace del cuore, ma è soprattutto la pace propria del Regno di Dio, cioè la pace del popolo di Dio la pace conferita da Dio in Gesù Cristo a coloro che vivono come suoi figli. Essa in Dio ha il suo fondamento e la sua sorgente ed è caratterizzata al tempo stesso da una dimensione personale e comunitaria. A livello personale la beatitudine evangelica (Mt.5,9) indica coloro che avendo accolto il dono di pace di Cristo (cf: «vi lascio la mia pace...») come una eredità preziosa, diffondono tale pace con il loro amore, la loro carità, la loro operosità attraverso la misericordia e il perdono. Sono uomini di pace, perché spinti dall'amore fraterno, vogliono portare la concordia, l'unità, la riconciliazione e fare conoscere il volto di pace di Dio. E in questo senso la pace acquista un valore comunitario: fare opera di pace significa fare risuonare il Vangelo di pace nella comunità degli uomini. Ma per fare opere di pace occorre prima di tutto averla nel cuore: un uomo di pace è infatti un uomo pieno di Dio, un uomo che vive abitualmente in unione con Dio. Quest'uomo porta con se il frutto della pace: nel nome del Signore fa vivere nella pace, indica il cammino della pace, permeerà di pace tutte le sue relazioni e saprà suscitare disposizioni pacifiche anche nel prossimo. Nella sua vita e con la sua vita farà trasparire il dono della pace in cui si trova la sintesi di tutto il Vangelo. * Senti di essere una persona di pace nel tuo intimo? Se no, cosa fai per riconciIiarti con Dio? *Sei aperto al perdono, alla misericordia? Sai scusare gli altri? Sai comunicare loro il senso della riconciliazione e dell'amicizia? * Come vedi gli altri? Sono coloro che ti ostacolano nei loro progetti, li vedi come concorrenti che tendi ad eliminare con l'inganno e l'astuzia, oppure hai un cuore aperto all'amicizia, al dialogo, alla comprensione, alla condivisione? P. Augusto Drago IN CAMMINO CON MARIA Maria, Regina della pace La pace è il dono per eccellenza che Gesù è venuto a portarci. Il Risorto saluta così i suoi discepoli: «Pace a voi!» (Lc. 24,36). Egli dona la pace che solo Lui possiede, diversa da ogni altra proposta di pace: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la da il mondo io la do a voi» (Gv.15,27). «Shalom» non indica una pace di contratto, non è uno stop alle attività belliche, lasciando gli uomini gli uni estranei agli altri. La non-riconciliazione, a volte, nasce da una resistenza psichica nel rapporto con gli altri. La nostra società ama gli uguali, ci accoppiamo con i nostri simili: i medici con i medici; gli insegnanti con i loro colleghi; i giovani cercano i loro compagni secondo gli interessi, l'età. Il gruppo dei pari è vocazionalmente settario, non pacifico. Noi abbiamo paura dell'altro se lo vediamo diverso; invece è la diversità che ci completa; in qualche cultura primitiva il diverso veniva messo a morte. Ma se non accettiamo la diversità, rischiamo di proclamare solo la nostra identità e di restarne prigionieri. Il male ha una sua storia e anche noi operiamo delle ingiustizie ogni giorno legate al nostro egoismo, ai nostri compromessi, all'incapacità di orientare le nostre possibilità reali. L'uomo, quindi, ha una frattura «dentro»: da solo non sa proprio farla la pace. Ha sempre paura che qualcuno minacci le sue finte sicurezze, la sua libertà. È Dio che si mette accanto all'uomo per ricostruire con lui la pace. Ecco che scaturisce la preghiera: «O cieli piovete dall'alto, o nubi mandateci il Santo...». Viene Gesù Cristo: è Lui la nostra pace. Chi porta la pace di Dio nel cuore dell'uomo è lo Spirito. Abbiamo bisogno di incontrare qualcuno che concretamente si sia lasciato guidare dallo Spirito, per contemplare in azione i doni di Dio. Abbiamo bisogno di qualcuno che sia andato avanti, che ci possa mostrare in pienezza che cosa io Spirito è capace di fare: questo qualcuno è Maria. Maria è stata talmente feconda, talmente generosa con lo Spirito Santo, che il Verbo, chiamato anche Principe della pace, è venuto ad abitare in mezzo a noi. Chi crede in Gesù Cristo, è battezzato nel suo nome, lo segue, conosce la sua Parola e l'ascolta ogni giorno; per questo in lui si avvera la via della pace. Maria è invocata Regina della pace. Guarderò a te, Maria, a te Vergine dell'accoglienza. Non hai avuto paura di far entrare Dio nella tua vita, di vedere sconvolti i tuoi piani, pronta ad arrenderti a ogni Sua iniziativa, pienamente disponibile a ogni Suo intervento. Ti sei lasciata interpellare dalla Sua Parola che è Parola di pace. Non hai avuto paura «si», anche se sapevi che avresti potuto pagare con la vita quella tua maternità opera dello Spirito e non di un uomo... «Mosé, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa» (Gv. 8,5; cf. Dt. 22,24)... Ti lasci espropriare, per il bene di tutti noi... In questo mondo, dominato e lacerato da egoismi raffinati, dall'indifferenza che uccide, da interessi di parte, è una speranza molto grande l'immagine di questa Vergine Madre offerente, che non trattiene per se il Figlio, ma lo dona sempre e comunque. Non adopera le mani per prendere, ma offre la sua vita nella più assoluta gratuità. «Anche a te una spada trafiggerà l'anima» (Lc. 2,35). Maria, nella presentazione al Tempio di Gesù, riceve una spada, e la riceve per noi. Certo, noi gradiremmo la pace, non la spada. Il Signore presenta, a coloro che intendono seguirlo, una spada, la spada dei distacchi più laceranti, delle scelte più dolorose, delle purificazioni più profonde, dei conflitti più radicali. La pace verrà dopo, dopo la spada. La pace è un dono di Dio e si ottiene accettando la «logica» del seme: morire per risorgere. Conviene imparare subito questo duro mestiere, l'unico mestiere del cristiano. Sì, Maria, ora ho capito: la pace si coltiva nel dono sincero di sé (Gaudium et Spes, 24). Un mestiere che Tu hai imparato alla scuola di tuo Figlio. Grazie a te, Gesù: in un mondo di forti e violenti, vieni a noi come un bambino! Dopo anni e anni di «inattività» (secondo la logica del mondo) cominci la vita pubblica presentandoti debole e disarmato. Entri a Gerusalemme cavalcando un asino, come Principe della pace. Non entri come un guerriero; vieni come un povero che ha solo la propria vita da donare per la pace, per la vita del suo popolo. La pace viene data ai «poveri», a coloro che l'aspettano come dono da Gesù, anch'egli povero e con lui si impegnano ad essere costruttori di pace nell'oggi della storia. Nel dinamismo di questa povertà-debolezza, emerge la figura di P. Kolbe, il quale visse e mori per l'uomo, anzi, non mori, ma diede la vita. Attraverso il gesto profetico compiuto ad Auschwitz, nel cupo regno dell'odio e della morte, esplode il cantico dell'amore e della pace. Grazie P. Massimiliano! Abbiamo capito che «la sorgente della felicità e della pace non sta fuori, ma dentro di noi» (SK 937). In te troviamo finalmente una luce non provvisoria per la notte dei nostri dubbi e un alimento non deludente per la nostra fame di verità. Dalla tua testimonianza nasce una decisione per la nostra vita: la scelta di essere con Cristo e in Lui operatori per la vita del mondo. Angela Esposito CON FRANCESCO, «UOMO NUOVO» Francesco di Assisi e la sua «profezia di pace» «Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. Sono veri pacifici quelli che di tutte le cose che sopportano in questo mondo, per amore del Signore nostro Gesù Cristo, conservano la pace nell'anima e nel corpo» (FF 164). Francesco commenta così la beatitudine della pace. Di Francesco e del suo messaggio di pace e della sua opera di pacificazione si parla molto in questi ultimi anni. Molti uomini, di varie ideologie e fedi religiose, sono rimasti affascinati dal suo messaggio di pace. Molti hanno scritto su questo tema. La pace, nell'esperienza di S. Francesco è un valore che nasce come valore secondario strettamente legato e conseguenziale a un altro valore che è principale: il valore principale è Gesù Cristo, la sua Persona, il suo messaggio. La pace che Francesco incontra, sperimenta e annuncia è Gesù. In Francesco d'Assisi la pace è allora, prima di tutto, pace teologica (pace con Dio) che si traduce in pace antropologica (pace con l'uomo) e diviene infine una pace cosmologica (pace con il mondo), una pace che abbraccia tutto il mondo, tutto il reale. Pace teologica: è la consapevolezza che in Gesù Cristo è stata fatta pace tra Dio e l'uomo; ogni comprensione del messaggio di pace di San Francesco rimane murata se non partiamo da questo fondamento. Senza questa fondazione teologica della pace, andremmo inevitabilmente a cadere o a scadere in quelle immagini mielose di San Francesco e la pace - ecopacifismo di moda - fino a ridurre il messaggio di pace di San Francesco ad una realtà puramente strumentale e strumentalizzabile. Francesco è un uomo profondamente concreto, egli per primo ha fatto esperienza della non-pace e poi di Dio-Pace. E dopo aver incontrato il Dio-Pace, dirà: «Il Signore mi rivelò che io dicessi questo saluto: "Il Signore ti dia pace"... "La pace che avete sulle labbra, abbiatela prima abbondante nel cuore"», quindi una pace di natura teologica, che noi cristiani, con un linguaggio preciso, chiamiamo salvezza, cioè liberazione da quella non-pace che è l'esperienza del peccato nel quale tutti siamo nati e di cui tutti facciamo esperienza. Pace antropologica: la pace dono di Dio si traduce subito in esperienza di pace con l'uomo. E allora troveremo negli scritti di San Francesco pagine mirabili, e nella sua biografia esempi altrettanto mirabili. «Beati quelli che perdonano per lo tuo amore, ka da te, Altissimo, siranno in coronati». Da quel momento, dall'esperienza della pace di Dio in sé, cambia completamente la prassi: non esistono più nemici, non ci sono più rivali, ma semplicemente dei fratelli da accogliere, da amare, da rispettare... Non ci sono più categorie di persone, cadono le distinzioni. Il lebbroso che bestemmia per il fetore della carne in dissoluzione, che tratta male i frati, non trova il rimprovero di Francesco, ma un catino d'acqua pulita, le erbe odorose e, l'umile servizio, placa la violenza che c'è nel cuore dell'uomo lebbroso. Il brigante diventa il fratello ladrone. Malek el Kamel, il Sultano di Damietta, s'imbatterà un giorno con un cristiano che gli offre una mano amica e una possibilità di dialogo e, insieme alla parola pacifica, dal cuore pacifico del Poverello l'annuncio di Salvezza... E tra i due nasce un profondo legame di amicizia. E infine una pace cosmologica: una pace che abbraccia il mondo. Il mondo, che per il medievale era il luogo dove satana manifesta il suo potere, quindi un qualcosa da fuggire (tutta la spiritualità del tempo era segnata dalla fuga e dal disprezzo del mondo) in Francesco il mondo diventa il luogo dove si scoprono e si contemplano i segni della grandezza di Dio Creatore. Il Poverello scopre una convivialità con il mondo eccezionale e per quel tempo veramente inaudita. Nell'abbraccio pacifico e fraterno di San Francesco Dio, uomo e mondo ritornano ad essere in armonia. Siamo allora in grado di capire, senza scadere nel sentimentalismo, il dialogo di Francesco con le allodole, l'incontro di Francesco con la cicala, la passeggiata di Francesco con la pecorella di Osimo... Dio, in Cristo, ha messo pace nella persona e nella umanità del Poverello di Assisi. Nasce una strategia francescana della pace, segnata da questo decalogo: 1. Credere nel positivo. Intorno a noi c'è una coltre spessa di negativo e di pessimismo. La gente non mette più al mondo nemmeno i figli perché dice: "Come si può far nascere dei figli in questo mondo, in questo pasticcio. Io non voglio che vengano a soffrire... '. Credere nel positivo, nel positivo di ogni uomo, di ogni situazione. Credere che la forza motrice è il positivo. E questo che cosa fa, fa preferire l'annuncio alla denuncia; un conto è che io ti annunci un valore e un conto è che io denunci un non-valore presente nella tua vita. La mia denuncia diventa rabbia, conflitto. L'annuncio dice la stessa cosa, ma dando all'altro la possibilità di crescere. 2. Rifiuto del pregiudizio. Occorre prendere coscienza della cultura dell'interlocutore per apprezzare la ricchezza che c'è in quella cultura, per avere la possibilità di valutare problemi e richieste; ogni pregiudizio deve essere messo da parte. 3. Riannodare i fili rotti. Compito di ogni uomo è quello di tentare di riannodare i fili rotti della comprensione e della collaborazione fraterna. Occorre sempre più prendere coscienza della propria vocazione alla pace. 4. Trascendenza della pace. Significa che la pace è dono e compito. E' dono perché in questa visione francescana la pace è teologale, viene da Dio, ma è anche compito perché è educazione della persona alla pace che, pur essendo in mano agli uomini, dipende da Dio. Ecco la grande intuizione del Papa per la Giornata del 27 di ottobre dell'86 ad Assisi: pregare la pace! 5. Osare la pace. La pace va ricercata nella rimozione di tutte le cause che producono guerre e divisioni per cui non si può stare ad aspettare la decisioni dei grandi, non si può delegare ad altri, occorre prendersi la propria responsabilità ed osare per cambiare le cose. 6. Dare spazio alla creatività ed alla fantasia. Occorre offrire un amplissimo spazio alla fantasia ed alla creatività per indagare se un problema che appare insolubile possa trovare soluzioni. 7. Credere nella possibilità del cambiamento. Dare ad ognuno la possibilità di cambiare. Non "sei fatto così", ma "cambia", uscendo dal fatalismo. Se c'è una cosa che il Vangelo non conosce è proprio il fatalismo. 8. La pace ha una strada: solidarietà, dialogo, fraternità. Solidarietà è rispetto del valore degli altri, guardare al di là di noi stessi e dei nostri interessi, al fine di comprendere e sostenere il bene comune. Il dialogo è l'incontro di persone che si guardano e che guardano a ciò che li unisce, non a ciò che li divide. 9. La pace ha delle basi: verità, giustizia, amore e libertà. E' quello che ci ha detto il Papa in questi mesi con coraggio e con una solitaria profezia. 10. La pace è sempre un punto di arrivo e un punto di partenza. Francesco d'Assisi ci permette di costruire questo decalogo per la pace. Egli ci aiuta ad osare la pace. (p. Giancarlo Corsini) ALLA RICERCA DI CONCRETEZZA La pace e la qualità della vita È ora che noi cristiani prendiamo le distanze da tanti discorsi sulla pace: un pacifismo demagogico, populista non ha nulla a che fare con quella pace di cui parla il Signore Gesù: «Vi do la pace, vi lascio la mia pace: non come la dà il mondo io la do a voi...» (Gv 14,27). La pace che Gesù promette è in stretta relazione con il suo insegnamento e con la sua presenza; questo ci porta a dedurre che non ci può essere pace vera fino a quando non si incontra il suo Amore e non si fa esperienza concreta della sua vicinanza: «Vi ho detto tutto questo perché troviate in me la pace» (Gv 16,33). Il problema di fondo, nella nostra ricerca di pace, rimane quello della nostra disponibilità a lasciarci coinvolgere in una storia più grande di noi, in un'avventura che confina con l'abbandono totale e fiducioso tra le braccia di Colui che solo conosce il cuore dell'uomo e solo può dare risposte esaurienti alla eterna fame dell'uomo lacerato nell'intimo proprio per mancanza di pace interiore. Il discorso si fa quindi impegnativo, perché il Signore non ha mai portato avanti atteggiamenti o discorsi qualunquisti: chi vuole sperimentare la pienezza della pace deve essere disposto a giocarsi tutte le sue sicurezze, deve esser pronto a rinunciare alle mezze misure ed al compromesso. La pace di Gesù, frutto del suo Spirito, non conosce patteggiamenti e compromessi, non accetta mediazioni o accomodamenti... È esperienza radicale di una vita che scaturisce dal «sì» ad un intervento dall'esterno capace di generare Salvezza. L'uomo non si salva da solo, ma ha bisogno di «ritrovarsi», ogni giorno nel confronto con il Signore della vita e con il Suo «punto di vista». La nostra revisione di vita parte da questa certezza: Dio ci ama e vuole la nostra pace! Rivedere la vita alla luce di questa «novità» comporta accettare di mettere in discussione tanti nostri atteggiamenti e tante nostre... pretese. Le strade percorribili, infatti, sono solo due: o una pace da implorare ed attendere come dono, o un arrancare con le nostre forze, nella disperata ricerca di «momenti di pace» che finiscono inesorabilmente per non durare e per deludere. Chi non incontra Dio sul proprio cammino rischia di cedere le armi e finire in mano alle illusioni, alle riduzioni, allo svilimento della propria dignità fino a svendere la speranza dietro strade di qualunquismo e di autodistruzione. Noi facciamo parte della categoria di quelle persone che hanno ricevuto un annuncio determinante: la pace ha un nome, Gesù; la pace è un dono, ed è frutto dello Spirito Santo. Di questo annuncio vogliamo far tesoro e da questo annuncio vogliamo partire per rivedere la nostra vita ed orientarla di nuovo, e sempre più, secondo il progetto originale del Padre, Signore della Vita. A. Giovanissimi La voglia di pace la senti forte nel tuo cuore; ti accorgi subito, dopo qualche difficoltà nei rapporti con i tuoi amici, che non sei contento e vorresti fosse ricreata immediatamente l'armonia... Questo sta a dirti che la pace dipende anche da te: è un prezioso dono di Dio messo tra le tue mani perché tu lo renda, giorno dopo giorno, esperienza concreta di vita nella novità dei rapporti con ogni uomo-fratello. * Vivi nella pace? Sei portatore di pace attorno a te? Sei il primo a riconoscere i tuoi errori perché sia ristabilita sempre la pace? * Dove trovi la pace da portare agli altri? Sai attingere nella preghiera, e soprattutto nell'Eucaristia, la pace vera che è dono di Gesù nello Spirito Santo? B. Giovani C'è il rischio di cadere, in particolare tra i giovani, nella tentazione che la pace sia frutto di situazioni inventate e create ogni giorno attraverso la finzione della piazza; per fortuna il Signore continua a sfidarci con quella insoddisfazione interiore che ci spinge ad andare oltre. Un discorso autentico sulla pace riporta all'intimità del nostro essere ed è spinta inconfutabile alla riscoperta di una ricchezza interiore. * So distinguere tra la pace che promette Gesù e quella che il mondo propaganda nelle piazze? Come mi difendo dal qualunquismo? * So andare a fondo nella mia esigenza di pace, anche se richiede un arduo cammino e mi lega alla verità del mio essere? Ho scoperto l'Eucaristia come sorgente di pace e "compagnia" di Cristo alla mia vita? C. Giovani coppie L'Amore è esperienza autentica e permanente di pace. Il rapporto di coppia è una «sfida» costante, perché fa toccare con mano l'impossibilità umana di costruire la pace in una intimità libera e gioiosa. Nasce impellente il bisogno di trovare un aggancio forte, capace di reggere la sfida delle piccole cose quotidiane che vorrebbero farmi perdere la serenità e costringermi al fallimento. Il Signore è più grande del nostro cuore, ci ricorda l'apostolo Giovanni: trovato il Signore si individua la chiave di lettura del mistero quotidiano che concretizza. nell'Amore e dona la libertà anche davanti al proprio limite. * Nel nostro rapporto di coppia ci resta facile andar oltre i nostri limiti per leggere la storia che siamo chiamati a vivere come flutto e dono del Dio della pace? * Davanti alle situazioni di emergenza e nei momenti di buio, sappiamo attaccarci alla roccia che non muta, la fedeltà di dio che è fonte della nostra fedeltà? Nella dialettica inevitabile che esiste nel rapporto a due, e che spesso può portare a tensioni e reali difficoltà, sappiamo inserire la presenza del Signore come elemento determinante e qualificante del nostro cammino nella pace? D. Catechisti Il catechista è chiamato ad essere un costruttore di pace. L'annuncio della Salvezza è, fondamentalmente, scoperta di una presenza che «risolve» la tensione del cuore dell'uomo creando equilibrio nell'intimo. Il catechista deve aver fatto nella propria vita questa gioiosa esperienza della pace in Dio così sarà facile che la sua testimonianza generi speranza e ridoni autentica fiducia. * Vivo il mio compito di educatore nella fede come testimonianza di una pace incontrata e sperimentata? * La mia catechesi tende ad accompagnare concretamente ad un incontro, oppure è limitata dalla ricerca e dalla discussione fine a se stessa? I miei alunni sanno «dove andare» per poter sperimentare la pace vera del cuore? «La pace del tuo cuore rende la vita bella a coloro che ti sono accanto!» (Frère Roger) p. Silvano Castelli PER LA PREGHIERA «Vi do la mia pace...» «Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio» (Matteo 5,9) La pace nella Bibbia viene definita «dono messianico» (Isaia 9,5-6; Michea 5,4). Perciò quando Gesù dice: «Vi lascio la pace, vi dò la mia pace. Non come la dà il mondo, io la dò a voi» (Giovanni 14,27), essa è da intendere come un dono, il quale è legato alla sua persona e alla venuta del Regno di Dio. Le parole del Signore sono un invito affinché i discepoli aprano il loro cuore alla promessa della Nuova Alleanza che sarà conclusa nel suo sangue. Queste promesse si riassumono appunto in una parola: la pace; la pace o colui che sa di essere nella mani di Dio. La pace, qui, non è solo opposizione alla guerra, né la semplice e personale pace del cuore, ma anche, e soprattutto, la pace propria del Regno di Dio, cioè la pace del popolo di Dio, la pace conferita da Dio a coloro che vivono come suoi figli. E' la pace che ha in Lui il suo fondamento e la sua sorgente. Essa è, secondo l'espressione di Gesù, simile al lievito, che fermenta tutta la massa: al pari dell'amore divino è diffusiva e perciò si comunica all'ambiente vicino e raggiunge i lontani in quanto è espressione di sincera carità. L'uomo ottiene questo dono divino mediante la preghiera fiduciosa, ma anche una «attività di giustizia», perché, secondo il disegno di Dio stesso, egli deve cooperare all'instaurazione della pace sulla terra. Invocazione allo Spirito Vieni, o vera Luce. Vieni, mistero nascosto. Vieni, tesoro senza nome. Vieni, felicità interminabile. Vieni, Luce senza tramonto. Vieni, attesa di tutti coloro che sono stati addormentati. Vieni, o potente, che fai e rifai e trasformi col tuo solo volere. Vieni, o invisibile. Vieni, tu che sempre dimori immobile e in ogni istante tutto intero ti muovi e vieni a noi coricati negli inferi, o Tu che sei al di sopra di tutti i cieli. Vieni, o Nome diletto e dovunque ripetuto; ma a noi è interdetto esprimerne l'essere e conoscerne la natura. Vieni, gioia eterna. Vieni, porpora del gran re, nostro Dio. Vieni, tu che hai desiderato e desideri la mia anima miserabile. Vieni, tu il Sole, poiché, tu lo vedi, io sono solo. Vieni, tu che mi hai separato da tutto e mi hai reso solitario in questo mondo. Vieni, tu stesso divenuto in me desiderio, tu che hai acceso il mio desiderio dite, l'assolutamente inaccessibile. Vieni, mio soffio e mia vita. Vieni, consolazione della mia povera anima. Vieni, mia gioia, mia gloria senza fine. (S. Simeone il Nuovo Teologo, Preghiera mistica). In Ascolto della Parola - Filippesi 2, 1-11 La pace evangelica consiste nella concordia e nell'unità fra i fedeli e, per quanto è' possibile, con tutti gli uomini cercando, sull'esempio di Gesù, di decentrarsi da sé per concentrarsi sul bene dell'altro. In ascolto della Parola - Colossesi 3, 12-17 Un uomo di pace è un uomo pieno di Dio, e ciò equivale a dire che è un contemplativo, un uomo che vive abitualmente in unione con Dio e nel cui cuore regna la pace divina. In risposta alla Parola - Salmo 121 «Andremo alla casa del Signore». Quello che per Israele fu la salita a Gerusalemme è per l'uomo di oggi la ricerca del Regno di Dio che è«giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Romani 14,17) L'esperienza di S. Francesco - Fonti francescane 48 L'uomo in pace con Dio e desideroso di portare pace agli altri è limpido nel suo interno e rivela all'esterno lo spirito da cui è animato. Egli è schietto nella sua sincerità e semplicità, ha il cuore «umile e mite», vuole mantenersi fedele a Dio, vivere nella verità del Vangelo. È questo che ci insegna Francesco d'Assisi. |